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Testo integrale
dell'intervista rilasciata da Arianna Ballotta, Presidente della
Coalizione Italiana contro la Pena di Morte, a TUTTOREGGIO nell’ambito
dell’inchiesta: "Anche Reggio investita dal ciclone giallo" sui rapporti
tra la Cina e Reggio Emilia.
L'intervista è stata
pubblicata sul N. 162 del 2 luglio 2005
Come giudica
la proposta di alcuni politici reggiani, come l’ex senatore diessino
Carri, e di alcuni ambienti imprenditoriali di trasformare il patto di
amicizia tra Reggio Emilia e la città cinese di Rizhao, voluto alcuni fa
dall’allora sindaca Antonella Spaggiari, in un vero e proprio
gemellaggio?
Personalmente ritengo che il patto di amicizia non dovrebbe essere
trasformato in un vero e proprio gemellaggio, in quanto – a mio avviso -
un gemellaggio ha ragione di esistere con città con cui si condividono
idealità e valori e questo non può dirsi con Rizhao. E’ lo stesso
discorso che riguarda il gemellaggio di Reggio Emilia con Fort Worth, a
proposito del quale mi sono espressa più volte. Il problema del rispetto
dei diritti umani deve riguardare tutte le città e tutti i Paesi dove
questi vengono violati. Se, però, si ritiene che un dialogo – e quindi
un gemellaggio - possa essere produttivo, si dovrebbe quantomeno far
sottoscrivere alla città di Rizhao (e a tutte le città con cui si hanno
patti di amicizia o gemellaggi) una "carta dei valori" che includa pena
di morte, democrazia e libertà di espressione, rispetto delle libertà
civili, rispetto per tutti i culti religiosi, e via dicendo.
Quante
esecuzioni capitali avvengono in Cina all’anno?
E’ impossibile sapere il numero esatto di esecuzioni che avvengono ogni
anno in Cina, in quanto - per i motivi che tutti conosciamo - non si
riesce ad entrare in possesso di precise informazioni. In Cina la pena
capitale viene applicata per un gran numero di reati, fra cui evasione
fiscale, corruzione, truffa, traffico di droga, attività illegali per
estorcere denaro e omicidio, solo per citarne alcuni. Si sa per certo
che la Cina mette a morte ogni anno più persone di tutto il resto del
mondo messo insieme. Secondo Amnesty International, nel 2004 le
esecuzioni portate a termine in Cina sono state almeno 3.400, cioè circa
il 90% del numero di esecuzioni eseguite nel mondo intero, ma si sa che
purtroppo si tratta di un numero altamente sottostimato. In base a
quanto dichiarato da un legislatore cinese nel marzo del 2004, in Cina
verrebbero giustiziate circa 10.000 persone all’anno. Ma, come detto
prima, è impossibile conoscere il numero esatto, in quanto in Cina la
pena di morte è un segreto di Stato. Per la precisione, quando parliamo
di Cina è bene tenere presente che le regioni a statuto speciale (Hong
Kong e Macao) hanno leggi diverse che non prevedono la pena di morte.
Queste differenze hanno peraltro innalzato una barriera che fino ad ora
ha impedito la creazione di leggi adeguate relative ai procedimenti di
estradizione fra queste regioni e il continente, cosa che, naturalmente,
è fonte di preoccupazione per molti residenti di Hong Kong e Macao che
temono che le autorità centrali possano riuscire ad ottenere
l’estradizione di imputati che, potenzialmente, potrebbero essere
condannati a morte.
Come vengono
giustiziati i detenuti in Cina?
Attualmente in Cina vengono utilizzati due metodi di esecuzione. Il più
comune è l’esecuzione con armi da fuoco, che avviene con un fucile e
l’utilizzo di un unico proiettile ad espansione che, all’impatto,
distrugge la parte superiore del cervello. In passato era tristemente
famosa l’abitudine del Governo di chiedere alla famiglia del condannato
il rimborso del costo del proiettile. L’altro metodo, introdotto nel
1997, è l’iniezione letale, metodo che sta velocemente prendendo piede,
la cui applicazione è però diversa da quella statunitense, in quanto in
Cina i condannati vengono giustiziati sia in luoghi predefiniti oppure
in camioncini appositamente adattati allo scopo che si muovono a seconda
di dove si trova il detenuto.
Qual è la
classifica delle esecuzioni capitali tra i vari stati a livello
mondiale?
Questo, secondo quanto riportati da Amnesty International, è l’elenco
dei 12 Paesi che hanno totalizzato il maggior numero di esecuzioni nel
2004:
1) Cina 3.400 e +
2) Iran 159 e +
3) Vietnam 64 e +
4) USA 59
5) Arabia Saudita 33 e +
6) Pakistan 15 e +
7) Kuwait 15 e +
8) Bangladesh 7 e +
9) Egitto 6 e +
10) Singapore 6 e +
11) Yemen 6 e +
12) Bielorussia 5 e +
Come si nota, ho riportato un + vicino al numero di esecuzioni in tutti
i Paesi, tranne gli USA, in quanto è estremamente difficile, se non
impossibile, riuscire ad avere informazioni precise da tali Paesi.
