agli incroci dei venti agli incroci dei venti agli incroci dei venti agli incroci dei venti  
 
 
 

L’attualita’ di Epicuro e di Lucrezio

di Gian Ruggero Manzoni

 
 

Il De rerum Natura di Lucrezio (opera gigantesca) è la compiuta trattazione in versi dell'epicureismo. I primi due libri, i più significativi per il tema dell’infinito, trattano la descrizione fisica del mondo: la materia e il vuoto si inseriscono qui in un vasto spazio cosmico, in cui si avvicendano i movimenti e le combinazioni degli atomi. Nei restanti libri, invece, la dottrina fisica viene estesa ai fenomeni del mondo umano, con particolare riferimento alla concezione dell'anima, e poi alla cosmologia. Nel primo libro Lucrezio affronta il tema dell'infinità dell'universo, ossia la mancanza di confini e di misura dei cosmo. L'argomentazione si sviluppa in due momenti. In primo luogo si dichiara l'infinità dei suoi due elementi costitutivi: spazio e materia. Lucrezio si serve di un'immagine suggestiva, quella dell'arciere che, postosi ai confini dei mondo, scagli una freccia. Il dardo continuerà la sua corsa all'infinito. Potrà essere ostacolato da un qualcosa, si potrà anche arrestare nel suo percorso, ma un arciere immaginario potrà sempre scagliare un'altra freccia oltre questo limite e questo all’infinito. Egli scrive: “E inoltre, supponiamo ora che tutto lo spazio esistente sia limitato e che qualcuno corra avanti, all’estrema riva, spingendosi fino all’ultimo punto, e scagli un dardo volante: preferisci tu pensare che esso, lanciato con valide forze, vada ove è stato vibrato e voli lontano, o credi che qualcosa possa arrestarlo e ad esso opporsi? 0 l’una o l’altra ipotesi occorre infatti che tu ammetta e scelga. Ma sia l’una che l’altra ti preclude ogni via di scampo e ti obbliga a riconoscere che il tutto si estende senza confine. Infatti, sia che esista qualcosa che l’arresti e gl’impedisca di giungere ove è stato vibrato e di conficcarsi nel segno, sia che più oltre esso voli, il punto donde è partito non è il confine estremo. In tal modo ti incalzerò e, dovunque porrai l’estrema riva, chiederò: che sarà poi del dardo? Avverrà che in nessun luogo si potrà fissare il confine, e la possibilità della fuga sempre allontanerà la scappatoia.”
Il secondo argomento a riprova dell'infinità dell'universo è il fatto che, se esso fosse finito e racchiuso, tutta la materia andrebbe a concentrarsi in basso, sotto il suo peso, lasciando vuoto lo spazio restante. Ma se la materia si accumulasse per il suo peso in un unico punto dell'universo, non vi sarebbe più movimento dei suoi atomi nello spazio, e quindi non vi sarebbero più aggregazioni o disgregazioni di atomi cosicché non esisterebbero più i processi di vita e di morte. Conseguenza dell'infinità dell'universo è il fatto che esistano innumerevoli altri mondi formati, come il nostro, dall'aggregazione casuale degli atomi che si muovono turbinosamente nello spazio infinito: “Perciò similmente bisogna si ammetta che il cielo, la terra, il sole, la luna, il mare, e tutte le altre sostanze non esistono sole, ma piuttosto in numero immenso.”
Lucrezio segue nell'opera la dottrina del maestro Epicuro, che a propria volta aveva ripreso, elaborandole, le teorie dei fisici materialisti Democrito di Abdera e Leucippo di Mileto. Epicuro affermava: “E ancora l'universo è infinito. Infatti ciò che è finito ha una estremità, e tale estremità è tale rispetto a qualcos'altro; perciò non avendo alcun limite estremo non ha fine; non avendo fine deve essere infinito e non limitato. Per di più, il tutto è infinito per la moltitudine dei corpi e per l'estensione del vuoto. Infatti se infinito fosse il vuoto e limitati i corpi, questi non potrebbero persistere in nessun luogo ma sarebbero tratti qua e là, dispersi per l'infinito vuoto, perché non sostenuti da altri, né imballati indietro dagli urti. E se invece fosse infinito il vuoto i corpi infiniti non potrebbero esservi contenuti.”
Il bersaglio polemico di questa visione dell'universo era Aristotele, che considerava il cosmo come una sostanza corporea finita. Ma anche gli stoici venivano confutati: per loro infatti l'universo era sferiforme e finito, quantunque circondato dal vuoto infinito. Proprio l'infinità dell'universo costituisce una delle più radicali differenze tra la cosmologia epicurea e quella stoica. Cosí parla Sesto Empirico, filosofo scettico del II-III secolo d.C.: “Secondo i filosofi della Stoà l'universo e il tutto sono tra loro diversi. Dicono infatti che l'universo è il cosmo, mentre il tutto è il vuoto esterno insieme al cosmo, e che per questo l'universo è finito: infatti il cosmo è finito, mentre il tutto è infinito, essendo infinito il vuoto che è fuori del cosmo.
Da queste, le teorie/tesi sull’Infinità dell’Universo poi sostenute sia da Giordano Bruno che da Nicolò Cusano. Quindi riprese dagli attuali astrofisici.
E dire che Epicuro disponeva, esclusivamente, dei suoi occhi e della sua mente. Idem quelli che lo hanno seguito, fino a Copernico e a Galilei.
Che grandezza, l’uomo, quando ci si mette! Che imbecillità coloro che credono che la terra sia ancora piatta e noi si sia il centro dell’universo.
Lo siamo solo nel momento in cui neghiamo di esserlo… e da quel che ora ho detto si aprono infinite altre prospettive, sia filosofiche sia creative. Non vi pare?

in Oltre il Tempo, 2 marzo 2005.

commenti

 
 

28/02/05

 

HOME

Società

Politica

Arti visive

Lettura

Scrittura

Punto rosa

Legalità

Paesi in guerra

Mondo