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Il neo-liberisimo semina la fame

di Maurice Oudet

 
     
 

La fame non è una disgrazia della natura.

Questa nostra terra è in grado di soddisfare il bisogno primario del cibo per tutti/e. Ciò che non funziona sono i meccanismi economici di mercato e gli interessi finanziari di coloro che vogliono trarre profitto dalle loro attività produttive e commerciali a scapito della vita di centinaia di milioni di piccoli produttori e dei consumatori sia del Nord che del Sud del mondo. Da qui nasce la necessità di affermare l’idea e la pratica della sovranità alimentare, come diritto di tutti i soggetti interessati di partecipare alla definizione ed attuazione di politiche e riforme che sanciscano tale inviolabile principio.
Maurice Oudet è un prete dei Missionari d’Africa che lavora da trent’anni in Burkina Faso in stretto contatto con i contadini di questo Paese.
Oggi, sul nostro pianeta, non manca il cibo. E i contadini sono capaci di dare molto se si offre un prezzo remunerativo per le loro produzioni agricole. Le domande che ci si deve porre, allora, sono le seguenti: come garantire una giusta ripartizione del cibo disponibile in modo che tutti vi abbiano accesso? E chi produrrà il cibo di cui la popolazione mondiale ha bisogno?
La risposta ufficiale degli Stati Uniti e dell’Europa a queste domande è che la cosa più importante è che il cibo circoli facilmente, senza ostacoli. Essi sostengono che siccome c’è n’è abbastanza al mondo, quando una regione mancherà di cibo - in modo permanente od occasionale - il mercato svolgerà il suo ruolo compensativo, e ci sarà, così, sempre e dappertutto. Dunque, per garantire la sicurezza alimentare di tutto il pianeta, basta liberalizzare il commercio, ivi compresi, e soprattutto, i prodotti agricoli e alimentari.

Il nord detta le regole
Ciò che non dicono gli Stati Uniti e l’Europa, è che la sovranità alimentare non li interessa perché l’hanno già. Essi sostengono i loro agricoltori con sostanziose sovvenzioni, legate o meno alla produzione, e continuano a tassare i prodotti all’importazione, soprattutto quelli che arrivano dal Sud del mondo, quando fa loro comodo. Non vogliono che una cosa: vendere dappertutto nel mondo le loro eccedenze agricole e i vari prodotti alimentari che escono dalle loro industrie. E continuano ad usare anche il cibo come arma politica nei confronti di quei Paesi che non si allineano alle loro posizioni.
Questa politica è all’opera da tempo. Ciascuno di noi può cercare di misurarne i risultati. Basta guardare le disparità tra città e campagna nei Paesi del Sud. In città, la gente ha una relativa sicurezza alimentare, nel senso che può anche acquistare, ed anzi, in molti casi, consuma prevalentemente prodotti importati, che spesso sono anche meno cari dei prodotti locali. Se poi si va nei villaggi, che cosa si constata? In Burkina Faso, ad esempio, quest’anno la sicurezza alimentare è assicurata. C’è anzi abbondanza di cibo, almeno nel Sahel. Ci sono eccedenze per un milione di tonnellate di cereali. Ma i contadini non hanno soldi per curarsi o per mandare i bambini a scuola. I loro prodotti non si vendono.
La situazione dei produttori di riso del Sourou è chiarificatrice: hanno migliaia di tonnellate di riso da vendere, ma da due anni non trovano acquirenti a un prezzo remunerativo, poiché subiscono le conseguenze delle importazioni massicce di riso spezzato. Riso che ha spesso dai sette ai dieci anni d’età, e che è venduto sottocosto sul mercato mondiale. A ciò si aggiunge “l’aiuto alimentare” degli Stati Uniti che aggrava una concorrenza sleale.
L’alternativa contadina a tutto ciò è la sovranità alimentare, cioè il diritto di ogni popolo, di ogni Stato o unione di Stati a definire le sue politiche agricole e alimentari, a proteggere e regolare la produzione agricola nazionale e il mercato locale o regionale al fine di ottenere risultati di sviluppo sostenibile, senza dumping nei confronti dei Paesi terzi.
Tale sovranità include:
1. la priorità data alla produzione agricola locale per nutrire la popolazione, l’accesso dei contadini/e e dei senza terra alla terra, all’acqua, alle sementi e al credito. Di conseguenza, anche la necessità di attuare riforme agrarie, di lottare contro gli organismi geneticamente modificati (Ogm) per un libero accesso alle sementi, e di considerare l’acqua come un bene pubblico da ripartire equamente e in modo durevole;
2. il diritto dei contadini/e a produrre gli alimenti e il diritto dei consumatori di poter decidere ciò che vogliono consumare e come viene prodotto;
3. il diritto degli Stati a proteggersi dalle importazioni agricole e alimentari a prezzi troppo bassi. Prezzi agricoli legati ai costi di produzione: è possibile, purché gli Stati o le unioni di Stati abbiano il diritto di tassare le importazioni effettuate a prezzi eccessivamente bassi. Si impegnino per favorire una produzione agricola sostenibile e abbiano la capacità di gestirla sul mercato interno per evitare eccedenze strutturali;
4. la partecipazione delle popolazioni alle scelte di politica agricola, cioè il riconoscimento dei diritti soprattutto delle contadine che svolgono un ruolo fondamentale nella produzione agricola e alimentare.

