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‘Più di una
compagna di scuola ricordava di aver visto Marianne camminare da sola
sul marciapiede opposto, portando la stella gialla, ma nessuno si
azzardava di dare segno di averla riconosciuta’, annota lo storico Mark
Roseman.
‘Che strana ragazza, con la sua calma apparente. Terribili cose devono
avvenire dentro di lei…eppure mantiene le apparenze, come un’armatura
che impedisce al corpo di accasciarsi. Si intuisce che è pietrificata’
scrive nei suoi appunti un amico che le presterà soccorso.
‘A volte devono pensare tutti che le cose più importanti mi sfiorano a
malapena…, ma io respingo tutto in fondo, senza lasciare avvicinare
nessuno’ confida al proprio diario la stessa Marianne.
Così appare nell’anno 1942: Marianne Strass, una ragazza di Essen di 19
anni, con un fratello minore che si chiama Richard, un fidanzato di nome
Ernst e un diploma come puericultrice conseguito nell’unica scuola
ebraica di Berlino ancora in grado di fornire un titolo riconosciuto
dallo stato. Nonostante le pesanti discriminazioni cui è sottoposta in
Germania la popolazione ebraica, Marianne, chiusa in un mondo a parte, è
riuscita finora a condurre una vita quasi normale. Nella scuola di
Berlino poi viene a contatto con artisti e intellettuali di prim’ordine
che la forzata esclusione dalla vita sociale ha costretto a cercare
lavoro nelle poche scuole che le comunità ebraiche riescono ancora a
gestire. Ha un carattere forte e indipendente, ben decisa a non farsi
sottomettere da alcuno, a cominciare dai genitori che cercano di
educarla secondo i rigidi principi della borghesia tedesca. Ma il 1942 è
l’anno della svolta, l’anno in cui tutto il suo mondo, già così
precario, viene spazzato via. La Conferenza di Wannsee, che vede riuniti
in gennaio i maggiori esponenti del regime, in un sobborgo di Berlino,
ha definitivamente sancito e messo a punto le strategie per la soluzione
finale. Il destino degli ebrei rimasti in Germani è segnato. In aprile
il fidanzato Ernst, assieme a molti altri israeliti di Essen, viene
deportato a Izbica, un villaggio polacco, scelto come residenza per gli
ebrei tedeschi e cechi, in attesa del viaggio finale a Treblinka o
Sobidor. Delle condizioni di vita in questo ghetto, di cui si conosceva
appena l’esistenza, per la quasi totale mancanza di sopravvissuti, Ernst
fornisce un drammatico resoconto grazie al dettagliato rapporto che
riesce a far avere a Marianne. “Siamo arrivati a Izbica di sera, sotto
la pioggia e abbiamo trovato ad accoglierci polizia ebraica e le SS che
ci hanno ammassato in alloggi simili più che altro a grotte…Tutto è
sudicio e infestato dagli insetti…Il codice legale qui è molto semplice
da descrivere: la pena di morte. Ogni cosa è proibita e la pena è sempre
quella che ho appena indicato” scrive alla fidanzata. Ma la cosa
sorprendente è che latore della lunga lettera è un SS, Cristian Arras,
conoscente dei due ragazzi, per i quali si offre come corriere. Arras
era rimasto profondamente turbato da ciò che aveva visto a Izbica e
cercò successivamente di mettere in guardia altri ebrei di Essen. Uno
dei pochi esempi, ma pur sempre una testimonianza, che dimostra come la
società tedesca non sia stata monoliticamente indifferente alla sorte
dei propri concittadini ebrei.
Ma poi neanche ‘il nazista Arras’ riesce più ad entrare ad Izbica ed
Ernst sparisce nella liquidazione del ghetto. Marianne scrive
ripetutamente alla Croce Rossa, per averne notizia: “ In riferimento
alla sua lettera…la informo che il suddetto non è più reperibile nel
campo e che ulteriori ricerche sono inutili” è la secca risposta. Il chè
apre un ulteriore interrogativo: la Croce Rossa tedesca era al corrente
dei crimini dei nazisti? Li copriva? E poi è il tracollo. La sua stessa
famiglia, fino ad allora risparmiata in virtù della posizione sociale e
di alte protezioni politiche (emerge infatti che l’Abwehr, il servizio
di controspionaggio della Wehrmacht, cercava di far espatriare alcuni
ebrei particolarmente influenti e con agganci internazionali in parte
per intascare denaro, a volte per servirsene come insospettabili spie)
viene evacuata a Theresienstadt e in seguito perisce ad Awschwitz. Ma
mentre i genitori preparano i bagagli Marianne fugge: “Correvo a
perdifiato, aspettandomi da un momento all’altro di sentire alle mie
spalle un colpo di pistola…Invece nessuno sparò, nessuno mi
inseguì.”racconta Marianne allo storico Mark Roseman che la intervista
negli ultimi giorni della sua vita e che, attraverso l’enorme quantità
di documenti che aveva conservato, ricostruisce quel passato che lei si
era sempre rifiutata di svelare, perfino al marito e ai figli,
attanagliata dal rimorso di non aver condiviso la sorte dei genitori,
del fratello e del fidanzato.
Marianne sopravvive nella Germania in guerra, che fa della caccia
all’ebreo una ormai paranoica ossessione, grazie alla sua straordinaria
capacità di autocontrollo e di concentrazione e all’appoggio della Bund.
Niente a che fare con la Bund polacca, il partito degli operai ebrei, ma
un movimento che aveva saputo tradurre i propri principi libertari in
uno stile di vita più che in aperta militanza e che, grazie alla
coesione dei suoi membri e alla capacità di mimetizzarsi, aveva superato
indenne il nazismo. Marianne viene ospitata da diversi militanti che le
forniscono, di volta in volta, falsi documenti. Alla fine della guerra,
amareggiata dal clima politico tedesco, Marianne approda in Inghilterra,
dove si costruisce una nuova identità di moglie e madre, dentro cui
seppellire un passato così gravoso da farsi inenarrabile.
‘Io sono perduta per il mondo’, aveva suggerito come titolo di queste
memorie, poco prima di morire.
Mark Roseman.
Il passato nascosto
Corbaccio
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