agli  incroci  dei  venti:  graffiti

 
 

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La guerra raccontata, sulla “pellicola filmica” di marmo de la colonna Traiana

di Luigi Impieri

 
 

Come far conoscere al pubblico le conquiste che gli Imperatori romani si preparavano a compiere ai danni di altre popolazioni, in un’epoca in cui grandi e potenti tecnologici mezzi di comunicazione di massa, non esistevano?
Come ammaliare la società dell’epoca o meglio sbalordirla, come diremmo oggi, con effetti speciali e convincerla in merito alla “bontà” delle spedizioni di conquista, della potente macchina militare, di Roma Imperiale?
Erano queste, possiamo immaginarle, domande ricorrenti, a cui il potere politico e militare romano anche nel I sec. dC. cercava di darsi risposta.
In un'epoca in cui, a differenza di oggi, non c’era nessuna forma rapida di comunicazione propagandistica in grado di arrivare velocemente nelle case di tutta la gente; bisognava trovare una strategia affinché quelle importanti conquiste potessero essere trasmesse non solo al popolo del tempo, ma anche ai posteri.
Unico mezzo cui affidarsi dunque, era l’opera d’arte, come forma di comunicazione di massa.
Gli artisti diversamente dagli scrittori, potevano, infatti, essere in grado di trasmettere informazioni a tutti, colti e analfabeti, utilizzando un linguaggio più rapido, quello delle immagini.
Certo, essi dovevano mettersi in posizione di sudditanza rispetto al sistema politico, ma d’altra parte non troppo diversamente, rispetto a ciò che oggi sempre più spesso accade col giornalismo nostrano (vedans le ultime dichiarazioni in proposito del nostro Presidente, Ciampi).
Ma la subordinazione degli artisti, all’epoca, era talmente dichiarata, che essi stessi, benché fossero consapevoli di avere a volte realizzato veri capolavori, almeno dal punto di vista estetico, evitavano addirittura di firmare le proprie opere (forse per un senso di ammissione nei confronti del loro inqualificabile comportamento?).
E’ il caso dell‘autore di cui appunto non si conosce il nome della marmorea Colonna Traiana (110-113 dC.) fatta erigere da come si evince dal nome, per onorare le imprese belliche, perpetrate da Traiano Imperatore, ai danni dei Daci, in due momenti cruciali di quella lunga campagna militare: 101 - 102 e il 105 - 107 dC.
La colonna alta oltre 30 m fu fatta sistemare a Roma nel Foro (progettato verosimilmente, dal grande architetto, Apollodoro di Damasco), per celebrare le gesta, dell’Imperatore in questione.
Eretta, nel luogo del suo sepolcro, era circondata dalle due biblioteche, greca e latina, dalle quali era più facile osservare ed ammirare le immagini realizzate sulla còclide.
Alla sua sommità svetta oggi la statua di San Pietro che ha sostituito quella dell’Imperatore (ciò ha garantito la salvezza della colonna, che altrimenti come spesso avveniva sarebbe stata distrutta) all’indomani del sopravvento al potere della cristianità sul mondo pagano.

Colonna Traiana

Ma quel che più esteticamente affascina della colonna è il suo fregio, che si dipana in forma di spirale (còclide appunto), lungo il suo fusto per circa 200 metri.
Per determinare un effetto di più marcato realismo prospettico e di bilanciamento complessivo delle scene, l’artista ha studiato le dimensioni delle diverse fasce, facendole variare a partire dal basso da 60 a 80 cm.

Colonna Traiana

Qui sono raccontate minuziosamente, come in un “fumetto” (ma forse sarebbe meglio dire, documentaristicamente), avvolgente, gli avvenimenti, con il punto di vista dell’anonimo autore dell’opera, denominato, Maestro di Traiano, il quale “ovviamente” come premesso, racconta gli avvenimenti, parteggiando per la committenza Imperiale.
Ed è questo modo di raccontare le cose, che ce le lascia paragonare a certi servizi televisivi “patinati”, asserviti al potere costituito, che ci descrivono le guerre come quella che attualmente si sta svolgendo in Iraq, da un unico punto di vista, quello di una parte dell’occidente cattolico-protestante, che intende dare la caccia al nemico mussulmano, reo di possedere una cultura “altra”, che “dev’essere assolutamente dominata”.
Sul piano stilistico l’anonimo “Maestro di Traiano”, ha utilizzato, in quest’opera, la tecnica del bassorilievo, incidendo la pietra con un rilievo molto basso, in taluni casi effettuando una leggera incisione, così da far assomigliare l’Opera ad un dipinto.

La storia che si svolge con ritmo incalzante e senza interruzioni, si “legge” cronologicamente dal basso verso l’alto; come ci riferisce lo storico dell’arte, Francesco Abbate: “non più semplice cronaca, ma commossa epopea.
Con una tensione drammatica che quasi mai si allenta sono raffigurate le battaglie, le marce faticose, il passaggio dei fiumi, l’assalto alle città, i boschi e le pianure, le fortificazioni e gli accampamenti e nella disperazione dei vinti, nella sofferenza dei feriti, nel dramma dei prigionieri si fa strada un sentimento nuovo di umana pietà.”
A partire dalla parte inferiore della colonna vi è l’insediamento Romano in terra Dacia (l’attuale Romania), che si traduce nella realizzazione di un complesso sistema di fortificazione, secondo naturalmente lo stile e la tecnica ingegneristica, della Roma imperiale.
Verso la sommità della colonna, luogo in cui ormai il “film” volge al termine, assistiamo alla scena del suicidio di Decèbalo, re dei Daci.
Ormai irrimediabilmente braccato ed accerchiato all’interno della boscaglia dai soldati Romani si dà eroicamente alla morte, volgendo il fiero sguardo al nemico, uccidendosi prima di poter cadere vivo nelle altrui mani.
La storia termina enfaticamente, come descrivono i libri di scuola sui quali si dice che il “Maestro di Traiano” rappresenta i romani che rendono onore alla grandezza morale del nemico vinto, esaltando le loro virtù come popolo capace di rispetto ed ammirazione anche per il comportamento dignitoso e coraggioso di un re barbaro.
Anche questo finale ci sembra quello di un film che molto probabilmente vedremo prossimamente su vera pellicola cinematografica, anzi, su CD e DVD anziché su marmo, e come sempre accade anche questa volta chi scriverà la narrazione dei fatti saranno ancora i vincitori ma… sarà proprio quella la verità?

 
 
 
 

Luigi Impieri

 
 

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