agli incroci dei venti agli incroci dei venti agli incroci dei venti agli incroci dei venti  
 
 
 

 Itinerario errabondo su “letteratura e migrazione”
 

di  Laura Montanari

 
 

Giorno dopo giorno, si sta parlando e scrivendo molto di immigrati e immigrazione. Dei nuovi sbarchi a Lampedusa, degli accordi di Tripoli, della nuova Bossi-Fini, del vertice europeo del G5….Questi gli argomenti nella vetrina della cronaca. L’eco mediatica rimanda pensieri e parole negli spazi della nostra quotidianità, fino all’ambulatorio di un medico, dove, qualche pomeriggio fa, un anziano (non poi tanto) alza la testa dal quotidiano, il naso dall’articolo titolato” Gli immigrati regolari sono più di due milioni” (La Stampa, 21 ottobre 2004, pag. 3) e appena vede una coppia di neri affacciarsi sulla porta sbotta..”O Santiddìo!.. non è ora che ve ne torniate a casa ?!”
Ritorni, partenze, arrivi , e nel mezzo transiti. E’ l’esperienza del viaggio, che larga parte ha oggi e ha sempre avuto nella vita degli individui, nella storia dei popoli e anche nelle letterature del passato e del presente, dell’Occidente e delle Terre altre, fino a diventare “topos” fra i più ricorrenti e fra i più ricchi di significazioni, spesso simboliche, metaforiche.
Mi perdo con la mente in un rapido e confuso sfogliare di eventi, visioni , testimonianze e pagine di viaggio, e poi fermo il filo del pensiero sul viaggio di migranza, perché ho dinnanzi a me due giovani neri che, visibilmente turbati e offesi, non trovano parole da rilanciare all’anziano.
Il “
viaggio di migranza” (il termine viene anche sostituito con erranza o viandanza) determinato dalla necessità, dallo scarto fra bisogno e risorse del territorio di origine, è connaturato alla vicenda umana, come ci suggeriscono le prime migrazioni preistoriche dall’homo erectus in poi, che dall’Africa portarono progressivamente al popolamento di tutta la Terra. La storia dei millenni e secoli successivi è segnata da tante altre migrazioni di varia modalità , per varie altre ragioni, oltre all’urgenza del bisogno, migrazioni nella logica della conquista egemonica o, al contrario, migrazioni come fuga disperata, come esilio forzato.
I trasferimenti dei migranti sono sempre stati caratterizzati dalla difficoltà, dalla fatica, dalla paura, spesso dalla tragedia. Le peregrinazioni epiche di Ulisse e di Enea hanno fissato nella nostra memoria una volta per tutte il rischio che l’avventura si tramuti in disavventura, soprattutto quando il viaggio si compie per le vie del mare. Oltre tutte le imprudenze, tutti gli errori e le colpe a loro ascrivibili, gli “uomini migranti” spesso devono fare i conti con l’indomita furia della natura, anche senza chiamare in causa la maledizione di un qualche dio.
Il pensiero va alle notizie di cronaca dei primi giorni di ottobre, che ci hanno allarmato annunciando un rinnovato “assedio” a Lampedusa “Ottocento clandestini sbarcano nell’isola”... Fortunati! Il Mediterraneo è stato clemente con loro, anche se poi resterà da vedere di quale mai sorte saranno in balìa, dall’ammucchiamento nel Centro di accoglienza in poi !
Meno fortunati i 283 migranti provenienti dall’India, dal Pakistan e dallo Sri Lanka, che nella notte di Natale del 1996 fecero naufragio nelle acque internazionali fra Malta e la Sicilia davanti alla costa siciliana di Portopalo ( Capo Passero). Da allora, pur essendo stato individuato il relitto del barcone, i loro cadaveri giacciono ancora, tra anfore puniche, statue greche, taniche di plastica, copertoni e suppellettili varie, nei fondali del Mediterraneo, il mare definito da F.Braudel “pianura liquida” per l’agibilità dei transiti che nei secoli si sono intrecciati tra le sue rive, ma nei secoli teatro anche di disavventure e sciagure.
La tragedia di questo viaggio della speranza mi si riaffaccia nella mente perché ho da poco letto (Specchio, del 2 ottobre scorso) un brano-testimonianza tratto dal libro di
