agli  incroci  dei  venti:  monica  spada

 
 
 

 

Il sogno dello spazio

di Enrico Lombardi

 
 

Monica Spada inizia a dipingere verso la metà degli anni ottanta.
Il suo incontro con la pittura viene sicuramente propiziato dalla frequentazione assidua di un gruppo di amici pittori, fra i quali le figure di maggior spicco dell’ambiente artistico forlivese (D’Ambrosio, Gattelli, Lombardi, Neri, Stanghellini ed altri, che in quel momento avevano fondato il gruppo Eclissi, sotto la cui egida cominciavano ad organizzare eventi espositivi di un certo interesse).
Nell’alveo di questa temperie culturale si innestano le prime prove pittoriche di Monica, che, sino a quel momento, si era occupata soprattutto di fotografia (con una predilezione per il ritratto) che spesso ibridava con interventi pittorici.
Il viaggio nel linguaggio specifico della pittura inizia con operine quasi astratte, in cui la presenza della figura è appena fatta intravedere od intuire.
Una rappresentazione molto mossa, quasi compulsava, fitta di elementi allusivi che evocano folle di esseri antropomorfici dentro paesaggi improbabili.
Poi, per stare sulle grandi linee, in una ovvia generalizzazione, passa ai volti ed alle figure umane trattare in modo violento e poetico, facendo pensare ad influenze espressioniste filtrate dalle più vicine esperienze transavanguardistiche.
Lentamente ma inesorabilmente, il suo universo visivo va precisandosi in una raffigurazione sempre più dettagliata e precisa, in cui tutti gli elementi sino ad allora frequentati vanno unendosi e fondendosi per dar vita ad una scena figurativa nuova e più certa, il cui principale etimo risulta essere l’arte medievale e la pittura sacra delle icone.
Il linguaggio si fa sempre più chiaro e plastico, i ritmi più serrati e consapevoli della loro funzione compositiva, il colore sempre più elaborato in un tessuto di tinte personali ed affascinanti. Segue questa fase, quel lungo periodo variamente articolato di raffigurazioni di animali antropomorfici e di umani animalizzati, che tentano di unirsi nell’impossibile abbraccio con l’altro, il “radicalmente” altro.
Questo, che si potrebbe definire un viaggio nella riconciliazione e nell’abbraccio che la testimonia, dura a lungo sino ad approdare ad alcune opere che si possono considerare tra le più importanti e mature dell’artista sino ad oggi: un gruppo di lavori in cui grandi sintetiche e monumentali campeggiano al centro della rappresentazione occupando tutto lo spazio con gesti semplici e primari, con una naturalezza profonda ed archetipale che evoca verità umane senza tempo e fuori da ogni storia possibile.
Alcune di queste opere saranno presenti anche in questa esposizione faentina, il cui nucleo principale sarà costituito dai quadri più recenti il cui tema è l’interno architettonico; ma non un interno mosso da ragioni puramente visive di ordine naturalistico.
Questi, che Monica dipinge oggi in una naturale filiazione, anche se non banalmente riconoscibile, dai quadri di figura, sono interni metaforico - allegorici della condizione concettuale dell’interno in quanto tale.
Si potrebbero definire, con una forzatura teatrale, scene dell’interiorità. Raffigurazioni dell’intimo. E, proprio per questo, sono opere che hanno costretto la pittrice a stringere su una disciplina pittorica ardua e dura, in cui la componente astratto – musicale – ritmica ha preso un’importanza rilevante facendole fare un evidente salto di qualità nella consapevolezza di tutti i valori compositivi, compresi quelli cromatici e luminosi. In queste pitture per lo più di piccola e media dimensione, Monica Spada ha dispiegato, in tutta la sua potenza lirica, la sua visione e la sua percezione del mondo in pittura.
Tuttavia, nulla in arte si comincia se l’altro non vede ciò che noi abbiamo mostrato.
E Monica ha mostrato, in modo che ognuno possa vedere, realizzando un sogno che è sempre stato quello della pittura sacra: mostrare l’invisibile, dire l’indicibile.
Dentro quei piccoli labirinti di spazi incongruenti ed impossibili ci ha mostrato il paradosso del vivere, dello stare, dell’abitare il mondo e l’anima.
Ma lì, il nostro sguardo finalmente si può riposare: in essi non v’è niente di urlato, di oscenamente esposto, di provocatoriamente esibito per colpire lo spettatore annoiato e disincantato del nostro tempo; solo una silente dolce, amorosa, nostalgia ci prende per mano in questa, che sembra una stagione evocata dal ricordo uno spazio di sogno nel sogno dello spazio.

Forli', gennaio 2005

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28/05/2005

 

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