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 Quando le donne scrivono

di Ghismunda

 
 

Mi ha colpito nel blog di Luvi la seguente frase: «Adoro la scrittura “delle” donne, non “per” le donne!».
Mi chiedo: esiste una scrittura delle donne, uno specifico letterario al femminile, fatto di generi e stili diversi dal linguaggio degli uomini e dalla loro espressione letteraria? C’è “qualcosa” che rende riconoscibile la presenza della donna nella scrittura e nella letteratura?
Penso di sì, ma attenzione: scrivere
da donna è ben altra cosa che scrivere per le donne. La scrittura per le donne, fatta anche da molti uomini, in genere è mortificante e di basso livello, sia nei contenuti che nel linguaggio. Penso a tante riviste femminili, tutte gossip, moda e shopping; penso ai libretti di Blu Armony, sfornati in serie come da una catena di montaggio. Ma anche se si innalzasse il livello dei problemi affrontati e delle storie raccontate, non vedo perché ciò dovrebbe dar luogo a scritture per donne, anziché per tutti, maschi e femmine, visto che i problemi di una metà del cielo coinvolgono e ricadono necessariamente sull’altra.
No, la scrittura
per le donne può essere solo frivola, quella delle donne è altra cosa.

Un po’ di storia.
Bisogna attendere la metà del Settecento, e soprattutto il periodo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, perché qualche donna si metta a scrivere per un pubblico esterno ed esca allo scoperto nel mercato editoriale. Pregiudizi e discriminazioni secolari che volevano la donna esclusa da ogni attività sociale e collettiva, avevano imposto precedentemente una scrittura nascosta, praticata per lo più come privata esigenza di confessione personale e nel caso in cui qualche parola o verso trapelasse all’esterno, ad esprimere in genere sofferte pene d’amore, non era raro che l’appellativo di “cortigiana” accompagnasse il nome dell’autrice…
Quando inizia il faticoso cammino di autoaffermazione anche nel campo letterario, non mancano resistenze, preclusioni, sospetti, gelosie, diffidenze, provenienti dal mondo maschile detentore del monopolio della cultura, ma anche da quella parte del mondo femminile che, liberamente o forzatamente relegata tra le pareti domestiche, passa la vita tra cucina e telaio, tra figli e focolare. La donna scrittrice viene vista come stravagante, strana… “Testardissima”, “originale”, “isterica”, “pazza” sono solo alcuni degli appellativi che parenti ed amici usavano nei confronti di
Emily Dickinson. Lei cominciò a vestirsi tutta di bianco (il colore del lutto) e non uscì più dalla sua casa.
L’antico isolamento, la perdurante emarginazione legata al sesso, la limitata istruzione (nella migliore delle ipotesi le bambine frequentavano la scuola fino a dodici, tredici anni… anche troppo per chi deve occuparsi solo di casa e famiglia) non possono non incidere sulla produzione letteraria femminile degli esordi. Ma limitata istruzione non significa limitata cultura. Penso a
Grazia Deledda, a Sibilla Aleramo. Una lettura onnivora, casalinga e furtiva, necessariamente disordinata ed occasionale, ma intensissima, suppliva ad una mancata formazione ed alimentava un’accesa fantasia. Le prime donne ufficialmente scrittrici somigliavano a quelle “nascoste” del passato: la loro scrittura, insopprimibile esigenza dello spirito, nasceva dalla solitudine, dal privato, dal silenzio; in essa riversavano emozioni ed esperienze personali, legate, ancora una volta, né poteva essere altrimenti, alla dimensione domestica, alla vita quotidiana, agli affetti, all’amore. Temi ed argomenti, che sono anche, singolare coincidenza, le motivazioni che portano le donne a scrivere, gettando uno sguardo acuto e sofferto sulle cose, denunciando, più o meno direttamente, l’esistenza di una “questione femminile” e proponendo modelli di donna molto realistici e concreti.
Gli uomini, invece, se scrivevano di donne, offrivano rari ed improbabili modelli di donne fatali o eroine, donne perdute o vittime sacrificali. Donne comuni, mai.
E’ passato molto tempo dalla comparsa della donna nella scrittura pubblica. Si dovrebbe parlare ormai di letteratura e basta, buona o cattiva che sia, senza connotazioni di genere, eppure differenze persistono.

