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		 Considerando i 
		tempi (della guerra in corso), vorrei parlare di un’opera, che 
		nonostante il lungo periodo trascorso dalla sua realizzazione, ben 5000 
		anni or sono, appare drammaticamente attuale: “lo Stendardo di Ur”. 
		
		  
		 
		L’Opera benché provenga dalla leggendaria Mesopotamia, si trova 
		attualmente conservata presso il British Museum, di Londra. 
		Si tratta di una pannello rettangolare (20,3/48,9cm.), decorato su 
		entrambi i lati e dunque“bifronte”, realizzato a mosaico esattamente tra 
		il 2900 - 2400 a C. che può essere considerato una sorta di libro 
		storico illustrato. 
		Infatti le scene sono “raccontate” per mezzo di tre “strisce” che 
		narrano su di un lato le vicende relative ad una guerra vinta dai Sumeri, 
		e sull’altro, la meritata pace riconquistata. 
		Su di un pannello rivestito da catrame, gli artisti mesopotamici hanno 
		incastonato conchiglie, lapislazzuli, madreperle bianche e pietre in 
		calcare rosso per mezzo dei quali con estrema raffinatezza nonché 
		competenza tecnica ed espressiva, sono riusciti a descrivere con 
		ricchezza di minuzie, non solo gli ambienti, dell’avanzatissima civiltà 
		mesopotamica. 
		Osservando le scene dello stendardo, notiamo quanto di 
		straordinariamente raffinato avesse prodotto all’epoca, quella civiltà. 
		Basti soffermarsi sull’abbigliamento, sugli addobbi e sulle 
		suppellettili. 
		Nella prima facciata, i soldati indossano un lungo mantello e hanno il 
		capo cinto da una cuffia che sembra essere stata disegnata da un grande 
		stilista nostro contemporaneo. 
		I carri militari hanno ruote possenti(all’epoca in Europa si trasporava 
		la merce pesante, facendola roteare su tronchi d’albero; eravamo al 
		neolitico) e forme estremamente eleganti, definite da linee curve e 
		sinuose. 
		Sono trascinati da cavalli, ben addestrati e dettagliatamente curati. 
		Sempre in questa faccia, definita della “guerra”, c’è un aspetto molto 
		crudele che ci spiattella in faccia oltre all’assurdità della guerra, 
		soprattutto che il tempo trascorso da quegli eventi, siano passati 
		invano. 
		Come a dire, che la storia non ci ha insegnato nulla.  
		Le crude scene, raccontate nello stendardo, ancora oggi (purtroppo) le 
		rivediamo (dopo cinquemila anni) quasi allo stesso modo, benché non più 
		“fissate”in opere realizzate a mosaico ma cinematicamente, attraverso i 
		tecnologici schermi televisivi, dal vivo ed in tempo reale. 
		C’è una strana affinità a ben vedere, tra la raffinata eleganza con cui 
		si mostrano certe scene di guerra presentate nello stendardo con alcune 
		altrettanto patinate che le immagini televisive (funzionali alle logiche 
		commerciali dell’audience) relative all’attuale guerra irachena, ci 
		offrono. 
		Nello standardo, vediamo infatti i nemici, caduti in battaglia, 
		calpestati dai “carri armati” che muovono all’assalto.  
		
		  
		Prigionieri che 
		dopo essere stati catturati vengono condotti legati e bendati davanti al 
		sovrano che dovrà punirli.  
		Non vediamo noi oggi, le sesse scene, similarmente ripetute, dopo 
		cinquemila anni?  
		E mentre non sappiamo quando finirà quest’assurda e stupida guerra, 
		ritornando alla lettura de l’altra faccia”, dello stendardo, 
		fortunatamente appuriamo che li, nella città di Ur, perlomeno, 
		subentrerà la pace. 
		Vediamo infatti qui, in una delle tre strisce, i preparativi di un 
		delizioso banchetto, in cui il re e i suoi sudditi, si apprestano a 
		festeggiare la vittoria. 
		Anche qui tutto è minuziosamente descritto. 
		Nella fascia bassa e media, vediamo la servitù intenta a trasportare il 
		necessario per la festa. 
		Le mandrie ben sistemate vengono condotte al cospetto del re per essere 
		sacrificate. 
		In alto, nella terza sequenza, notiamo infine il banchetto che si svolge 
		al cospetto del re (il quale al fine di poter essere riconosciuto come 
		tale è stato rappresentato più in grande) che indossa il caratteristico 
		Kuanakes (gonnellino in lana di pecora). 
		Qui gli invitati, hanno in mano una coppa per bere e siedono su seggiole 
		elaborate evidentemente da falegnami esperti. 
		Si notino le gambe di quei sedili, una delle quattro descrive in forma 
		stilizzata, la zampa di un animale. 
		E mentre tutti brindano, c’è un musico, pronto ad intonare con la sua 
		elaboratissima arpa, dal manico in forma di toro, una sonata(ci piace 
		immaginarla, così) di pace. 
		Attendiamo che lo stesso lieto fine, fuor di retorica, avvenga anche qui 
		da noi, al più presto.  
		
		  
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