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La scuola delle donne (e delle pagelle)

di Ghismunda

 
     
 

L’anno scorso ho avuto un ragazzo. Un giovane neo-laureato in lettere. Una rarità. E’ stata un’esperienza interessante, diversa dal solito. Ed io a chiedermi perché diversa, a ragionare in termini di differenza e di genere. Quest’anno sono tornata alla normalità, cioè alle donne: la mia prima tirocinante è una giovanissima neo-laureata in lettere. Molto motivata. Determinata.
Mi sembra di rivedermi com’ero. Come sono ancora. Guaio o fortuna che sia.

E’ da qualche anno ormai che tra i “doveri” di alcuni insegnanti c’è anche quello di svolgere un’attività di tutor d’aula per la Scuola di Specializzazione per Insegnanti di Scuola Secondaria.
In pratica si tratta di insegnare ad insegnare a chi vuole insegnare.
Tralascio i complessi problemi di natura politica e sindacale che l’ingresso dei “sissini” ha comportato nelle scuole. Il mondo del precariato ne sa qualcosa. Io che sto dentro in pianta stabile devo comunque occuparmi di loro. E so che si tratta di persone, tutte donne, o quasi, che hanno scelto liberamente la professione dell’insegnamento. Poco remunerata, piuttosto in basso, almeno in Italia, nella scala del prestigio sociale, faticosa, frustrante… Però l’hanno scelta. E non si tratta di un ripiego.

In cattedra ormai ci sono e ci saranno soprattutto donne. Il maestro di Vigevano non esiste più. Alle elementari la percentuale di insegnanti donne è di poco inferiore al 95%, alle medie inferiori è dell’85%, oltre il 60% nelle superiori. Anche senza statistiche, basta comunque andare a prendere i figli a scuola o partecipare al ricevimento genitori per rendersi conto della femminilizzazione dell’insegnamento.
Luoghi comuni e misoginia impazzano nella spiegazione di questo fenomeno (ancora una volta più rilevante in Italia che negli altri paesi europei).

Luoghi comuni.
Si fanno poche ore, il pomeriggio è libero, è un lavoro che la donna può conciliare con la famiglia. Le prime due spiegazioni sono una falsità, la terza mi irrita profondamente: come a dire che il nostro posto è prima di tutto ai fornelli e tra pannolini e camicie. Tutto il resto è secondario. Un optional, anche laddove è una necessità. Se non ci liberiamo di questa impostazione mentale, la nostra vita è condannata a svolgersi tra sensi di colpa e corse pazze per far andare le cose nel verso giusto. Che è poi quello che secoli di convenzioni hanno stabilito per noi.
Se una donna lavora “troppo” raccoglie biasimo.
Se un uomo lavora “troppo” riscuote ammirazione.
Dicono anche che è un lavoro “naturalmente” più adatto alla donna, perché ha a che fare con bambini e ragazzi. E’ l’equivoco di chi vede nell’insegnamento nessuno specifico professionale sessualmente neutro. Come se insegnare fosse la continuazione del fare la mamma. Perché allora non anche del fare il padre? La verità è che la scuola non deve essere un’altra famiglia, ma un’opportunità, forse la principale, per staccarsi dalla famiglia. E prepararsi alla vita. Quella liberamente scelta. Il motivo per cui sarebbe bene che ci fossero più insegnanti maschi non sta nella necessità di riproporre anche a scuola il ruolo maschile, la figura paterna, ma nella opportunità di mettere gli allievi a contatto con personalità, caratteri e modelli di umanità ricca e varia. La società non è fatta di sole donne.

Misoginia.
Da una parte dicono che le donne sono più adatte all’insegnamento e l’insegnamento è più adatto a loro. Dall’altra riversano sulle donne la colpa dei molti mali della scuola. Qualche esempio.
Non è forse la massiccia presenza delle donne, sesso “debole”, ad impedire la valorizzazione salariale del ruolo del docente?
Non è forse la massiccia presenza delle donne, sesso “debole”, a causare un allentamento della disciplina, dell’ordine e della severità nelle classi?
Non sono forse le donne, impegnate a tenere in piedi scuola e famiglia, a rifiutare l’innovazione, vedendo in un ulteriore impegno di lavoro una minaccia al precario equilibrio domestico?
Non parte forse dalle tante insegnanti donne un gravissimo attentato all’identità maschile?
Come è possibile, d’altronde, che insegnanti donne trasmettano bene un patrimonio di pensiero e di cultura quasi completamente elaborato da menti maschili?
Sono “accuse” più diffuse di quanto si creda. Ma io so che per la maggior parte delle insegnanti donne il loro lavoro è tutto, è l’unico lavoro. Mentre per i pochi colleghi maschi è più spesso un secondo lavoro, oltre quello di ingegneri, avvocati, commercialisti, architetti… Un’utile, anche se piccola, retribuzione in più. Che sono soprattutto le donne, con sacrifico ed abnegazione, a reiventarsi continuamente la didattica, affinché il sapere elaborato magari da menti maschili diventi comprensibile e quindi fruibile e spendibile. C’è bisogno di uomini nell’insegnamento. Ma uomini motivati, non delusi o distaccati, convinti di fare un lavoro di serie B. Uomini come il “mio” ragazzo dello scorso anno.
Una scuola che ci crede, insomma. Tanto degli uomini che delle donne.

Una scuola seria. Che non spaccia per grande riforma e rivoluzione la soppressione delle pagelle tradizionali. Ogni scuola, ha annunciato oggi il ministro, potrà crearsi il suo modello di pagella “personalizzata”. Standard, livelli e obiettivi comuni vanno a farsi benedire. Nella casa delle libertà ognuno fa come vuole. Autonomia uguale anarchia. Ma la riforma “vera” c’è: le spese per le nuove pagelle saranno a carico delle scuole. Vuoi mettere? E’ pur sempre una voce di bilancio in meno…

Pubblicato in: La voce di Ghismunda, 7 dicembre 2004
 

 
 
 
 

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