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Un trilione, ovvero
mille miliardi. Per l'esattezza 1.035 miliardi di dollari. Rappresenta
il 2,6 per cento del prodotto mondiale ed ammonta a
162 dollari
per ogni abitante del pianeta. Non è la somma degli "aiuti allo
sviluppo", bensì quella destinata nel 2004 alle spese militari. Una
cifra in crescita del 6 percento rispetto all'anno precedente: "dai
tempi della Guerra Fredda non si spendeva tanto per eserciti e armi" -
dice il Rapporto annuale del Sipri, l'autorevole Istituto internazionale
di Stoccolma per la ricerca sulla pace.
Cifre che passano inosservate, nonostante la kermesse musicale e
mediatica del "Live 8 for Africa" in vista del vertice del G8 che si
svolgerà dal 6 all'8 luglio prossimi a Gleneagles, in Scozia. Ma sulle
quali non guasterebbe un pensiero da parte dei G8. Come segnala Jeffrey
D. Sachs, consigliere speciale di Kofy Annan, basterebbe una quota di
aiuti di soli
135 miliardi di dollari nel 2006 fino a salire a 195 per il 2015 per
raggiungere gli "Obiettivi
del Millennio", quelli definiti dall'Onu nell'assemblea del 2000 per
debellare fame, povertà, malattie endemiche e dare un minimo di
istruzione e sanità ai più poveri della terra (vedere scheda). In
termini percentuali è una cosa quasi irrisoria: si tratta dello 0,54 del
PIL dei Paesi donatori. Ma ancora lontana da raggiungere dai G8: fino ad
oggi, solo cinque Paesi al mondo sono riusciti a raggiungere l’obiettivo
di dedicare lo 0,7 per cento del PIL agli aiuti allo sviluppo
(Danimarca, Lussemburgo, Olanda, Norvegia e Svezia); altri sei Paesi
hanno promesso di farlo entro il 2015 (Belgio, Gran Bretagna, Finlandia,
Francia, Irlanda e Spagna), mentre con lo 0,17 per cento l'Italia e gli
Stati Uniti latitano ancora.
"Cosa rimane di una visione, se non c’è attuazione? Solo
l'allucinazione" - notava Eveline Herfkens, coordinatrice della campagna
Onu sugli Obiettivi del Millennio, nei giorni scorsi a Roma.
L'allucinazione che fa definire ai ministri delle Finanze dei G8 una
decisione di "rilevanza storica", anzi "epocale", la cancellazione del
debito "multilaterale" di 18 nazioni, tra cui 14 africane. Di fatto sono
ben 66 i Paesi poveri oppressi da un debito odioso spesso contratto
sotto lunghi regimi dispotici come la Repubblica Democratica del Congo
(l'ex-Zaire di Mobutu), l'Uganda (passata dalla dittatura di Amin a
quella di Obote) o la Repubblica Centro Africana (soggiogata
dall'imperatore Bokassa e dal non meno dispotico Dacko).
Per evitare ai leader dei G8 i fischi di un possibile flop del Vertice,
il Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale hanno già presentato
due
voluminosi rapporti con la stessa
lapidaria
conclusione: "Aumentare la percentuale di aiuto allo sviluppo non
risolverà i problemi dell'Africa". In altre parole, "è meglio che le
star della musica e gli attivisti di tutto il mondo non si creino false
aspettative". I rapporti spiegano come, in passato, "un aumento degli
aiuti ai Paesi poveri non si sia tradotto in una crescita dello
sviluppo" che sarebbe il "vero motore" della riduzione della povertà.
E qui sta il punto: lo sviluppo. Tra tutte le voci che sentiamo sui
principali media dei sedicenti "esperti" occidentali, non se ne ode una
che metta in discussione il "modello di sviluppo" per l'Africa. Si dà
per scontato che debba essere il medesimo da Abijan, a Ouagadougou a
Cape Town. Rete stradale, ferroviaria, navale e aeroportuale, dighe,
sistemi di irrigazione, centrali idroelettriche, fino a internet e al
cablaggio delle città: queste, dicono gli esperti, sono le
infrastrutture di cui l'Africa ha bisogno. Gli africani, purtroppo,
hanno problemi meno eclatanti, ma più urgenti: dei trenta Paesi al mondo
per maggior mortalità infantile 28 sono in Africa, nella zona
sub-sahariana 3 mila persone al giorno muoiono di malaria, 120 milioni
di bambini africani non possono andare a scuola, milioni vivono negli
slums delle metropoli, ogni giorno 6 mila giovani africani contraggono
l'Hiv-Aids e sono 14 milioni gli orfani dell'epidemia.
Intanto continuano le guerre: sono sedici quelle in corso in Africa e
spesso ben rifornite da armi occidentali. Mentre il Cancelliere dello
scacchiere Gordon Brown annunciava la "storica decisione" della
cancellazione del debito, il quotidiano britannico "The Guardian"
rivelava che negli ultimi quattro anni
la vendita
di armi britanniche ai paesi africani si è quadruplicata fino a
raggiungere il miliardo di sterline. Armi destinate anche a paesi in
conflitto come Eritrea ed Etiopia, Algeria, Sudan, Zambia, Uganda,
Namibia e Somalia ed a paesi poverissimi come Angola e Malawi. "E' tempo
per i leader del G8 di decidere con coraggio e coerenza. L'Africa non
può più aspettare" - ha detto Nelson Mandela. Parole sante.
La Scheda: Niente
scuse sugli Obiettivi del Millennio
Eliminare la povertà estrema e la fame, assicurare l’istruzione
primaria, ridurre la mortalità infantile e delle mamme, combattere le
malattie che oggi devastano intere regioni del pianeta, proteggere
l’ambiente, assicurare acqua potabile, promuovere l’eguaglianza fra
uomini e donne e creare un’alleanza globale a favore dello sviluppo.
Sono questi i "Millennium Development Goals", gli Obiettivi del
Millennio che 189 capi di stato e di governo riuniti nel 2000 alle
Nazioni Unite si sono impegnati a raggiungere entro il 2015.
"Obiettivi che, continuando di questo passo, non potranno essere
raggiunti" - denunciava nei giorni scorsi a Roma la "Coalizione italiana
contro la povertà", organizzazione composta da oltre cinquanta tra
associazioni e ong nazionali tra cui Acli, Action Aid, Focsiv, Mani
Tese, Tavola della Pace e Wwf. Sul banco degli imputati Germania,
Spagna, Austria, Grecia e Italia: non raggiungeranno entro il prossimo
anno l'obiettivo, fissato dall'Ue di destinare agli aiuti allo sviluppo
lo 0,39% del PIL. L'Italia, in particolare, ha mantenuto dal 2000 al
2003 una percentuale dello 0,17%; le previsioni per il 2005 sono dello
0,15%".
Parte della "Global Call to Action against poverty" internazionale, la
Coalizione italiana chiede, tra l'altro, di promuovere un commercio più
equo, eliminando i sussidi alle esportazioni agricole occidentali, la
cancellazione del debito estero dei paesi poveri, di ridurre le spese
militari e di controllare il commercio delle armi. [G.B.]
Unimomdo,
4 luglio 2005
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