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Chissà se
qualcuno fra i lettori ha mai sentito parlare del famoso
“complotto dei medici sabotatori” del 1953? Nove illustri medici
dell’ex Unione Sovietica, sei dei quali ebrei, furono arrestati
con l’accusa di aver eliminato importanti esponenti del governo,
fra cui Zdanov, e di voler attentare alla vita dello stesso
Stalin, in combutta con i servizi segreti americani e
israeliani. Due di loro, Etinger e Kogan, morirono sotto
tortura, ma gli altri sette, fortunatamente, vennero poi
liberati con tante scuse e la preghiera di non far parola
dell’incidente. La morte di Stalin arrivò provvidenziale e una
volta tanto una feroce campagna denigratoria non si concluse nel
consueto bagno di sangue. Venne poi Cruscëv e la storia è nota.
Forse però non tutti sanno che durante l’istruttoria del
processo fu indicato, quale ideatore del diabolico piano, niente
meno che un attore, Solomon Mikhoels, direttore del già
liquidato teatro Yiddish di Mosca, il GOSET, e del Comitato
antifascista ebraico, di cui avevano fatto parte eminenti
personalità del mondo della cultura, come lo scrittore Il’ja
Eremburg, il regista Sergej Eizenštein, il violinista Ojstrach e
la cui storia meriterebbe un racconto a parte.
Nel momento dell’affare dei medici, Mikhoels non può più
smentire le accuse, cercare di difendersi o semplicemente
confessare, come fecero quasi tutti gli imputati, per le
‘pressioni’ subite o per fede cieca nella causa stalinista. Egli
infatti era già morto da tempo, nelle seguenti circostanze:
l’undici gennaio del 1948 aveva ricevuto dal segretario di
Stalin l’ordine di recarsi, assieme al critico Vladimir
Golubov-Potapov, a Minsk, per giudicare alcune opere teatrali
rappresentate nel locale Teatro ebraico di stato. La sera del
12, un inserviente dell’hotel Intourist di Minsk, presso cui
erano alloggiati, passa a Mikhoels una telefonata. Lui e il
collega vengono convocati per una riunione urgente.
La mattina seguente, all’alba, in una strada ghiacciata nei
pressi della stazione ferroviaria, alcuni operai scoprono due
cadaveri e danno l’allarme. La polizia identifica subito
l’attore e il critico moscoviti. Entrambi portano i segni di
profonde ferite, soprattutto sul capo e in viso. Incidente
stradale, fu la versione ufficiale sulla causa della morte. E
per Mikhoels vennero allestiti i funerali di stato.
A rappezzare la testa fracassata di Mikhoels, prima di esporlo
al pubblico, fu chiamato il professor Boris Zbarskji, già
imbalsamatore di Lenin. Purtroppo questo fu uno degli ultimi
lavori dell’illustre esperto, che di lì a poco venne spedito in
un lager.
Ma come mai tanto onore per un attore ebreo? Quali erano stati i
suoi meriti? E perché era stato così sbrigativamente liquidato?
Mikhoels era nato a Dvinsk, in Lettonia, nel 1890 e aveva
studiato a San Pietroburgo, dove fonda nel 1918 un laboratorio
teatrale ebraico di lingua yiddish. Due anni dopo si stabilisce
a Mosca e dà vita al Teatro nazionale ebraico, il GOSET. Mette
in scena le opere di grandi autori yiddish, come Shalom Aleichem
e Mendele Mocher Sforim, per mezzo delle quali ottiene fama
internazionale. Ma non solo. Memorabile per la storia del teatro
è rimasta la sua interpretazione iperdrammatica, con lunghe e
intense pause, del Re Lear, anch’esso rappresentato nella lingua
degli ebrei orientali.
Amico del regista teatrale Mejerchold’d, morto in un gulag nel
’39, e dello scrittore Isaac Babel, cui toccò la stessa sorte
nel ’40, certo non si faceva illusioni sulla natura dello
stalinismo. Tuttavia lo servì fedelmente quando gli fu
richiesto, nel 1942, di presiedere il comitato ebraico
antifascista. La scelta cadde su Mikhoels per la celebrità di
cui godeva anche all’estero e per l’autorità che esercitava
sugli ebrei sovietici, che vedevano in lui il portavoce e
l’intermediario nei confronti del potere. Scopo del comitato era
aiutare lo sforzo propagandistico sovietico in Occidente per
l’apertura di un secondo fronte e fare appello agli ebrei di
tutto il mondo perché sostenessero l’URSS contro il nemico
comune.
