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Il Texas non è amico degli imputati di colore

di Sheldon Alberts
(libera traduzione di Arianna Ballotta)

 
     
 

In linea di massima quasi tutti gli americani (e i canadesi, per quel che conta) sanno per istinto che non è una buona idea avere a che fare con la legge in Texas. Lo Stato della Stella Solitaria non tollera i trasgressori, è semplice. Se non ci credete, date un’occhiata al sito web del Dipartimento di Giustizia Penale del Texas (TDCJ), dove è chiaramente scritto che 345 assassini sono stati giustiziati dal 1982 ad oggi e che altre 440 persone sono rinchiuse nel braccio della morte. Ma la Corte Suprema degli Stati Uniti questa settimana ha fatto sapere a tutti che è necessario stare particolarmente attenti se, oltre ad essere accusati di un crimine in Texas, si è anche di colore.

Con 6 voti a 3, la Corte Suprema ha rovesciato la condanna capitale di un uomo di colore di nome Thomas Joe Miller-El, emessa nel 1986, ritenendo che i procuratori di Dallas avevano manipolato la selezione dei potenziali giurati al fine di avere il maggior numero di giurati di razza bianca. Miller-El, accusato di aver sparato durante una rapina ad un ragazzo di 25 anni, impiegato di un hotel, era stato giudicato colpevole e condannato a morte da una giuria composta da undici persone di razza bianca ed una di colore. In base alle testimonianze rese, la Corte Suprema ha stabilito che il 91% delle persone di colore (10 su 11su un totale di 108 potenziali giurati) erano state escluse durante le selezioni. Fra le tecniche utilizzate al fine di assicurarsi una giuria composta interamente o principalmente da bianchi, i procuratori avevano esercitato la facoltà di eliminare dalla lista di potenziali giurati i nomi di persone di colore non appena uno di questi nomi si avvicinava alla cima della lista. I procuratori avevano altresì approfittato di una norma che dà [sia alla Difesa che all’Accusa] la facoltà di escludere potenziali giurati senza dover fornire alcuna spiegazione, ed avevano escluso quelli di colore.

Sembrano cose risalenti alla segregazione sudista degli anni ’60, e in effetti è la stessa cosa. La maggioranza dei Giudici della Corte Suprema ha infatti determinato che i procuratori stavano seguendo le istruzioni di un manuale approntato appositamente per i procuratori della Contea di Dallas nel 1963, dove sta scritto: “[…] Non accettare [in giuria] ebrei, negri, messicani, individui di origine spagnola, portoghese o italiana, e membri di un qualsiasi gruppo etnico minoritario, indipendentemente dal loro livello culturale, dalla loro istruzione e posizione socio-economica”.

In discussione [nel riesame da parte della Corte Suprema] non c’era la colpevolezza o l’innocenza del signor Miller-El, [in quanto] in base alle prove una delle sue pistole era stata utilizzata nella rapina, ma si doveva determinare se l’imputato aveva beneficiato, come suo diritto, di un processo equo. La Corte Suprema non ha accettato la versione dello Stato del Texas, cioè dei procuratori della Contea di Dallas, secondo cui i potenziali giurati di colore erano stati esclusi in quanto ambivalenti in merito all’applicazione della pena capitale o perché non certi di voler essere membri di una giuria. “Non rispecchia la realtà”, ha scritto il Giudice David Souter a nome della maggioranza, “[in quanto] in almeno due delle eliminazioni [di nomi] dalla lista da parte dello Stato ciò non è vero e non si trattò che di tentativi di escludere i potenziali giurati di colore”.

Secondo voci che girano nei circoli legali statunitensi, i pregiudizi razziali in Texas non sono un’eccezione, ma piuttosto la regola. E non riguardano soltanto casi risalenti a 20 anni fa. La decisione nel caso Miller-El è la quarta simile presa dalla Corte Suprema nel giro di 2 anni, sempre relativamente al Texas e ad imputati di colore, cosa che esperti interpretano come una crescente mancanza di fiducia nel sistema giudiziario di questo Stato. Nel 2004 la Corte ha rovesciato le condanne di due uomini di colore in quanto i giurati non erano stati informati delle loro gravissime difficoltà di apprendimento (uno dei due ha un quoziente intellettivo di 67). La Corte non ha discusso in merito alla colpevolezza degli uomini, ma sul fatto che se le condizioni mentali [degli imputati] fossero state rese note ai giurati, forse [gli imputati] non sarebbero stati condannanti a morte, ma a pene più lievi. In un altro caso, la Corte Suprema ha determinato che i procuratori texani avevano trattenuto delle prove che, se presentate, avrebbero potuto discolpare un imputato di colore.

Secondo uno studio condotto nel 1986 dal Dallas Morning News, in 100 casi di gravi reati scelti a caso, i procuratori avevano escluso arbitrariamente il 92% di potenziali giurati di razza nera. “Credo che molti Giudici della Corte Suprema, quelli appartenenti alla parte critica, già da un po’ abbiano perso fiducia e non siano più certi che le Corti texane, o le Corti Federali che dovrebbero porre rimedio agli errori commessi dalle Corti texane, stiano facendo bene il loro lavoro”, da dichiarato alla Associated Press David Dow, docente di legge presso la University of Houston.

La decisione presa dalla Corte Suprema si è rivelata agrodolce per gli attivisti dei diritti civili negli USA, in quanto giunta nel momento in cui gli americani festeggiavano due pietre miliari nella lotta per la riconciliazione razziale: il processo in Mississippi contro l’ex membro del Ku Klux Klan, Edgar Ray Killen, accusato di aver ucciso 3 attivisti per i diritti civili nel 1964, con una giuria composta da 3 neri e 9 bianchi, un mix razziale assolutamente impensabile nello stesso Stato 40 anni fa, e la Risoluzione approvata a Washington dal Senato americano nella quale si chiede scusa per non aver mai dichiarato illegali i linciaggi con una legge adeguata. La Senatrice della Lousiana Mary Landrieu, co-autrice della Risoluzione, riferendosi ai legislatori, ha detto: “è ora di essere onesti in merito alle nostre mancanze, e quantomeno dobbiamo dire che siamo dispiaciuti”. L’appello della Senatrice è stato accolto da altri 91 Senatori che hanno deciso di sottoscrivere la Risoluzione, mentre secondo 8 Senatori non c’era alcuna necessità di presentare scuse formali.

Sono passati 51 anni da quando, nel caso Brown v. The Board of Education, la Corte Suprema decise che le persone di colore avevano il diritto di frequentare le stesse scuole pubbliche frequentate dalle persone di razza bianca.

Ne sono passati 41 dall’approvazione del Civil Rights Act che poneva legalmente fine alla segregazione e alle disuguaglianze razziali nella società americana.

Ma, come dimostrato dagli accadimenti recenti, le vecchie ferite sono ben lungi dall’essere rimarginate.
 


Fonte: The National Post, 17 giugno 2005 (Canada)


 

 

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01/07/2005

 

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