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Ora che
l’amministrazione Bush ha detto chiaramente quanto si senta offesa dalle
affermazioni di Amnesty International, che ha definito il campo di
prigionia di Guantanamo Bay “il gulag dei nostri tempi” [vedi
rapporto A.I. 2005], ci auguriamo vivamente che faccia qualcosa per
affrontare i problemi di cui già altri prima di Amnesty International
avevano parlato.
Ciò che Guantanamo rappresenta - condizioni durissime di detenzione a
tempo indefinito in assenza di accuse formali o procedimenti legali -
può o meno portare la mente alle tante colonie penali del regime
stalinista dell’ex Unione Sovietica, ma di certo nulla ha a che vedere
con nessuna delle nozioni americane di giustizia o applicazione della
legge.
Il nostro collega Thomas L. Friedman qualche giorno fa ha proposto la
soluzione giusta. La cosa migliore che Washington può fare per arginare
questa vergogna che colpisce il nostro Paese è chiudere [il campo]. E’
propaganda per i nemici dell’America, è imbarazzo per i nostri alleati,
è un dannoso ripudio del sistema di giustizia americano, nonché un
validissimo strumento di reclutamento per gli islamici radicali, fra cui
futuri terroristi.
Se è possibile presentare formali accuse, in base alle leggi americane,
nei confronti dei 500 e più detenuti che ancora si trovano a Guantanamo,
allora che tali accuse vengano mosse in fretta nell’ambito di tribunali
americani. Se, come sostiene l’amministrazione [Bush], alcuni dei
detenuti sono membri attivi e pericolosi di gruppi che tramano al fine
di commettere atti terroristici contro gli Stati Uniti d’America, allora
devono essere mosse nei loro confronti accuse precise secondo i termini
di legge. Se ci sono detenuti nei confronti dei quali nessuna accusa può
essere mossa, allora che vengano rilasciati e messi in condizione di
tornare a casa loro o di andare in un altro Paese, ma l’amministrazione
[Bush] non dovrà mandarli in Paesi dove vigono dittature compiacenti e
dove le autorità locali potrebbero sottoporli a torture, come accaduto
recentemente in Uzbekistan, Siria ed Egitto.
Ciò che rende appropriata la metafora del gulag usata da Amnesty è che
Guantanamo non è che l’anello di una catena quasi sconosciuta di campi
di detenzione fra cui troviamo anche Abu Ghraib in Iraq, il carcere
militare di Bagram [Bagram Air Base] in Afghanistan e altre prigioni in
luoghi segreti gestiti dalle agenzie di intelligence. In ognuna di
queste carceri sono stati segnalati abusi, torture e omicidi. Non si
tratta di incidenti isolati, bensì di una prassi ben diffusa nel sistema
detentivo a livello mondiale priva del rischio di incappare in
responsabilità legali. I prigionieri vengono trasferiti da campo a
campo. E così anche gli ufficiali che dirigono i campi. E anche, forse
non casualmente, alcuni specifici metodi di maltrattamento.
In oltre due secoli di pace e guerra, gli Stati Uniti hanno sviluppato
un sistema legale altamente efficiente, seppur lontano dall’essere
perfetto, giustamente ammirato dal mondo intero. Il sistema parallelo
che resta nell’ombra creato dall’amministrazione Bush all’indomani degli
attacchi terroristici dell’11 settembre, ha dimostrato la sua
inferiorità sotto ogni punto di vista. Sembra non aver dato risultati in
merito alla scoperta di prove e alla persecuzione dei più pericolosi
terroristi, mentre è molto effettivo nel danneggiare la reputazione
dell’America riguardo a giustizia, equo trattamento dei colpevoli e
trattamento umano degli innocenti.
E’ ora di tornare ai princìpi basilari di giustizia che tanto bene hanno
fatto all’America anche nei momenti più difficili del passato. Chiudere
Guantanamo è soltanto un primo passo, ma un passo cruciale che darebbe
immediatamente i suoi frutti in tutto il mondo, non soltanto
ristabilendo la reputazione degli Stati Uniti, bensì anche rafforzando
la sua sicurezza nel mondo.
Fonte :
Editoriale, The New York Times
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