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Allawi, due o tre cose su di lui...

di Mazzetta

 
     
 

Per capire la storia a volte è utile conoscerne gli attori.
In questo caso è bene sapere e conoscere chi regge effettivamente l’Iraq in questi giorni e in queste ore. Se su John Negroponte, che controlla il budget della guerra e di fatto esercita i poteri di tutti i ministeri attraverso gli oltre 3000 uomini alle sue dipendenze è gia stato detto tutto, o quasi, e nulla è più un segreto, la sua controparte irachena merita uno sguardo più attento di quelli finora gli sono stati dedicati. Per la stampa occidentale non pare meritare troppa attenzione, ma conoscerne meglio le gesta aiuta a precisare il quadro reale delle vicende irachene. Allawi nasce uomo del Baath, precisamente dei servizi di Saddam, e secondo il Dr. Haifa al-Azawi, suo compagno di corso a medicina, amava girare armato e brandire la pistola in ogni occasione fin da quando era un semplice attivista del Baath, anni ’60 e ’70.
Nel 1971 si trasferisce a Londra, e imperversa fino a che non ha una divergenza di opinioni con Saddam in persona, e da capo dei servizi iracheni in Gran Bretagna si trova improvvisamente attaccato nel suo appartamento da simpatici compatrioti armati di asce.
La cosa lo scuote, e lo induce a riparare negli Usa, dove viene poi ripescato dalla Cia quando viene deciso che Saddam non è più un amico, ma un rompiballe. La sua organizzazione, o gruppo, l’ Iraqi National Accord riceve allora soldi e addestramento per contrastare Saddam, contrasto poco efficace e limitato alla messa in opera di attentati con autobomba, pare la specialità del gruppo. Autobomba buone, non malvagie come quelle che ora imperversano nel paese.
In seguito all’invasione americana Allawi rientra e tesse antiche tele e si asseta ai piani alti dei nuovi servizi iracheni, fino a che l’ugualmente ambiguo Chalabi non cade in disgrazia e lui si ritrova nominato a capo del governo iracheno. Un ruolo impegnativo, subito gratificato da una taglia di milioni di dollari da parte di al Qaeda. Un ruolo che richiede un polso diverso da quello del businessman corrotto che era Chalabi, un ruolo per il quale occorre stomaco. Infatti non appena nominato asseconda l’escalation di violenza nel paese, con dichiarazioni infuocate e durissime, riapre la caccia ad al Sdar, introduce la pena capitale, il coprifuoco, appoggia gli attacchi a Najaf, Falluja, Ramadi, introduce provvedimenti restrittivi e che vanno nella direzione opposta al dialogo. Un novello dittatore di stampo classico, fatto e finito.
A completare il quadro una storia minore, ma significativa.. Pochi giorni prima di sedere sulla più alta poltrona irachena, quando già si sapeva che sarebbe stato prescelto, il drastico Allawi avrebbe giustiziato personalmente , in perfetto stile saddamita, sei insorti catturati dagli iracheni e custoditi in una stazione della polizia di Baghdad. Una inchiesta del Sidney Morning Herald ha cercato di andare a fondo a questa notizia, e ha provocato un carteggio e raccolto testimonianze importanti e smentite che non smentiscono.
I testimoni: due persone trovate dal giornale, che hanno parlato non sapendo nulla l’uno dell’altro e a condizione di riservatezza, i testimoni non sono stati pagati, le interviste sono durate circa 90 minuti l’una, alla presenza di un altro giornalista e di un interprete. I due presenti hanno dichiarato al giornale che sette prigionieri erano allineati ed incappucciati lungo un muro interno della cinta del centro di massima sicurezza Al-Amariyah security centre.
Allawi avrebbe detto ai presenti che quelli erano responsabili di oltre cinquanta uccisioni ciascuno, e che meritavano anche più della morte. Di fronte ad una dozzina di soldati iracheni, e a quattro americani della sua squadra personale di sicurezza completamente silenti, Allawi avrebbe poi sparato in testa a ciascuno degli incappucciati, pare mediamente giovani. Una trentina i presenti in totale. Secondo la mimica dei testimoni Allawi avrebbe sparato loro in testa da una distanza di 3/ 4 metri, da sinistra a destra, descrivendo degli archi tra uno sparo e la mira seguente, come in un poligono.
