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Da quando il cinema è
sceso in campo per competere con la televisione, ha cercato sempre di
colpire lo spettatore.
A volte lo colpisce allo stomaco, a volte al cuore, a volte ne insidia
occhi e orecchie, raramente lo colpisce al cervello.
In questa continua sfida con la rivale ha spesso finito per perdere ai
punti e, per evitare di soccombere definitivamente, non ha saputo fare
di meglio che mettere mano alla borsa.
Ecco quindi produzioni sempre più sfarzose e budget sempre più
astronomici, nel tentativo di recuperare - per lo più invano e spesso in
ritardo - gli spettatori perduti.
Ne sa qualcosa chi frequenta con una certa assiduità le sale
cinematografiche, dove sempre più rare sono le platee interamente
esaurite, nonostante le astute operazioni di marketing operate dai
gestori e la moltiplicazione miracolosa delle offerte attraverso il
meccanismo schizofrenico dei multisala.
E per chi vive in provincia, come vanno le cose? Lontano dai clamori
delle prime e primissime visioni, in assenza di politiche di recupero
degli spettatori perduti, il cinema, non più da decenni spettacolo
popolare, stenta e vive alla giornata.
Si risparmia su tutto, in inverno anche sul riscaldamento, non si
investe più in innovazione, anche la più elementare e necessaria, come
la sostituzione di lenti e lampade di proiettori, ormai degni di essere
collocati a riposo e di figurare con onore in un museo del cinema.
Lo spettatore che un tempo si accalcava allo sportello del botteghino
come all’ingresso di un luogo di culto e meta di pellegrinaggio, diserta
in massa il triste squallore della sala durante lo spettacolo.
Se ne resta a casa, dove gli giungono comodamente le ultimissime novità
via satellite, attraverso i vari network che ormai distribuiscono film
di recentissima visione o addirittura mai proiettati.
Frattanto, non disponendo di mezzi adeguati per passare al contrattacco,
si tenta una patetica e temeraria resistenza, ad opera di noi pochi, noi
happy few.
Abbandonati i sicuri divani dei nostri confortevoli soggiorni, ci
sprofondiamo in tristi e scomodissime poltrone, un tempo di legno, ora
ricoperte da sottili strati di imbottiture ignifughe, unica concessione
al lusso e alle mollezze.
Una innovazione necessaria, fatta più per ottemperare agli obblighi
imposti dalle normative in tema di sicurezza nei locali pubblici che per
il piacere di offrire un qualche genere di conforto allo spettatore
pagante.
Scomparso il biglietto omaggio, ridotto ai minimi termini il “ridotto”,
ogni visione richiede un obolo che, anche nelle sale più periferiche, si
attesta ormai a quota euro 6 e 50.
Ma il cinema, ultracentenario con il vizio del lifting, a cui
continuamente si sottopone per nascondere quelle rughe che certamente lo
farebbero più bello e più vero, prosegue imperterrito il suo cammino,
con lo sguardo sempre rivolto alla tanto agognata meta del profitto che
precede sempre, in ordine di importanza, il successo e che sempre più
raramente, a conti fatti, lo affianca.
Il film è una pietanza che va servita e consumata calda.
Guai a farla raffreddare, se non si vuole rinunciare quanto meno al
recupero degli investimenti.
Ormai tutti hanno cominciato a riflettere sui clamorosi insuccessi di un
passato più o meno recente e la sindrome di Cimino - ricordate "I
cancelli del cielo"? - è in agguato dietro ogni nuova produzione, pronta
a fare sfracelli degli incauti attori, registi o investitori che hanno
avuto parte all'ennesimo, ma non certamente ultimo, insuccesso.
Allora, via il superfluo: via le comparse, via gli scenari, via gli
attori… si, via anche loro.
Eccoli i nuovi interpreti: sintesi elettronica di personaggi reali o
realistici, ultimi in ordine di tempo a pagare per le troppe spese e le
poche idee che un cinema incapace di rinnovarsi ha saputo, o spesso non
ha saputo, mettere sulla scena.
Non si tratta più solamente di cartoni, come la conturbante Jessica
Rabbit, compagna del coniglio Roger, o di effetti speciali capaci di
contraddire ogni legge della fisica classica, ma di veri e propri cloni
elettronici di attori in carne ed ossa.
Protagonista recente di questa stravagante operazione è il bravo e
simpatico Tom Hanks, al quale era peraltro già accaduto di aggirarsi,
lui essere di questo mondo, sul set di "Forrest Gump" tra i fantasmi
ultramondani di personaggi del passato, resi ancora più fantasmatici da
un bianco e nero d'antan.
E se in "Dogville" Lars Von Trier aveva rinunciato alle scenografie per
dare maggior corpo alla emozionante recitazione di un cast di ottimi
comprimari, ecco Bob Zemeckis rinunciare anche al corpo dell'attore nel
suo "Polar Express" prossimamente nelle sale, per fargliene indossare
ben cinque, tutti diversi.
Il cast del futuro sarà dunque sempre più un "one man show" ? Sarà
dunque questo il percorso virtuoso che consentirà di ridurre i costi di
produzione e nello stesso tempo di rivitalizzare il rapporto ormai
raffreddato con lo spettatore?
Che ne sarà di Marilyn, di Humphrey, di Paul, di Sean, di Liz, di Marlon,
di Brigitte e di Jean, di Marcello, di Massimo, di Vittorio, di Gina e
Sophia e dei mille altri che sono stati e sono la carne e l'anima del
cinema? Piangeremo e rideremo sulle sorti dei nuovi replicanti,
assisteremo ad una specie di indecifrabile "Blade runner"?
Spettatori di tutto il mondo: uniamoci! Si cerchi ovunque un novello
Rick Deckart - Harrison Ford e gli si dia mandato di perseguire senza
tregua i mostri alieni che attentano alle nostre emozioni. O,
altrimenti, si accetti l'idea di potersi innamorare di una replicante
Marilyn e fuggire con lei lontano da questa sala, perennemente
impregnata dall'odore del fumo di quando ancora si poteva, verso un
improbabile happy end che qualsiasi film, che intenda fregiarsi
dell’attributo di ‘postmoderno’, rifugge ormai dal proporre. Ma, ecco,
il fascio di luce non danza più nell’aria, lo schermo ritorna vuoto e
immobile, le luci si accendono, la sala lentamente si svuota. E, adesso,
chi sveglierà lo spettatore addormentato? |
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