Giovanni Maria BelluI fantasmi di Portopalo” (Mondadori, pagg. 299) uscito in libreria appena il 5 ottobre, ove si denuncia, attraverso l’inchiesta giornalistica, “il silenzio degli Italiani”, silenzio di parole dei mass media e inerzia di azioni da parte delle Amministrazioni. L’Autore ha curato anche, assieme all’attore e regista Renato Sarti, fondatore e anima del “Teatro della cooperativa” di Milano , la versione teatrale della vicenda, “La nave fantasma”, che sarà in cartellone dal 4 novembre al 5 dicembre prossimi, in prima nazionale, interpretata da Bebo Storti.
E’un allestimento del “teatro di parola”, che risponde alla scelta di impegno civile e denuncia sociale che il Teatro milanese persegue (www.teatrodellacooperativa.it) .
Da questo focolaio di pensieri, bruciatisi in parole improvvisate nell’ambulatorio medico, fattosi saturo di gelido imbarazzo, si è sprigionata la mia voglia di scoprire se e fino a che punto è vero il silenzio degli Italiani su questo genere di problematica, considerato che la migrazione è fenomeno di così lunga storia, considerato che è passata sulla pelle stessa di noi Italiani. Voglia di verificare chi fra “gli Italiani che scrivono”, al di fuori dell’ambito strettamente giornalistico per cui la notizia, l’inchiesta, lo scoop è di mestiere, al di fuori della produzione degli storici, per cui la ricerca è d’obbligo, si è interessato a questo tema, chi dunque fra i nostri narratori e poeti, liberi di attingere al loro immaginario ideale e alla realtà del vivere quotidiano.
Nel rapporto fra Letteratura e Migrazione, che può essere inteso sia come Letteratura
sulla Migrazione sia come Letteratura della Migrazione, prenderò dunque in considerazione il primo aspetto, circoscrivendo il campo di indagine dal punto di vista temporale (dall’Ottocento – avvio delle grandi migrazioni italiane - ad oggi ) e tematico: mi interessa infatti particolarmente il tema del “viaggio di migranza”, perché situazione dinamica, fluida, con alta possibilità di suspence e di pathos nei tre momenti della partenza, del trasferimento, dell’arrivo, e dunque segnata da alcuni dei requisiti topici che ispirano la scrittura letteraria.
In un secondo momento varrà certamente la pena di avvicinarsi anche alla Letteratura della migrazione, cioè alla produzione già ampia e importante degli “scrittori migranti”, che hanno espresso in lingua italiana le vicissitudini e le problematiche del “viaggio”.
Perché il rinvio non tolga valore a questo fenomeno letterario in corso, che a mio avviso segna un traguardo importante per il processo di integrazione fra culture e genti, arrivo in chiusura riportando due dichiarazioni che mi sono piaciute, lette nel Corriere di Romagna del 26 ottobre scorso ( articolo di pag. 32 “Eks&Tra, la nuova letteratura” di M.Tosi)
Sono state rilasciate pochi giorni fa a Mantova nel corso di “ConVegno. Persone e libri che migrano”, alla presentazione della decima edizione del premio letterario per scrittori migranti, dalla giornalista riminese
Roberta Sangiorgi, presidente della Associazione Eks&Tra (www.eksetra.net), e dallo scrittore algerino che vive a Ravenna, Tahar Lamri.

La scrittura della migrazione è definita giustamente da una parte “la scrittura del realismo”, perché descrive la solitudine, l’attesa, la nostalgia. Le vie delle sofferenze rimangono le stesse, le montagne da scalare, la consapevolezza della indifferenza, brandelli di un vissuto da raccontare. La realtà prescinde da ogni astrattezza..

Roberta Sangiorgi


Scrivere in Italia significa vivere nella lingua italiana, convivere con essa e farla convivere con le altre mie lingue materne significa forse creare in qualche modo l’illusione di avervi creato radici. Radici di mangrovia, in superficie, sempre sulla linea di confine, che separa l’acqua dolce della memoria, da quella salata del vivere quotidiano. Non un mero nomadismo, in cerca di pascoli letterari, ma un pellegrinaggio circolare, dove non è assente lo smarrimento, il saccheggio, la meraviglia, il mito, e, forse, il ritorno verso di sé.

Tahar Lamri

A questo punto il mio “itinerario errabondo” è stato concepito, raccontata la sua genesi, abbozzati i suoi essenziali obiettivi.
Per la partenza vera e propria…alla prossima!

 
 
 
 

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