agli  incroci  dei  venti:  graffiti

 
 
 

 

La guerra e la pace, di Ur
 

di Luigi Impieri

 
 

Considerando i tempi (della guerra in corso), vorrei parlare di un’opera, che nonostante il lungo periodo trascorso dalla sua realizzazione, ben 5000 anni or sono, appare drammaticamente attuale: “lo Stendardo di Ur”.

Stendardo di Ur


L’Opera benché provenga dalla leggendaria Mesopotamia, si trova attualmente conservata presso il British Museum, di Londra.
Si tratta di una pannello rettangolare (20,3/48,9cm.), decorato su entrambi i lati e dunque“bifronte”, realizzato a mosaico esattamente tra il 2900 - 2400 a C. che può essere considerato una sorta di libro storico illustrato.
Infatti le scene sono “raccontate” per mezzo di tre “strisce” che narrano su di un lato le vicende relative ad una guerra vinta dai Sumeri, e sull’altro, la meritata pace riconquistata.
Su di un pannello rivestito da catrame, gli artisti mesopotamici hanno incastonato conchiglie, lapislazzuli, madreperle bianche e pietre in calcare rosso per mezzo dei quali con estrema raffinatezza nonché competenza tecnica ed espressiva, sono riusciti a descrivere con ricchezza di minuzie, non solo gli ambienti, dell’avanzatissima civiltà mesopotamica.
Osservando le scene dello stendardo, notiamo quanto di straordinariamente raffinato avesse prodotto all’epoca, quella civiltà.
Basti soffermarsi sull’abbigliamento, sugli addobbi e sulle suppellettili.
Nella prima facciata, i soldati indossano un lungo mantello e hanno il capo cinto da una cuffia che sembra essere stata disegnata da un grande stilista nostro contemporaneo.
I carri militari hanno ruote possenti(all’epoca in Europa si trasporava la merce pesante, facendola roteare su tronchi d’albero; eravamo al neolitico) e forme estremamente eleganti, definite da linee curve e sinuose.
Sono trascinati da cavalli, ben addestrati e dettagliatamente curati.
Sempre in questa faccia, definita della “guerra”, c’è un aspetto molto crudele che ci spiattella in faccia oltre all’assurdità della guerra, soprattutto che il tempo trascorso da quegli eventi, siano passati invano.
Come a dire, che la storia non ci ha insegnato nulla.
Le crude scene, raccontate nello stendardo, ancora oggi (purtroppo) le rivediamo (dopo cinquemila anni) quasi allo stesso modo, benché non più “fissate”in opere realizzate a mosaico ma cinematicamente, attraverso i tecnologici schermi televisivi, dal vivo ed in tempo reale.
C’è una strana affinità a ben vedere, tra la raffinata eleganza con cui si mostrano certe scene di guerra presentate nello stendardo con alcune altrettanto patinate che le immagini televisive (funzionali alle logiche commerciali dell’audience) relative all’attuale guerra irachena, ci offrono.
Nello standardo, vediamo infatti i nemici, caduti in battaglia, calpestati dai “carri armati” che muovono all’assalto.

Stendardo di Ur

Prigionieri che dopo essere stati catturati vengono condotti legati e bendati davanti al sovrano che dovrà punirli.
Non vediamo noi oggi, le sesse scene, similarmente ripetute, dopo cinquemila anni?
E mentre non sappiamo quando finirà quest’assurda e stupida guerra, ritornando alla lettura de l’altra faccia”, dello stendardo, fortunatamente appuriamo che li, nella città di Ur, perlomeno, subentrerà la pace.
Vediamo infatti qui, in una delle tre strisce, i preparativi di un delizioso banchetto, in cui il re e i suoi sudditi, si apprestano a festeggiare la vittoria.
Anche qui tutto è minuziosamente descritto.
Nella fascia bassa e media, vediamo la servitù intenta a trasportare il necessario per la festa.
Le mandrie ben sistemate vengono condotte al cospetto del re per essere sacrificate.
In alto, nella terza sequenza, notiamo infine il banchetto che si svolge al cospetto del re (il quale al fine di poter essere riconosciuto come tale è stato rappresentato più in grande) che indossa il caratteristico Kuanakes (gonnellino in lana di pecora).
Qui gli invitati, hanno in mano una coppa per bere e siedono su seggiole elaborate evidentemente da falegnami esperti.
Si notino le gambe di quei sedili, una delle quattro descrive in forma stilizzata, la zampa di un animale.
E mentre tutti brindano, c’è un musico, pronto ad intonare con la sua elaboratissima arpa, dal manico in forma di toro, una sonata(ci piace immaginarla, così) di pace.
Attendiamo che lo stesso lieto fine, fuor di retorica, avvenga anche qui da noi, al più presto.

Stendardo di Ur
 

 
 
 
 

Luigi Impieri

 
 

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