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Destrezza. Si chiama così. E bisogna riconoscerla al governo mentre sta
proseguendo il cammino che toglierà indipendenza alla magistratura e
dignità ai cittadini nel silenzio pressochè generale.
Conflitto di interessi, discesa in politica per fini privati,
sistemazione disinvolta di pendenze penali, ed ora l'incremento del
potere dell'esecutivo per due vie, da un lato la riforma costituzionale
che lo amplia riducendo il ruolo del Parlamento e del Capo dello Stato,
dall'altro l'indebolimento dei giudici e del controllo di legalità.
Si parla della riforma cosiddetta federalista e costituzionale, si tace
sull'ordinamento giudiziario, senza avvertire il nesso strettissimo,
senza rammentare che le leggi costituzionali almeno sono soggette al
doppio passaggio. Silente ormai da tempo l'opposizione, che
probabilmente non ha patteggiato - come pure si sente sussurrare - in
materia, ma certo spende più energie, in questi giorni, sul tema
dell'elezione di mister ulivo - bello guaglione.
La destrezza della destra, se così si può dire, non sta soltanto nella
tenacia del disegno, nell'arte di approfittare degli eventi
internazionali tragici, nelle volute sceneggiate, gaffes e bandane che
distolgono il pubblico; e neppure solo nell'abuso della posizione
dominante nell'informazione, che serve appunto per sua natura a
ingannare i cittadini deformando i fatti e le loro proporzioni.
Quello che ha indebolito fino quasi all'impotenza i difensori della
democrazia è stato il taglio "tecnico" delle riforme di ordinamento
giudiziario, condotto per tasselli. Corte di Cassazione come vertice
burocratico e parallelo al CSM, anzichè giurisprudenziale, Scuola della
magistratura e concorsi progressivamente infiltrati dal ministro e
tramite della normalizzazione dei giudici e del controllo delle loro
carriere. Cose che, prese ciascuna per sé, non lasciano vedere l'effetto
complessivo. Argomenti sui quali è arduo farsi capire dalle piazze, e
infiammarle.
Temi complessi. Avete provato a parlarne in pubblico, o su giornali
popolari? Scatta la chiusura, magari cortese, di chi non se ne intende e
stenta a seguire. Comprensibilmente. Con l'aiuto, va però aggiunto,
delle colpe della magistratura in tema di selezione negativa degli
indegni, per fare un esempio. Che fare? Saltare a piè pari i singoli
punti e richiamare l'effetto globale, nella speranza di essere creduti
quando si dice che il marchingegno, in buona parte previsto da Licio
Gelli, toglie libertà ai cittadini mentre colpisce i giudici? O variare
il timbro a seconda dell'ambiente e dell'uditorio?
Il fatto è che manca il tempo. La sintesi e la divulgazione delle
ragioni per opporsi dovrebbe esser fatta appunto dall'opposizione
politica, alla quale, più che alla magistratura - altrimenti obbligata a
fare politica! - tocca di spiegare al Paese e prendere le decisioni
conseguenti. Ma non accade come dovrebbe. E questo è davvero,
nuovamente, anche questione morale della giustizia.
Così, o pressappoco così, stando le cose, mentre i soli ostacoli per il
governo paiono essere i rilievi dell'Udc, poichè i giudici sono (quasi)
tutti in grado di afferrare l'abile disegno tecnico del berlusconismo,
resta da proporre ai giudici, sulla soglia della sciagurata e dispotica
riforma, di resistervi con la più coraggiosa e ferma denuncia della
democrazia che declina.
Così forte e determinata da comprendere una lunga astensione
dall'attività come mai avvenuta in passato. E da obbligare non solo i
cittadini a tendere l'orecchio, e il capo dello Stato a percepire e
manifestare almeno l'allarme. Ma l'opposizione a fare con decenza il suo
mestiere. Magari aiutata da una ripresa di quei movimenti che ha
volentieri smorzato ma forse non spento.
Si sta consumando un dramma. Dobbiamo almeno consentire al Paese di
assistere alla sua rappresentazione.
*Magistrato,
Consigliere di Corte d'Appello a Genova
Pubblicato in: Osservatorio sulla legalita', 30 settembre 2004
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