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Walter Benjamin, filosofo tedesco morto suicida a Port Bou nel 1940,
perché ormai disperava di poter sfuggire ai nazisti che avevano invaso
la Francia, per tutta la vita, aveva coltivato il progetto di scrivere
un libro del ricordo, un Yisker-biher, tutto costruito con citazioni di
libri altrui. Non una memoria di vita, ma una memoria di libri.
Esattamente il contrario di ciò che la memorialistica tende a fare oggi,
con l’importanza che, a mio avviso giustamente, viene attribuito alle
storie private, alle ‘memorie individuali’, anche e forse soprattutto, a
quelle più ‘curiose’, appartate, insignificanti, neglette da una storia
che si voleva più alta. Un tempo storia e memoria procedevano
separatamente, lontane parenti, ma la prima aveva fatto carriera, la
seconda era rimasta a casa e lì era invecchiata, senza giungere mai ad
una vera maturità. Usando una metafora, col senso un po’ paradossale e
riduttivo che spesso possono avere, pur nella verità profonda, si
potrebbe dire che la storia è maschile e la memoria femminile. Non è un
caso che proprio i movimenti femministi degli anni settanta-ottanta
(pochi decenni, ma sembra preistoria) abbiano fatto riemergere il
concetto di ‘narrazioni individuali’, le storie private, il ‘frammento
di vita’, che pur sfuggendo alla organicità della sistematizzazione
storica, rivendicavano un proprio assunto di ‘verità’, non importa
quanto parziale. Il fiorire di diari, raccolte di frammenti, libri di
memorie è un lascito anche di quel risveglio.
Ma la memoria è figlia della lentezza, si coltiva nello spazio della
riflessione, del ‘vuoto’.
Secondo Joyce l’esercizio della memoria si perfeziona con il lavoro, con
la ripetizione sempre uguale. Pur essendo un prodotto della cultura, si
nutre di tempi e ritmi naturali. Per questo nel nostro tempo divoratore,
del ‘tutto pieno’, dal carrello della spesa alla vacanza ‘tutto
compreso’, tendiamo a smarrire, assieme al senso di ciò che siamo, il
filo della nostra esistenza. Figurarsi quello delle generazioni passate.
Il presente ha preso il sopravvento incontrastato su ogni altro tempo,
anche nella lingua. Difficilissimo trovare qualcuno che coniughi il
proprio discorso oltre il presente e il passato prossimo. Certo i
ricordi restano, ma spesso sono scissi dalla consapevolezza di
ricordare, dalla comprensione dell’importanza che essi hanno nel
costituirsi della nostra identità. Ho provato a interrogare alcuni
ragazzi di scuola media, e i loro familiari, sul significato che essi
attribuiscono alle parole ‘memoria’, ‘ricordo’, ‘storia’, ricavandone
spunti interessantissimi. Per qualcuno è stato un’occasione per
riflettere su di sé e su ciò che spesso diamo per scontato, stupendosi
di ritrovare nella propria esistenza echi insospettati. Ne riporto
alcuni, a caso.
-La memoria? Una scatola, dove nascondere tutti i miei pensieri. La
memoria mi fa ricordare le cose che devo fare la mattina. Senza memoria
non sapremmo distinguere gli amici dai nemici, dovremmo imparare tutto
da capo-racconta Mauro, 13 anni.
Valentina è una donna che lavora in un self-service, diplomata
all’Istituto commerciale:-Per me memoria è avere in mente numeri
telefonici, date, nomi, indirizzi ...la spesa da fare. Col passare degli
anni faccio fatica a tenere in mente tutto, mi aiuto scrivendo. Ricordo
le persone a cui sono legata da bei ricordi. Memoria è anche legata ai
sentimenti. Ma è anche memoria storica per sapere da dove veniamo.
L’estate scorsa ho fatto un viaggio nella storia della famiglia di mio
padre. Nel ’44 mio padre perse suo padre, due fratelli, due
sorelle…uccisi dai fascisti. Da bambina i miei genitori mi parlavano di
questo, poi mi sono allontanata e ho nascosto tutto in un angolo del
cuore. Mi faceva male vedere mio padre piangere i suoi morti. L’estate
scorsa tutto il paese ha ricordato la mia famiglia e io ho potuto
piangere ‘i miei’ morti, consapevole del fatto che io sono ciò che
rimane di loro.-
La signora Cristina è operaia, diplomata alle magistrali:-Il ricordo è
un pezzettino di memoria. Il ricordo è un profumo, la memoria me lo fa
riconoscere-
Sua figlia Laura ha 12 anni-La memoria è tutto ciò che conosco della mia
vita-
Ronni è invece uno studente universitario di 22 anni, fratello di
Silvia:-La memoria personale influenza la sfera intima, quella storica
la nostra vita culturale, sociale, politica-.
La nonna di Gioele -La memoria serve a non perdere il filo fra passato e
futuro…È una sequenza di avvenimenti punteggiati di ricordi-
-La memoria è fondamentale per capire ciò che sta accadendo sul
momento.- La memoria ci aiuta a migliorarci, a non ripetere gli errori.