Tutti uccisi con un colpo alla testa tranne uno, che un testimone solo ferito al collo mentre veniva portato via, e l’altro lo ricorda ferito al torace. Uno solo dei due testimoni aggiunge che prima dell’esecuzione Allawi avrebbe detto di voler mandare un messaggio alla polizia, su come trattare gli insorgenti.
Molto si è mormorato a Baghdad sulla brutalità di Allawi, ma si tratta della prima volta nella quale sono stati presentati testimoni. Vincent Cannisatraro, ex agente Cia dice al New Yorker: ”Se mi chiedete se la mani di Allawi sono macchiate di sangue, la risposta è si, era a libro paga del Mukhabarat e coinvolto in operazioni sporche”. Da notare che i testimoni erano entusiasti della faccenda e che non hanno avuto alcun ritegno a lasciar registrare il loro entusiasmo ai giornalisti australiani, ai quali hanno anzi consegnato la loro soddisfazione per la giusta fine dei terroristi. Secondo loro le vittime sono state anche contente, fino ad allora erano state picchiate e torturate, quasi un atto di clemenza, quindi.
I testimoni suppongono che i corpi, caricati su un Nissan, siano stati bruciati in un campo nella zona di Abu Grahib, come da consuetudine mantenute dai tempi di Saddam. In particolare Allawi esortava la polizia a non temere di uccidere, e, soprattutto, a non temere la vendetta tribale, promettendo una legge che assicurerà loro completa protezione. Questo sarebbe successo durante una visita a sorpresa al complesso, circa una settimana prima di essere nominato dictator dell’Iraq.
Due degli uccisi sarebbero Ahmed Abdulah Ahsamey e Amer Lutfi Mohammed Ahmed al-Kutsia, probabilmente di origine siriana, un altro invece Walid Mehdi Ahmed al-Samarrai, come dice il nome, proveniente dalla zona di Samarra, quindi sunnita. Chiedendo la sorte di questi tre nomi, i giornalisti australiani hanno prima ricevuto ampie offerte di collaborazione, poi nessuno si è più fatto vivo per dire chi fossero e quale destino avessero condiviso questi tre nomi, silenzio assoluto. Il Consigliere anziano Sabah Khadum, alla fine dichiara che non vuole commentare questo argomento.
Il ministro dell’interno, Falah al-Naqib, che avrebbe assistito e si sarebbe congratulato, ha smentito verbalmente, rifiutandosi di rilasciare dichiarazioni scritte. Le forze Usa e l’ufficio di Allawi non danno informazioni sulla composizione della sua scorta, per sicurezza. L’ufficio di Allawi non commenta dicendo che ogni giorno si sentono storie per screditarlo. Alla domanda se Allawi giri armato hanno risposto di no, anche se non parrebbe dirimente come particolare, non si vede la difficoltà nel procurarsene una nell’occasione. Alla richiesta su se e quando Allawi abbia visitato Al-Amariyah, la risposta è stata: “Il primo ministro visita molte caserme di polizia, è al comando dell’offensiva”. Offensiva, quindi, non escalation dei terroristi, ma offensive e bagni di sangue soffiati dal governo.
Nessun ufficio Usa ha negato le accuse esplicitamente. John Negroponte, rispondendo via mail all’Herald ha detto :”Se cercassimo di smentire ogni insinuazione, non avremmo più il tempo per nessun altro affare". Per quello che riguarda l’ambasciata Usa, il caso è chiuso. Pietra sopra che è stata messa subito dalla stampa occidentale, due righe di agenzia su accuse non confermate.
Allawi, evidentemente, è proprio il tipo che piace a Negroponte, di quelli che sanno che è uno sporco lavoro, ma che qualcuno deve farlo. Mettiamoci una pietra sopra, alla verità, alla pace, alla vita degli iracheni e a quella degli ostaggi, oscuri eroi stanno sporcandosi le mani per noi ed il nostro benessere, voltiamoci dall’altra parte. Che è meglio...

redazione@reporterassociati.org
Pubblicato in:
ReporterAssociati, 15 settembre 2004

 
 
 
 

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