A tal fine venne inviato nel 1943, assieme allo scrittore Icik
Feffer, per sette mesi, negli Stati Uniti. Vi arrivarono a
luglio e in breve divennero i beniamini dell’America di
sinistra. Incontrarono Einstein, Chaim Weizmann, Marc Chagall.
Furono organizzati raduni di massa: l’8 luglio 1943 vide riunite
al Polo Grounds di New York circa 45.000 persone. Il viaggio
costituì uno dei maggiori successi propagandistici riportati
dall’Unione Sovietica. I due inviati tornarono in patria con
ingenti somme, frutto delle raccolte promosse per aiutare il
popolo russo in difficoltà, e con tre pellicce offerte
dall’Associazione dei pellicciai americani. Tre visoni identici,
uno per Mikhoels, uno per Feffer e uno per Stalin.
I successi ottenuti, il prestigio di cui godeva, il premio
Stalin ricevuto subito dopo la guerra, indussero Mikhoels ad
illudersi riguardo al proprio ruolo e alla possibilità di
influire sulla condizione del suo popolo in URSS. “Ún attore può
anche diventare un tribuno” confidava agli amici e non pochi
pubblicisti lo indicavano come “ il re degli ebrei russi”. Così
scrisse una lettera a Stalin in cui chiedeva che, quale
riconoscimento per l’altro tributo di sangue versato per la
difesa dell’URSS, agli ebrei fosse assegnato un territorio in
Georgia, già svuotata dei tatari, deportati in regioni lontane
perché accusati di aver collaborato col nemico. Stalin vide
nella richiesta una pericolosa pretesa di autonomia, addirittura
di secessione. E la fine di Mikhoels fu decretata.
Quando Mikhoels fu ucciso indossava la famosa pelliccia.
Alla sua morte seguì una violenta campagna antisemita, che
portava il nome di “lotta ai cosmopoliti senza radici” o “lotta
al cosmopolitismo”. Del resto parlare apertamente di ebrei o di
giudei in un paese dove il razzismo era proibito per legge,
faceva troppo vecchio regime. Il Comitato ebraico liquidato, il
GOSET soppresso.
Il 1949 segna un’ondata d’arresti senza precedenti che falcidia
drasticamente l’intelligencija ebraica. Nella nuova edizione
della grande enciclopedia sovietica uscita nel 1952, la voce
Ebrei viene ridotta dalle 54 pagine precedenti a 2 soltanto, con
una presentazione che in quei tempi suonava sinistra: “Gli ebrei
non costituiscono una nazione”.
Ma si sa che gli ebrei sono spiritosi e sanno ridere delle
proprie disgrazie. Woody Allen e Moni Ovadia ce lo ricordano
continuamente. E allora subito prese a circolare una storiella
che ha per tema “una tipica conversazione telefonica”:
-Per favore, posso parlare con Abramovič?
-Non è in casa.
-È al lavoro?
-No.
-È fuori città?
-No.
-Ho capito bene?
-Si.
Anche se molti testimoni del tempo già sapevano o comunque
intuivano la verità, solo con l’apertura parziale degli archivi
di stato in epoca gorbacioviana, è emerso che quello di Mikhoels
fu un vero e proprio omicidio politico, ordinato da Stalin in
persona.
Per ricordare Salomon Mikhoels, la sua arte e la sua vicenda,
nel 1989, a Mosca, gli è stato intitolato il Centro Culturale
Ebraico alla cui inaugurazione ha presenziato Elie Wiesel.
Filmati delle sue interpretazioni hanno preso a circolare di
nuovo, la televisione russa ha realizzato un lungometraggio
sulla sua vita.
Il governo russo ha promosso una giornata internazionale
dell’UNESCO, il 17 marzo 1990, per celebrare il centenario della
sua nascita.
golferasi@yahoo.it |
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