La memoria storica influenza meno, perché i ricordi sono più difficili
da ricordare, es. eventi scritti sui libri, sui giornali-spiegano i
genitori di Federica, 11 anni.
La stessa età di Mattia:-La memoria storica mi influenza, perché quando
penso a una strage avvenuta tanto tempo fa nel mio paese, mi sembra di
esserci io-
Scrive una altro bambino, Daniele:-La memoria serve a scuola per
ricordare le date di storia, le caratteristiche degli stati, le
proprietà delle figure geometriche,…ma la memoria storica sta calando di
spessore e sempre meno persone sanno della sua esistenza e della sua
importanza-. La mamma, Gabriella, è laureata in Giurisprudenza e lavora
presso una assicurazione:-Molte persone dimenticano gli eventi passati.
Non è vero che la storia è maestra di vita, altrimenti non ci sarebbero
guerre, odio, razzismo…Il mio modo di rapportarmi è frutto di
esperienze…viene dai genitori, da alcuni insegnanti, ma anche da
principi universali assoluti, etici, religiosi, dalle idee prese dai
libri. La memoria è più obiettiva, il ricordo soggettivo.- Il padre,
Antonio, è ingegnere:-Le esperienze ci fanno essere ciò che siamo…La
memoria storica non è più di moda. La gente dimentica ciò che è successo
2 o 5 o 10…anni fa. Senza memoria storica è impossibile capire il mondo.
Ricordo e memoria? È la differenza che c’è tra il ricordo di un nostro
successo e la comprensione di ciò che significa per noi e per gli altri
il successo e la vittoria.-
Milena, infermiera, e Alberto, impiegato, sono i genitori di Matteo: -La
memoria è una meravigliosa capacità dell’animo di conservare e rievocare
esperienze e conoscenze passate…È sempre coinvolta nel nostro vivere
quotidiano, a volte in modo inconscio, a volte in modo consapevole-.
Hannah Arendt, a proposito della vocazione alla memoria di Benjamin,
aveva coniato la poetica espressione di “pescatore di perle”. Io penso
che anche interrogando le persone (non la ‘gente’, versione edulcorata
di ‘massa’, dove il termine stesso fa appello all’uniformità e quindi
all’oblio) molte delle perle che giacciono sul fondo delle nostre
esistenze, alla fine riaffiorino. Questa metafora delle perle l’ho
ritrovata anche nelle memorie orali di un’ebrea cresciuta in Libia. Gli
ebrei sono un popolo che in modo privilegiato ha coltivato la memoria.
Privato di una terra per molti secoli, ha costruito la sua identità nel
tempo, e non nello spazio. Alla festa che commemorava la distruzione del
tempio di Gerusalemme, racconta la donna, “a noi bambini compravano una
quantità di perline,…delle perline minuscole. Con tutte quelle perline
potevo fare un pesciolino. Era per raccogliere le ossa di tutti gli
ebrei che erano stati uccisi, e che erano state sparpagliate”.
Una storia bellissima, che si presterebbe a tantissime rappresentazioni.
Raccogliere le perle della memoria, restituisce ordine e pace ai nostri
‘morti’. Non necessariamente esseri umani, ma a tutti i lutti che
costellano la nostra esistenza, la perdita dell’amore, della giovinezza,
delle speranze, del successo,… conferendo ad essi un senso che
travalichi il mero accidente. Quando Valentina ha pianto ‘i suoi morti’
si è riconciliata con la propria storia. Paradossalmente coltivare la
memoria è necessario per non restare intrappolati in essa, come ci hanno
insegnato anche la letteratura e la psicoanalisi. L’incapacità di
ricordare il passato e di fare i conti con la propria storia è uno dei
nodi in cui va ad impigliarsi la malattia psichica. –La memoria è sempre
coinvolta nel nostro vivere quotidiano, a volte in modo inconscio- ci
ricorda Milena. Ma quando la memoria resta solo inconscia, essa finisce
col riportarci indietro, come nella storia di Béla Zsolt “Le nove
valigie”, il cui protagonista, incapace di separarsi da esse, anche solo
di ridurle e di fare una scelta fra ciò che contengono, non riesce a
salire sul treno carico di coloro che cercano la salvezza. Trova invece
posto su quello che lo riporta nel centro del caos e dell’inferno,
nell’Ungheria delle Croci frecciate e dell’occupazione tedesca. “Credevo
di correre avanti, ma la montagna mi veniva dietro” fa dire Isaac Singer
a uno dei suoi personaggi. E purtroppo il passato non svelato dalla
consapevolezza, quello di cui restiamo prigionieri, divora con sé anche
il futuro. Non ci lascia le energie per sognarlo, né la lucidità per
progettarlo. Nel nostro vivere impastato di presente, così come nella
nostra lingua, il futuro sembra un tempo morto.
golferasi@yahoo.it
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