agli incroci dei venti

 
 

Storie di questo mondo

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Il passato nascosto

di Silvia Golfera

 
     
 

‘Più di una compagna di scuola ricordava di aver visto Marianne camminare da sola sul marciapiede opposto, portando la stella gialla, ma nessuno si azzardava di dare segno di averla riconosciuta’, annota lo storico Mark Roseman.
‘Che strana ragazza, con la sua calma apparente. Terribili cose devono avvenire dentro di lei…eppure mantiene le apparenze, come un’armatura che impedisce al corpo di accasciarsi. Si intuisce che è pietrificata’ scrive nei suoi appunti un amico che le presterà soccorso.
‘A volte devono pensare tutti che le cose più importanti mi sfiorano a malapena…, ma io respingo tutto in fondo, senza lasciare avvicinare nessuno’ confida al proprio diario la stessa Marianne.
Così appare nell’anno 1942: Marianne Strass, una ragazza di Essen di 19 anni, con un fratello minore che si chiama Richard, un fidanzato di nome Ernst e un diploma come puericultrice conseguito nell’unica scuola ebraica di Berlino ancora in grado di fornire un titolo riconosciuto dallo stato. Nonostante le pesanti discriminazioni cui è sottoposta in Germania la popolazione ebraica, Marianne, chiusa in un mondo a parte, è riuscita finora a condurre una vita quasi normale. Nella scuola di Berlino poi viene a contatto con artisti e intellettuali di prim’ordine che la forzata esclusione dalla vita sociale ha costretto a cercare lavoro nelle poche scuole che le comunità ebraiche riescono ancora a gestire. Ha un carattere forte e indipendente, ben decisa a non farsi sottomettere da alcuno, a cominciare dai genitori che cercano di educarla secondo i rigidi principi della borghesia tedesca. Ma il 1942 è l’anno della svolta, l’anno in cui tutto il suo mondo, già così precario, viene spazzato via. La Conferenza di Wannsee, che vede riuniti in gennaio i maggiori esponenti del regime, in un sobborgo di Berlino, ha definitivamente sancito e messo a punto le strategie per la soluzione finale. Il destino degli ebrei rimasti in Germani è segnato. In aprile il fidanzato Ernst, assieme a molti altri israeliti di Essen, viene deportato a Izbica, un villaggio polacco, scelto come residenza per gli ebrei tedeschi e cechi, in attesa del viaggio finale a Treblinka o Sobidor. Delle condizioni di vita in questo ghetto, di cui si conosceva appena l’esistenza, per la quasi totale mancanza di sopravvissuti, Ernst fornisce un drammatico resoconto grazie al dettagliato rapporto che riesce a far avere a Marianne. “Siamo arrivati a Izbica di sera, sotto la pioggia e abbiamo trovato ad accoglierci polizia ebraica e le SS che ci hanno ammassato in alloggi simili più che altro a grotte…Tutto è sudicio e infestato dagli insetti…Il codice legale qui è molto semplice da descrivere: la pena di morte. Ogni cosa è proibita e la pena è sempre quella che ho appena indicato” scrive alla fidanzata. Ma la cosa sorprendente è che latore della lunga lettera è un SS, Cristian Arras, conoscente dei due ragazzi, per i quali si offre come corriere. Arras era rimasto profondamente turbato da ciò che aveva visto a Izbica e cercò successivamente di mettere in guardia altri ebrei di Essen. Uno dei pochi esempi, ma pur sempre una testimonianza, che dimostra come la società tedesca non sia stata monoliticamente indifferente alla sorte dei propri concittadini ebrei.
Ma poi neanche ‘il nazista Arras’ riesce più ad entrare ad Izbica ed Ernst sparisce nella liquidazione del ghetto. Marianne scrive ripetutamente alla Croce Rossa, per averne notizia: “ In riferimento alla sua lettera…la informo che il suddetto non è più reperibile nel campo e che ulteriori ricerche sono inutili” è la secca risposta. Il chè apre un ulteriore interrogativo: la Croce Rossa tedesca era al corrente dei crimini dei nazisti? Li copriva? E poi è il tracollo. La sua stessa famiglia, fino ad allora risparmiata in virtù della posizione sociale e di alte protezioni politiche (emerge infatti che l’Abwehr, il servizio di controspionaggio della Wehrmacht, cercava di far espatriare alcuni ebrei particolarmente influenti e con agganci internazionali in parte per intascare denaro, a volte per servirsene come insospettabili spie) viene evacuata a Theresienstadt e in seguito perisce ad Awschwitz. Ma mentre i genitori preparano i bagagli Marianne fugge: “Correvo a perdifiato, aspettandomi da un momento all’altro di sentire alle mie spalle un colpo di pistola…Invece nessuno sparò, nessuno mi inseguì.”racconta Marianne allo storico Mark Roseman che la intervista negli ultimi giorni della sua vita e che, attraverso l’enorme quantità di documenti che aveva conservato, ricostruisce quel passato che lei si era sempre rifiutata di svelare, perfino al marito e ai figli, attanagliata dal rimorso di non aver condiviso la sorte dei genitori, del fratello e del fidanzato.
Marianne sopravvive nella Germania in guerra, che fa della caccia all’ebreo una ormai paranoica ossessione, grazie alla sua straordinaria capacità di autocontrollo e di concentrazione e all’appoggio della Bund. Niente a che fare con la Bund polacca, il partito degli operai ebrei, ma un movimento che aveva saputo tradurre i propri principi libertari in uno stile di vita più che in aperta militanza e che, grazie alla coesione dei suoi membri e alla capacità di mimetizzarsi, aveva superato indenne il nazismo. Marianne viene ospitata da diversi militanti che le forniscono, di volta in volta, falsi documenti. Alla fine della guerra, amareggiata dal clima politico tedesco, Marianne approda in Inghilterra, dove si costruisce una nuova identità di moglie e madre, dentro cui seppellire un passato così gravoso da farsi inenarrabile.
‘Io sono perduta per il mondo’, aveva suggerito come titolo di queste memorie, poco prima di morire.

Mark Roseman.
Il passato nascosto
Corbaccio

 

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11/07/2005

 

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