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Ordinamento giudiziario: riforma con destrezza

di Adriano Sansa

 
     
 

Destrezza. Si chiama così. E bisogna riconoscerla al governo mentre sta proseguendo il cammino che toglierà indipendenza alla magistratura e dignità ai cittadini nel silenzio pressochè generale.
Conflitto di interessi, discesa in politica per fini privati, sistemazione disinvolta di pendenze penali, ed ora l'incremento del potere dell'esecutivo per due vie, da un lato la riforma costituzionale che lo amplia riducendo il ruolo del Parlamento e del Capo dello Stato, dall'altro l'indebolimento dei giudici e del controllo di legalità.
Si parla della riforma cosiddetta federalista e costituzionale, si tace sull'ordinamento giudiziario, senza avvertire il nesso strettissimo, senza rammentare che le leggi costituzionali almeno sono soggette al doppio passaggio. Silente ormai da tempo l'opposizione, che probabilmente non ha patteggiato - come pure si sente sussurrare - in materia, ma certo spende più energie, in questi giorni, sul tema dell'elezione di mister ulivo - bello guaglione.
La destrezza della destra, se così si può dire, non sta soltanto nella tenacia del disegno, nell'arte di approfittare degli eventi internazionali tragici, nelle volute sceneggiate, gaffes e bandane che distolgono il pubblico; e neppure solo nell'abuso della posizione dominante nell'informazione, che serve appunto per sua natura a ingannare i cittadini deformando i fatti e le loro proporzioni.
Quello che ha indebolito fino quasi all'impotenza i difensori della democrazia è stato il taglio "tecnico" delle riforme di ordinamento giudiziario, condotto per tasselli. Corte di Cassazione come vertice burocratico e parallelo al CSM, anzichè giurisprudenziale, Scuola della magistratura e concorsi progressivamente infiltrati dal ministro e tramite della normalizzazione dei giudici e del controllo delle loro carriere. Cose che, prese ciascuna per sé, non lasciano vedere l'effetto complessivo. Argomenti sui quali è arduo farsi capire dalle piazze, e infiammarle.
Temi complessi. Avete provato a parlarne in pubblico, o su giornali popolari? Scatta la chiusura, magari cortese, di chi non se ne intende e stenta a seguire. Comprensibilmente. Con l'aiuto, va però aggiunto, delle colpe della magistratura in tema di selezione negativa degli indegni, per fare un esempio. Che fare? Saltare a piè pari i singoli punti e richiamare l'effetto globale, nella speranza di essere creduti quando si dice che il marchingegno, in buona parte previsto da Licio Gelli, toglie libertà ai cittadini mentre colpisce i giudici? O variare il timbro a seconda dell'ambiente e dell'uditorio?
Il fatto è che manca il tempo. La sintesi e la divulgazione delle ragioni per opporsi dovrebbe esser fatta appunto dall'opposizione politica, alla quale, più che alla magistratura - altrimenti obbligata a fare politica! - tocca di spiegare al Paese e prendere le decisioni conseguenti. Ma non accade come dovrebbe. E questo è davvero, nuovamente, anche questione morale della giustizia.
Così, o pressappoco così, stando le cose, mentre i soli ostacoli per il governo paiono essere i rilievi dell'Udc, poichè i giudici sono (quasi) tutti in grado di afferrare l'abile disegno tecnico del berlusconismo, resta da proporre ai giudici, sulla soglia della sciagurata e dispotica riforma, di resistervi con la più coraggiosa e ferma denuncia della democrazia che declina.
Così forte e determinata da comprendere una lunga astensione dall'attività come mai avvenuta in passato. E da obbligare non solo i cittadini a tendere l'orecchio, e il capo dello Stato a percepire e manifestare almeno l'allarme. Ma l'opposizione a fare con decenza il suo mestiere. Magari aiutata da una ripresa di quei movimenti che ha volentieri smorzato ma forse non spento.
Si sta consumando un dramma. Dobbiamo almeno consentire al Paese di assistere alla sua rappresentazione.

*Magistrato, Consigliere di Corte d'Appello a Genova

Pubblicato in: Osservatorio sulla legalita', 30 settembre 2004
 

 
 
 
 

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