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Pigmalione e il villaggio inanimato

di Angelo Moroni

 
 

Lo strumento tecnico come vero e proprio “oggetto d’amore”, seppure inanimato, è un “topos” molto antico. Richiama infatti il mito di Pigmalione, re di Cipro, il quale, disgustato dagli innumerevoli vizi che la natura ha regalato alla donna, decide di vivere senza una sposa. Pigmalione, tuttavia, un giorno scolpisce una statua d’avorio e subito se ne innamora follemente. Chiede quindi ad Afrodite di dar vita alla sua creazione, nella quale ha riposto tutte le sue aspettative. Si noti che, il “prologus” mitologico ci avverte subito del tessuto narcisistico di cui è fatto il desiderio pigmalionico: egli è infatti critico e deluso dall’oggetto reale (oggetto interno parentale originario, in primis), e se la prende con la natura, proiettando su di essa la colpa di non consentirgli un accesso/possesso speculare-onnipotente alla/della donna. Quindi ecco che Pigmalione riempe l’oggetto di sé, lo crea a sua immagine e somiglianza. Nel caso del computer, è il fruitore che “lo riempie” di programmi prescelti, di siti e “bookmarks” a sua immagine. Finisce col sentire che è una sua creatura (come un blog, per l'appunto). Nel caso di Internet non è completamente il fruitore a dar vita all’oggetto. La rete è infatti interattiva, la vita ce l’ha già. Sono stati riportati molti casi, però, dove il fruitore sente che “non c’è vita al di fuori della rete”, come dire, implicitamente che ad essere investito come oggetto è l’oggetto tecnologico, operazione mentale a cui fa riscontro una de-animazione affettiva del mondo oggettuale reale. Scrive ad esempio J.C.Herz, giovane redattrice della rivista Weird, nel volume “I surfisti di Internet” (1993): “ Ebbene, la mia amata università ha deciso di buttarmi fuori a calci nel sedere dal nido per farmi affrontare il mondo reale. Stanno chiudendo il mio accesso a Internet. Laurearsi non è stato difficile. Traslocare in un’altra città, trovare lavoro e fare nuove amicizie non è stato un problema. Ma perdere la rete…Questa è una cosa seria. Perdere la connessione con la rete è un destino che provoca un terrore mortale in qualsiasi abitante del cyberspazio. E’ qualcosa che non può neanche essere definita peggiore della morte, perché è una ‘specie’ di morte” . La Herz, mostra qui, la manifestazione di un atteggiamento che non possiamo che definire “abbandonico”, nel senso proprio dell’investimento di un oggetto inanimato come oggetto d’amore, la cui assenza, attiva nel soggetto l’emergenza di angosce di morte, senza una reale capacità di elaborazione secondaria. Come vediamo in questo esempio così attuale, è come se, in una versione moderna del mito, Pigmalione fosse improvvisamente caduto in disgrazia al cospetto di Afrodite, la quale, per vendicarsi della superbia del re, gli avesse fatto scomparire da sotto gli occhi la sua ammaliante creazione, causandogli un incredibile dolore, nonché generando altre ipotetiche varianti narrative del mito. Tuttavia, nel caso riportato dalla Herz, vediamo che il mondo reale è disinvestito perché trasformato affettivamente in persecutore (“…ha deciso di buttarmi fuori a calci nel sedere dal nido per farmi affrontare il mondo reale”. Qui l’uso del sarcasmo – “la mia amata università”- appare come segnalazione di uno spostamento dell’aggressività, dalle funzioni d svezzamento esercitate dalle imago parentali internalizzate, al contenitore Università, visto come sostituto materno adolescenziale)

In Psichetechne, 23 novembre 2004
 

 
 
 
 

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