Il punto di vista e lo stile.
Gli occhi delle donne vedono in modo diverso. Colgono spesso l’invisibile, vanno in profondità, afferrano i particolari. Non hanno bisogno di grandi spazi o tempi lunghi per venire a capo di una storia, di persone e di sentimenti. Può bastare una stanza, può bastare una giornata o poche ore. E piccole cose.
Virginia Woolf insegna. Ma anche Wislawa Szymborska: bisogna saper guardare il mondo, un miracolo, basta guardarsi intorno: / il mondo onnipresente.
Come ha scritto un’altra grande scrittrice-premio Nobel,
Nadine Gordimer, le donne realizzano, forse più degli uomini, quei caratteri che fanno lo scrittore vero: “Poteri d’osservazione innalzati oltre il normale implicano uno straordinario disimpegno; o piuttosto un doppio processo: un’eccessiva preoccupazione e un’identificazione nella vita degli altri, e allo stesso tempo un mostruoso distacco. […] La tensione tra lo stare in disparte e l’essere del tutto coinvolti: ecco ciò che fa uno scrittore”. Ciò che fa una donna (scrittrice), abituata tanto allo stare in disparte, quanto al forte coinvolgimento emotivo dettato dalla sua natura e dalla sua condizione.
E poi c’è lo stile, il linguaggio. Che traduce non solo idee, ma gesti, emozioni. Le donne, più degli uomini, parlano di sentimenti attraverso il linguaggio del corpo: l'arrossire, il comparire di un sorriso o di qualche lacrima non sono facili sentimentalismi, ma la corrispondenza tra il dentro ed il fuori, tra emozioni e apparenza.
Margaret Mazzantini presta la voce ed il linguaggio della fisicità ad un uomo e ne nasce un capolavoro:
“Conosco l’odore della tua testa, Angela, e tutti gli odori che dall’esterno, anno dopo anno, hai portato in casa. Per un periodo hai odorato delle tue mani sudate, di pennarelli, della plastica delle tue bambole. Hai odorato di scuola, di corridoi chiusi, dell’erba del parco e di smog. Il sabato sera, adesso, odori dei locali che frequenti, della musica che hai ascoltato. Odori di quello che ti è rimasto nel cuore. Ho annusato la tua contentezza, e le nuvole che ti hanno attraversato. Perché la gioia ha un suo odore, e anche la tristezza. Italia mi ha insegnato ad azzittirmi e a percepire. Lei mi ha insegnato ad annusare. A fermarmi, a chiudere gli occhi per respirare un odore. Uno solo, scomposto tra milioni di altri; aspetti e viene, si aggrega per te: un piccolo fumo, uno sciame di moscerini. E in tutti questi anni l’ho cercata con l’olfatto. Sapessi quante volte ho inseguito un alone lontano, mi sono infilato in un vicolo, ho salito le scale. Lei è rimasta negli odori. E anche adesso, sai, se mi annuso le mani in questa stanza asettica, se schiaccio il naso nel fondo dei miei palmi, io so di trovare il suo odore. Perché lei è nel mio sangue” (
Margaret Mazzantini, Non ti muovere).

Perché si scrive?
Quello che non cambia oggi tra la scrittura degli uomini e quella delle donne sono le motivazioni. La letteratura “alta” è una pratica talmente elitaria, sia per chi scrive sia per chi legge, che mettersi a scrivere, come dice Vargas LIosa, è o un atto di masochismo, o un atto suicida, o un atto di ribellione contro la realtà. Per gli uomini come per le donne.
Perché si scrive? “Per registrare il mondo così com’è. Per fissare il passato prima che tutto sia dimenticato. Per dissotterrare il passato perché è stato dimenticato. Per soddisfare il mio desiderio di vendetta. […] Per fare marameo alla Morte. Per fare soldi, così che i miei figli potessero avere le scarpe. Per fare soldi, così da poter deridere coloro che prima deridevano me. Per farla vedere ai bastardi. Perché creare è umano. Perché creare è divino. Perché non sopportavo l’idea di avere un lavoro. […] Per giustificare i miei fallimenti scolastici. Per giustificare la mia visione di me e della mia vita, perché non potevo essere uno scrittore, a meno che non mi mettessi a scrivere. Per far credere che fossi una persona più interessante di quanto fossi in realtà. […] Per fare un dispetto ai miei genitori. Per inventare una storia affascinante. Per divertire e compiacere i lettori. Per divertire e compiacere me stessa. Per passare il tempo, anche se sarebbe passato comunque. Grafomania. Logorrea compulsava”. Sono solo alcune delle motivazioni che un’altra grande scrittrice dei nostri tempi,
Margaret Atwood, si è divertita a rintracciare nelle pagine degli scrittori nel suo saggio “Negoziando con le ombre”.

Ancora una differenza. Ammesso che ci sia. Le donne leggono la scrittura degli uomini. Ma gli uomini leggono i libri delle donne? Mi piacerebbe che chi passasse da queste parti, donne, ma soprattutto uomini, lasciassero il nome di una scrittrice da loro molto amata, letta, cercata…
Così, a togliermi un dubbio. E forse un pregiudizio.

La voce di Ghismunda, 17 giugno 2005

 

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10/07/2005

 

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