agli incroci dei venti agli incroci dei venti agli incroci dei venti agli incroci dei venti

 
 

HOME

Società

Politica

Arti visive

Lettura

Scrittura

Punto rosa

Legalità

Paesi in guerra

Mondo

 
 

Qui nel braccio della morte

di Eric Cathey
(libera traduzione di Arianna Ballotta)

 
 
 
 
 

Una persona a me molto cara mi ha chiesto di scrivere un articolo e di descrivere come ci si sente ad essere rinchiusi nel braccio della morte. Onestamente pensavo che non mi sarei mai sentito in grado di farlo, cioè di scrivere su un argomento del genere. Tuttavia, mentre ponderavo la richiesta fattami da questa persona amica, mi sono reso conto che noi – i detenuti del braccio della morte – abbiamo non soltanto il dovere di raccontare sinceramente le nostre esperienze, ma anche quello di combattere la falsità, contestando quella che è la mentalità diffusa e cioè che noi tutti costituiremmo un “futuro pericolo ed una minaccia per la società”. Io so, senza ombra di dubbio, di non essere una futura minaccia per chicchessia. Oltre ad essere esseri umani, ognuno di noi è un individuo unico con una sua propria capacità che gli dà modo di offrire [agli altri] qualcosa di speciale grazie alle proprie esperienze di vita. A mio avviso, per una persona innocente e ingiustamente condannata da parte di coloro che detengono il potere e dovrebbero vigilare sull’amministrazione della giustizia, [essere considerata una minaccia per la società] è una delle peggiori forme di tortura mentale a cui un essere umano può essere sottoposto.

Nell’abito della società moderna ognuno di noi, indipendentemente dal proprio credo o dalla propria posizione sociale, nutre fiducia in un corretto funzionamento della giustizia, quella giustizia che allontana i criminali dalla società. E questa fiducia è alla base di quelle tante frasi che si sentono così spesso, del tipo “beh, se ti hanno arrestato, qualcosa devi pur aver fatto”. Ma la verità è che non c’è bisogno di commettere un crimine per essere giudicato “colpevole”. A volte la razza, la mancanza di mezzi economici, l’avidità, e persino una cattiva reputazione diventano le motivazioni che spingono i tutori della legge a diventare ciechi oppure ad ignorare la realtà dei fatti e ad accanirsi sulla persona sbagliata.

Quando accade una cosa del genere, la fiducia che riponevamo nel sistema inevitabilmente crolla. E’ successo anche a me. E’ vero, ho vissuto una vita che nessuno giudicherebbe perfetta. Anch’io ho fatto cose giuste e cose sbagliate. Ma non ho mai assassinato nessuno.

[…]

Dall’età di 15 anni ho dovuto badare a me stesso. Quel senso di impotenza e di incapacità che si prova quando non si riesce a provvedere neanche alle proprie necessità è stato qualcosa che, anche dopo, ha cercato di privarmi della mia dignità di uomo; per non parlare, adesso, della cattiveria di alcuni agenti di custodia ed ufficiali, che - con il loro comportamento – piantano nelle menti dei detenuti semi di insicurezza, odio e persino indegnità. E quando la tua famiglia, diventata vittima a sua volta, non sa che fare e non ha mezzi materiali per aiutarti, allora anch’essa prova la stessa angoscia e la stessa sofferenza. Sono molte le famiglie che, catapultate in questo mondo, non ce la fanno a vedere i propri cari in una situazione così difficile. E, di conseguenza, sono purtroppo tanti i prigionieri che si trovano costretti ad affrontare l’abbandono da parte dei propri famigliari e ad affrontare da soli questa spaventosa miseria.

E’ impossibile riassumere in poche righe le esperienze di tutti i reclusi di questo braccio della morte. Né potrei mai riuscire a far capire davvero come stanno le cose qui a chi non ha mai provato una simile esperienza. Ma spero, comunque, di riuscire a fare capire a chi leggerà queste righe che ognuno di noi, qui dentro, soffre o ha sofferto di traumi emotivi, mentali e anche fisici, a volte. Perché quando la minaccia della morte ti sta costantemente sulla testa come una gigantesca ghigliottina, mentre sei costantemente in balia di sentimenti quali l’angoscia, l’incertezza, la solitudine, il dolore, c’è forse da stupirsi se alcuni prigionieri si suicidano, o se diventano vendicativi o se, semplicemente, non sanno più cosa vuol dire sperare?

Io chiedo a voi: cosa fareste in una situazione del genere?

Le risposte possono essere diverse. Ma, ne sono certo, se ci riflettiamo insieme arriviamo ad una conclusione unica. E cioè che indipendentemente dalla colpevolezza o dall’innocenza dell’individuo qui rinchiuso, la cosa migliore è che egli proceda con un miglioramento del suo essere interiore. Perché indipendentemente dal nostro status nella vita, non dovremmo mai dimenticare che questo mondo non è un terreno da gioco, bensì un’aula scolastica, e che la vita non è una vacanza, ma è come frequentare la scuola. Ecco perché la cosa più importante è che impariamo ad amare meglio e di più noi stessi e gli altri.

Forse solo allora, come società, riusciremo a superare il razzismo, le ingiustizie e tutte le altre forme di male che esistono. E, e ne sono certo, potremmo arrivare a questa vittoria se davvero noi tutti ci impegnassimo per farla diventare realtà.

Pace.

Eric "Mpaka" Cathey

Chi volesse inviare un messaggio (in inglese) ad Eric, può scrivere al seguente indirizzo:

Mr. Eric Cathey
#999228
Polunsky Unit D/R
3872 FM 350 South
Livingston, Texas 77351
USA

 

commenti
 

 
 

03/07/2005

 

HOME

Società

Politica

Arti visive

Lettura

Scrittura

Punto rosa

Legalità

Paesi in guerra

Mondo