In Cina i
diritti umani vengono violati in molti modi, non solo con la pena di
morte…
Purtroppo la situazione negativa dei diritti umani in Cina è nota a
tutti. Vengono presi di mira attivisti per i diritti umani, operai e
contadini che vogliono migliori condizioni di lavoro, minoranze etniche
e religiose, e persino coloro che vengono definiti “cyberdissidenti”.
Gli arresti sono molto spesso arbitrari, l’uso della tortura è diffuso e
le condanne sono molto lunghe. Secondo dati ufficiali sono oltre 80.000
le persone arrestate nel 2004 per “attività
contro la sicurezza dello Stato”. I gruppi religiosi e spirituali
(Buddisti Tibetani, Musulmani Uighur, Cristiani e vari gruppi di QiGong)
sono oggetto di persecuzioni regolari. Tuttavia, il gruppo più numeroso
soggetto a torture e ad una sistematica e malvagia persecuzione è il
Falun Gong, chiamato anche Falun Dafa, messo ufficialmente fuori legge
dal Presidente Jiang Zemin nel luglio del 1999. La polizia ha
illegalmente saccheggiato case, confiscato e bruciato in piazza tutti i
materiali del Falun Dafa. Centinaia di migliaia di praticanti Falun Gong
sono stati mandati ai lavori forzati nei campi di “rieducazione”, dove -
come stabilito da regolamenti ufficiali - sono stati soggetti a
brutalità, maltrattamenti e torture e condannati a lunghissime
detenzioni (anche 18 anni) senza giusto processo. Molti altri sono stati
uccisi senza pietà laddove trovati o giustiziati in seguito.
Come risponde
ai politici ed agli imprenditori che dicono che i diritti umani, la pena
di morte e la politica non devono frenare le possibilità di fare grandi
affari con l’Eldorado Cina?
I diritti umani (fra cui il diritto alla vita, che è il più elementare
dei diritti dell’uomo) non possono e non devono mai essere messi in
secondo piano. Le aziende che operano o hanno intenzione di operare in
Cina e con la Cina è bene che sappiano della massiccia violazione cinese
dei più basilari diritti dell’uomo. Il mondo degli affari può
influenzare le autorità cinesi, soprattutto se gli sforzi vengono
coordinati. Il Governo cinese si è mostrato sensibile all’opinione
mondiale, ma troppo spesso, ahinoi, chi ha frequenti contatti con le
autorità cinesi ignora il tema dei diritti umani. E’ questo che è
sbagliato. Io ritengo che la comunità internazionale debba prendersi le
sue responsabilità. I partner commerciali della Cina, insieme ai Governi
di tutto il mondo e alle tante organizzazioni regionali, soprattutto
quelle create per la cooperazione con i Paesi asiatici, hanno i mezzi e
devono fare pressione sulle autorità cinesi affinché rispettino i
diritti umani. Come suggerito da Amnesty International, tutti coloro che
hanno rapporti con la Cina dovrebbero:
- assicurarsi che i loro metodi di lavoro in Cina siano di esempio ad
altri, rispettando i diritti fondamentali dei loro dipendenti, ed in
particolare il diritto di espressione ed associazione;
- fare pressione, quando possibile, sulle autorità cinesi perché
introducano regole che salvaguardino i diritti umani e pongano fine agli
abusi da parte delle forze di sicurezza;
- diffondere l’informazione sugli standard internazionali dei diritti
umani diffondendo materiale apposito, promovendo codici etici per il
commercio e sostenendo iniziative per i diritti umani.
Le autorità
cinesi hanno sempre difeso il massacro di studenti di Tien An Men…
Ancora oggi, sedici anni dopo, le autorità cinesi rifiutano di
riconoscere l’orrore di piazza Tien An Men. E’ tempo che le autorità
cinesi si confrontino seriamente sugli eventi del 1989, perché la storia
non può essere riscritta. Come prima cosa, il Governo dovrebbe annullare
il verdetto del 1989 che definiva “ribellione controrivoluzionaria” il
movimento di studenti, lavoratori e cittadini di Pechino e di altre
città cinesi, in quanto tale verdetto impedisce il riconoscimento
pubblico delle perdite subite a chi, allora, vennero a mancare figli,
figli, moglie e mariti, ed impedisce a coloro che furono costretti a
fuggire di tornare in Cina a trovare i propri famigliari. Le autorità
cinesi di oggi dovrebbero dichiarare pubblicamente colpevoli coloro che
decisero di scagliare l’esercito contro inermi cittadini e che
ordinarono l’incarcerazione di migliaia di altre persone in tutta la
Cina e dovrebbero istituire nuovi e giusti procedimenti legali, alla
presenza di osservatori internazionali. E, naturalmente, dovrebbero
rendere pubblici gli elenchi completi di coloro che perirono o furono
feriti, e di coloro che furono incarcerati. E’ ora che la verità sul
massacro di piazza Tien An Men venga alla luce ed è bene che il Governo
agisca in fretta, senz’altro prima delle Olimpiadi del 2008.
Come detto anche da Human Rights Watch, con il prestigio che la Cina
riceve ospitando le Olimpiadi del 2008 arrivano anche le responsabilità,
e i continui abusi nei confronti dei diritti umani non sono il modo
giusto per accogliere il mondo a Pechino. Il mondo guarderà per vedere
se la Cina è capace di aprirsi e permettere ai suoi cittadini di
esercitare le libertà fondamentali.
Coalizione Italiana contro la Pena di Morte
www.coalit.org
arianna@linknet.it
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