Storia di un’idea
Il concetto di sovranità alimentare è stato sviluppato dal movimento Via Campesina e diffuso in occasione del vertice mondiale dell’alimentazione del 1996. Esso si presenta come un’alternativa alle politiche neoliberali in atto a livello agricolo. Da allora, questa idea è diventata uno dei temi più importanti nel dibattito agricolo internazionale, anche presso le Nazioni Unite. È stato anche il filo conduttore del Forum delle ong del giugno 2002, svoltosi parallelamente al vertice mondiale dell’alimentazione della Fao.
Da allora le organizzazioni contadine non cessano di denunciare quelle politiche neoliberali che stanno distruggendo la sovranità alimentare. Questo perché danno la priorità al commercio internazionale e non all’alimentazione delle popolazioni. Esse non hanno contribuito per nulla a sradicare la fame del mondo. Anzi, hanno rafforzato ed esteso l’industrializzazione dell’agricoltura, mettendo in grave pericolo il patrimonio genetico, culturale e ambientale del pianeta, come pure la salute dei consumatori. Hanno inoltre costretto centinaia di milioni di contadini all’abbandono delle loro pratiche agricole tradizionali, all’esodo rurale o all’emigrazione.
Istituzioni internazionali, come il Fondo monetario internazionale (Fmi), la Banca mondiale (Bm) e l’Organizzazione mondiale del commercio (Omc/Wto), hanno messo in opera queste politiche dettate dagli interessi delle imprese multinazionali e delle grandi potenze. Accordi internazionali (Omc), regionali (Accordo di libero scambio delle Americhe/Alca), o bilaterali di “libero scambio” di prodotti agricoli, permettono di fatto a queste di controllare il mercato mondiale dell’alimentazione. L’Omc - come sostiene Via Campesina - è un’organizzazione totalmente inadatta a trattare le questioni relative all’alimentazione e all’agricoltura, e deve perciò ritirarsi dal settore.

