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Monica Spada inizia a dipingere verso la metà degli anni ottanta.
Il suo incontro con la pittura viene sicuramente propiziato dalla
frequentazione assidua di un gruppo di amici pittori, fra i quali le
figure di maggior spicco dell’ambiente artistico forlivese (D’Ambrosio,
Gattelli, Lombardi, Neri, Stanghellini ed altri, che in quel momento
avevano fondato il gruppo Eclissi, sotto la cui egida cominciavano ad
organizzare eventi espositivi di un certo interesse).
Nell’alveo di questa temperie culturale si innestano le prime prove
pittoriche di Monica, che, sino a quel momento, si era occupata
soprattutto di fotografia (con una predilezione per il ritratto) che
spesso ibridava con interventi pittorici.
Il viaggio nel linguaggio specifico della pittura inizia con operine
quasi astratte, in cui la presenza della figura è appena fatta
intravedere od intuire.
Una rappresentazione molto mossa, quasi compulsava, fitta di elementi
allusivi che evocano folle di esseri antropomorfici dentro paesaggi
improbabili.
Poi, per stare sulle grandi linee, in una ovvia generalizzazione, passa
ai volti ed alle figure umane trattare in modo violento e poetico,
facendo pensare ad influenze espressioniste filtrate dalle più vicine
esperienze transavanguardistiche.
Lentamente ma inesorabilmente, il suo universo visivo va precisandosi in
una raffigurazione sempre più dettagliata e precisa, in cui tutti gli
elementi sino ad allora frequentati vanno unendosi e fondendosi per dar
vita ad una scena figurativa nuova e più certa, il cui principale etimo
risulta essere l’arte medievale e la pittura sacra delle icone.
Il linguaggio si fa sempre più chiaro e plastico, i ritmi più serrati e
consapevoli della loro funzione compositiva, il colore sempre più
elaborato in un tessuto di tinte personali ed affascinanti. Segue questa
fase, quel lungo periodo variamente articolato di raffigurazioni di
animali antropomorfici e di umani animalizzati, che tentano di unirsi
nell’impossibile abbraccio con l’altro, il “radicalmente” altro.
Questo, che si potrebbe definire un viaggio nella riconciliazione e
nell’abbraccio che la testimonia, dura a lungo sino ad approdare ad
alcune opere che si possono considerare tra le più importanti e mature
dell’artista sino ad oggi: un gruppo di lavori in cui grandi sintetiche
e monumentali campeggiano al centro della rappresentazione occupando
tutto lo spazio con gesti semplici e primari, con una naturalezza
profonda ed archetipale che evoca verità umane senza tempo e fuori da
ogni storia possibile.
Alcune di queste opere saranno presenti anche in questa esposizione
faentina, il cui nucleo principale sarà costituito dai quadri più
recenti il cui tema è l’interno architettonico; ma non un interno mosso
da ragioni puramente visive di ordine naturalistico.
Questi, che Monica dipinge oggi in una naturale filiazione, anche se non
banalmente riconoscibile, dai quadri di figura, sono interni metaforico
- allegorici della condizione concettuale dell’interno in quanto tale.
Si potrebbero definire, con una forzatura teatrale, scene
dell’interiorità. Raffigurazioni dell’intimo. E, proprio per questo,
sono opere che hanno costretto la pittrice a stringere su una disciplina
pittorica ardua e dura, in cui la componente astratto – musicale –
ritmica ha preso un’importanza rilevante facendole fare un evidente
salto di qualità nella consapevolezza di tutti i valori compositivi,
compresi quelli cromatici e luminosi. In queste pitture per lo più di
piccola e media dimensione, Monica Spada ha dispiegato, in tutta la sua
potenza lirica, la sua visione e la sua percezione del mondo in pittura.
Tuttavia, nulla in arte si comincia se l’altro non vede ciò che noi
abbiamo mostrato.
E Monica ha mostrato, in modo che ognuno possa vedere, realizzando un
sogno che è sempre stato quello della pittura sacra: mostrare
l’invisibile, dire l’indicibile.
Dentro quei piccoli labirinti di spazi incongruenti ed impossibili ci ha
mostrato il paradosso del vivere, dello stare, dell’abitare il mondo e
l’anima.
Ma lì, il nostro sguardo finalmente si può riposare: in essi non v’è
niente di urlato, di oscenamente esposto, di provocatoriamente esibito
per colpire lo spettatore annoiato e disincantato del nostro tempo; solo
una silente dolce, amorosa, nostalgia ci prende per mano in questa, che
sembra una stagione evocata dal ricordo uno spazio di sogno nel sogno
dello spazio.
Forli', gennaio 2005
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