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Il De rerum
Natura di Lucrezio (opera gigantesca) è la compiuta trattazione
in versi dell'epicureismo. I primi due libri, i più significativi per il
tema dell’infinito, trattano la descrizione fisica del mondo: la materia
e il vuoto si inseriscono qui in un vasto spazio cosmico, in cui si
avvicendano i movimenti e le combinazioni degli atomi. Nei restanti
libri, invece, la dottrina fisica viene estesa ai fenomeni del mondo
umano, con particolare riferimento alla concezione dell'anima, e poi
alla cosmologia. Nel primo libro Lucrezio affronta il tema dell'infinità
dell'universo, ossia la mancanza di confini e di misura dei cosmo.
L'argomentazione si sviluppa in due momenti. In primo luogo si dichiara
l'infinità dei suoi due elementi costitutivi: spazio e materia. Lucrezio
si serve di un'immagine suggestiva, quella dell'arciere che, postosi ai
confini dei mondo, scagli una freccia. Il dardo continuerà la sua corsa
all'infinito. Potrà essere ostacolato da un qualcosa, si potrà anche
arrestare nel suo percorso, ma un arciere immaginario potrà sempre
scagliare un'altra freccia oltre questo limite e questo all’infinito.
Egli scrive: “E inoltre, supponiamo ora che tutto lo spazio
esistente sia limitato e che qualcuno corra avanti, all’estrema riva,
spingendosi fino all’ultimo punto, e scagli un dardo volante: preferisci
tu pensare che esso, lanciato con valide forze, vada ove è stato vibrato
e voli lontano, o credi che qualcosa possa arrestarlo e ad esso opporsi?
0 l’una o l’altra ipotesi occorre infatti che tu ammetta e scelga. Ma
sia l’una che l’altra ti preclude ogni via di scampo e ti obbliga a
riconoscere che il tutto si estende senza confine. Infatti, sia che
esista qualcosa che l’arresti e gl’impedisca di giungere ove è stato
vibrato e di conficcarsi nel segno, sia che più oltre esso voli, il
punto donde è partito non è il confine estremo. In tal modo ti incalzerò
e, dovunque porrai l’estrema riva, chiederò: che sarà poi del dardo?
Avverrà che in nessun luogo si potrà fissare il confine, e la
possibilità della fuga sempre allontanerà la scappatoia.”
Il secondo argomento a riprova dell'infinità dell'universo è il fatto
che, se esso fosse finito e racchiuso, tutta la materia andrebbe a
concentrarsi in basso, sotto il suo peso, lasciando vuoto lo spazio
restante. Ma se la materia si accumulasse per il suo peso in un unico
punto dell'universo, non vi sarebbe più movimento dei suoi atomi nello
spazio, e quindi non vi sarebbero più aggregazioni o disgregazioni di
atomi cosicché non esisterebbero più i processi di vita e di morte.
Conseguenza dell'infinità dell'universo è il fatto che esistano
innumerevoli altri mondi formati, come il nostro, dall'aggregazione
casuale degli atomi che si muovono turbinosamente nello spazio infinito:
“Perciò similmente bisogna si ammetta che il cielo, la terra, il sole,
la luna, il mare, e tutte le altre sostanze non esistono sole, ma
piuttosto in numero immenso.”
Lucrezio segue nell'opera la dottrina del maestro Epicuro, che a propria
volta aveva ripreso, elaborandole, le teorie dei fisici materialisti
Democrito di Abdera e Leucippo di Mileto. Epicuro affermava: “E
ancora l'universo è infinito. Infatti ciò che è finito ha una estremità,
e tale estremità è tale rispetto a qualcos'altro; perciò non avendo
alcun limite estremo non ha fine; non avendo fine deve essere infinito e
non limitato. Per di più, il tutto è infinito per la moltitudine dei
corpi e per l'estensione del vuoto. Infatti se infinito fosse il vuoto e
limitati i corpi, questi non potrebbero persistere in nessun luogo ma
sarebbero tratti qua e là, dispersi per l'infinito vuoto, perché non
sostenuti da altri, né imballati indietro dagli urti. E se invece fosse
infinito il vuoto i corpi infiniti non potrebbero esservi contenuti.”
Il bersaglio polemico di questa visione dell'universo era Aristotele,
che considerava il cosmo come una sostanza corporea finita. Ma anche gli
stoici venivano confutati: per loro infatti l'universo era sferiforme e
finito, quantunque circondato dal vuoto infinito. Proprio l'infinità
dell'universo costituisce una delle più radicali differenze tra la
cosmologia epicurea e quella stoica. Cosí parla Sesto Empirico, filosofo
scettico del II-III secolo d.C.: “Secondo i filosofi della Stoà
l'universo e il tutto sono tra loro diversi. Dicono infatti che
l'universo è il cosmo, mentre il tutto è il vuoto esterno insieme al
cosmo, e che per questo l'universo è finito: infatti il cosmo è finito,
mentre il tutto è infinito, essendo infinito il vuoto che è fuori del
cosmo.”
Da queste, le teorie/tesi sull’Infinità dell’Universo poi sostenute sia
da Giordano Bruno che da Nicolò Cusano. Quindi riprese dagli attuali
astrofisici.
E dire che Epicuro disponeva, esclusivamente, dei suoi occhi e della sua
mente. Idem quelli che lo hanno seguito, fino a Copernico e a Galilei.
Che grandezza, l’uomo, quando ci si mette! Che imbecillità coloro che
credono che la terra sia ancora piatta e noi si sia il centro
dell’universo.
Lo siamo solo nel momento in cui neghiamo di esserlo… e da quel che ora
ho detto si aprono infinite altre prospettive, sia filosofiche sia
creative. Non vi pare?
in
Oltre il Tempo, 2 marzo 2005.
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