Prezzi e mercati
Nel mondo intero le importazioni agricole a basso prezzo distruggono l’economia agricola locale. È il caso dei prodotti caseari europei importati dall’India, dell’esportazione nei Paesi caraibici dei maiali allevati industrialmente negli Stati Uniti, della carne e dei cereali esportati in Africa dall’Unione Europea o del mais esportato dagli Stati Uniti in Messico (paese d’origine del mais!) che sta mandando in rovina i suoi produttori. Tutti questi prodotti sono esportati a condizioni di dumping, e cioè ad un costo inferiore a quello di produzione.
Gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno fatto approvare alla Omc una nuova forma di dumping, che sostituisce gli aiuti diretti all’esportazione - non più possibili, in teoria -, con un sostanzioso calo dei prezzi agricoli, associato a finanziamenti diretti da parte dello Stato ai vari produttori. Peccato che i Paesi del Sud non possano permettersi di fornire questo tipo di finanziamenti ai loro contadini, i quali, in questo modo, entrano nel mercato mondiale in condizioni totalmente svantaggiate.
Per realizzare la sovranità alimentare è quindi necessario far cessare le pratiche di dumping. Ma non solo. La sovranità alimentare non si oppone agli scambi, bensì alla priorità data alle esportazioni: essa permette di garantire alle popolazioni la sicurezza alimentare, pur scambiando con altre regioni produzioni locali che fanno la diversità del nostro pianeta. Bisogna dare a questi scambi un nuovo quadro normativo, sotto l’egida delle Nazioni Unite, che dia la priorità alle produzioni locali e regionali rispetto all’esportazione; che autorizzi gli Stati a proteggersi dalle importazioni a prezzi eccessivamente bassi; che autorizzi sostegni pubblici ai contadini, purché non servano, direttamente o indirettamente, a esportare a prezzi bassi, e che garantiscano una stabilità dei prezzi agricoli a livello internazionale.
Il problema dei contadini è innanzitutto la mancanza di accesso ai propri mercati nazionali, dovuta ai prezzi troppo bassi offerti per i loro prodotti, e alle pratiche di dumping all’importazione con le quali devono fare i conti. L’accesso ai mercati internazionali concerne solo il 10% della produzione mondiale, ed è controllato dalle imprese multinazionali e dalle grosse imprese agroindustriali dei grossi produttori del Nord.
Per i prodotti tropicali (caffè, banane, ecc.) il problema non è tanto la mancanza di accesso, quanto il controllo del mercato da parte delle multinazionali e i prezzi eccessivamente bassi per i produttori. L’esempio dei prodotti tropicali è estremamente rivelatore: beneficiano di un accesso quasi totalmente libero nei Paesi del Nord, ma le famiglie contadine del Sud non ne traggono vantaggi né un miglioramento della loro situazione.

Nuove politiche agricole
Al Nord come al Sud, aiuti pubblici (sussidi, crediti) possono essere importanti per stimolare e mantenere una produzione alimentare contadina durevole. Per poter esercitare la loro sovranità alimentare, sia i Paesi del Nord che del Sud devono poter sostenere la loro agricoltura per garantire il diritto all’alimentazione delle loro popolazioni, preservare l’ambiente, sviluppare un’agricoltura durevole e proteggersi dal dumping. Essi devono poter sostenere la loro agricoltura anche per assumere altri compiti di interesse pubblico, che possono essere diversi a seconda dei Paesi e delle loro tradizioni culturali. Ma attualmente l’Europa e gli Stati Uniti abusano dei sostegni pubblici ai grossi produttori, mantengono artificialmente bassi i prezzi sul mercato interno e praticano una forma mascherata di dumping delle loro eccedenze su quelli internazionali distruggendo così l’agricoltura familiare tanto al Nord quanto al Sud.
Da anni Via Campesina, il Roppa e altre coalizioni rurali svolgono un ruolo dinamico per sviluppare reti internazionali che raggruppino movimenti sociali, ambientalisti, ong di sviluppo, consumatori. Da Seattle a Genova, da Porto Alegre a Cancun, queste reti hanno elaborato proposte e strategie indispensabili per far cessare le politiche neoliberiste e sviluppare quelle solidali. Allora, che fare concretamente? É importante prendere contatto con queste organizzazioni per sostenere azioni e iniziative a livello locale, nazionale o regionale, come le iniziative di produzione familiare sostenibile, occupazioni di terre da parte dei senza terra, difesa delle sementi locali, azioni contro gli Ogm e il dumping, contro le sovvenzioni al cotone, e così via. Ed è altrettanto importante portare questo dibattito sia nelle varie organizzazioni che a livello dei governi e dei parlamenti, e partecipare alle iniziative internazionali e alle varie campagne che vengono lanciate.
Un esempio per concludere: il giorno in cui in Burkina Faso la sovranità alimentare sarà raggiunta, le importazioni di riso saranno controllate, e per quello prodotto localmente sarà garantito un prezzo minimo al chilo correlato ai costi di produzione. Così, ad esempio, i produttori del Sourou, in uno o due anni, raddoppieranno la produzione, si occuperanno della manutenzione delle risaie, produrranno del composto per mantenere la fertilità della terra. Potranno curare come si deve i loro bambini e mandarli a scuola. Gli abitanti della capitale dimenticheranno il riso spezzato che viene dall’Asia e apprezzeranno il buon sapore del riso burkinabé. Il Paese farà economia di valuta straniera, perché ben presto la produzione locale basterà al consumo. Un sogno? No, una scommessa.

 
Maurice Oudet  
Missione Oggi  

 
 
 
 

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