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E’ da un po’ di
giorni che tengo tra le mani “IL
MARE A DESTRA”
- il libro di
Massimo Gezzi,
uno dei poeti più interessanti della propria generazione, quella nata
nei pieni anni Settanta - e mi chiedo: qual è l’impressione definitiva
che mi dà una raccolta come questa? La domanda parrebbe banale, ma non è
così. Infatti, ad ogni ripresa di lettura, scorgo, in queste intense
poesie dell’autore marchigiano, un volto e una forgiatura diversi, come
se, da un avvicinamento all’altro, nottetempo mi verrebbe da dire,
qualcosa mutasse nei testi letti la volta precedente. Io credo che
questo accada perché Gezzi, avendo dalla sua una forte personalità
narrante, riesce a germinare nel lettore i diversi piani di una identica
contingenza. Innanzitutto ho notato la stagione della formazione, la
quale è bene incastonata nel suo tempo (anche se, per paradosso, pare
essere aperta a tutte le altre età). In questa raccolta si scorge subito
la temperie dello studente-pendolare che, dalle Marche, sale a Bologna
attraverso descrizioni-riflessioni di chiara matrice esistenziale, che
coinvolgono i paesaggi in movimento, così come riescono a pitturare
l’aspettativa futuribile e la contingenza dell’”adesso”. Massimo è poeta
solo in apparenza “semplice”; egli cattura l’attenzione del lettore con
pochi ed incisivi segni di “unità narrante”; chessò: il viso e le mani
di una ragazza che gli viaggia accanto, oppure l’atmosfera affollata di
un treno che, come il tempo, attraversa le innumerevoli condizioni del
vivere. In questo, Gezzi non sembra essere distaccato dai padri e dai
nonni: ovvero, non fornisce chiari segni della propria età, ma antepone
a quelli un meditare che è caratteristica dell’uomo in senso lato. Uomo
novecentesco, così come novecenteschi sono i maestri ai quali si affida.
Un Montale (ma è perfino banale dirlo, in quanto da un tal poeta attinge
tutta la comunità del verso di fine e inizio secolo) o un Sereni, o un
Penna, di cui rilevo due attacchi che lo ricordano in modo esclusivo,
come quello di pagina 11, dove a un certo punto, il nostro Massimo
afferma:
“…Scendere un
gradino è ricordarsi dello spazio: …”, o come quello di pagina
15, che dà la stura al testo intitolato “Piazza Carducci, una sera
d’estate”: “Un vento di risvegli dentro il treno: …”
.
Le caratteristiche di Gezzi sono almeno due.
Una, sul versante della personalità, è quella che consiste nello
scendere negli angoli più riposti della coscienza e della sua
auscultazione: egli è decifrabile nel proprio rilevare i grumi
esistenziali, proprio come farebbe un contabile di partita doppia,
oppure il chimico che pone sul tavolo del laboratorio i minimi lacerti
delle rare sostanze dell’animo umano. Ne sono felici esempi gli
andamenti descrittivi di un temporale notturno (pag. 14), come del resto
la trama del testo di pag.15, dove sono riportate le impressioni prima
dette, di natura penniana (“Un vento di risvegli dentro il treno:
/ il faro della luce lampeggia / ad ogni tunnel, e il gusto improvviso /
della gioia sulle dita …/ “). La seconda peculiarità del nostro
autore in questione viene decifrata sul versante della struttura ed è
l’accumulo - vuoi di particelle grammaticali (le numerose preposizioni,
semplici e articolate, che evitano una più fitta aggettivazione), vuoi
di luoghi, di pensieri e di tutta un’oggettistica quanto mai
interessante -.
L’inizio di pagina 5, bene potrebbe rappresentare l’ultima affermazione:
“Il miracolo è che il cielo
non scivola di un dito, che il mare
non trabocca nella conca
su cui pende – questi colori,
che in un piano segreto della mente
sono cose, legano il nostro corso
a uno stupore che continua (…) “,
mentre l’uso sovrabbondante di preposizioni lo si coglie un po’ ovunque,
come ad esempio a pagina 23;
“ Ridicoli” diciamo, quasi
in simultanea, gli “uomini mascherati
da scheletro o da mummia” – l’epidermide
di polvere dello schermo s’infittisce:
il sole si incide sul tavolo
più vivido, la casa poco a poco
sta imparando il nostro odore –
nella camera da letto i materassi
riscoprono l’ingombro di due corpi:
Elena mentre gode
fa un rumore rabbioso –
Il quadro alla parete, papavero o che altro,
custodisce la parentesi
della nostra permanenza. Il lampo
del televisore appena spento la cancella.
Testo esemplare, questo, anche per tema e situazione quotidiana.
Non sembrerebbe, a tratti, di leggere poesie composte da un autore non
ancora trentenne: non parrebbe neanche quando il poeta si affaccia a
descrizioni formative, più inerenti alla tematica dei giovani di oggi.
Sembra, anche qui, di ascoltare un adulto non appesantito da particolari
connotazioni anagrafiche:
C’è troppa notte quando
il treno delle dodici e quaranta
trascina i suoi bagliori sulla sabbia
marchigiana,
e Fano e Senigallia si illuminano
appena, come per la lama
di chiaro di una torcia : lontano
le petroliere coltivano un brandello
di luce, più netta di quella
dei corridoi delle carrozze –
noi scivoliamo nel sonno sordomuti,
nella semioscurità siamo
sagome di cose.
I testi di Massimo hanno inoltre la caratteristica di iniziare il loro
dire con condizioni certe, se non proprio da definizione; ne sono
esempi, quelli di pagina 10 e di pagina 11, rispettivamente:
“La collina è una parentesi di steli …” ;
“Il punto di svolta riposa
sul primo gradino della scala: a terra hai
l’aria
soda e luminosa d’Adriatico nel naso …”
Insomma, Massimo Gezzi dà, con questo suo “Il
mare a destra”,
una felice prova di esordio editoriale.
La sua, appare voce personale e duttile; un flautato procedere nel mondo
delle piccole cose del quotidiano, da cui poi lui prende il volo per
issarsi sulle considerazioni intorno all’esistenza e ai suoi fragili
meccanismi.
E, in questo, davvero, il nostro amico poeta, lascia un segno di robusta
sensibilità e di talento.
"Un attimo di calma: lasciare
che la ventola del computer
sospiri il suo rantolo nel vuoto
della stanza - uscirsene fuori,
guardare il vicino che spala
la neve, sentire
il rumore metallico del ferro
sul cemento. Due passeri in volo
confondono l'aria.
Io penso: se non ci fosse gravità
sarebbe tutto tormenta"
Massimo Gezzi
Il mare a destra
Edizioni Atelier, 2004,
pagine 57
Pubblicato in
La
costruzione del verso & altre cose,
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