|
Non è fuori tempo parlare di poesia, in questi giorni di equinozio.
Assecondiamo questo inesorabile ma graduale passaggio di stagione, dando
continuità ad uno dei tanti piaceri, ad una delle tante mode
dell’estate che sta scivolando via, con la sua voglia di spiaggia.
La poesia infatti durante l’estate è uscita dalla “nicchia” in cui a
lungo si è accasata, si è aperta alle piazze, si è data ai notturni
sulle spiagge o nei giardini, ha fatto un giro di danza in pubblico, con
o senza musica. Si sono così potuti vedere in faccia i lettori, anzi più
propriamente, i fruitori, di tutte le età, dei due sessi, che sono
accorsi in tanti all’invito del verso poetico… Perché?
Intrappolati da un consumo di moda? O per soddisfare un reale bisogno
culturale? O perché in tanti hanno scoperto che la poesia non è solo
testo scolastico, da imparare a memoria, parafrasare, commentare, ma
“messaggio” godibile, sorprendente? Voglio credere a quest’ultima
ipotesi. La poesia è infatti parola, che “dice” al profondo, che
suggerisce emozioni e pensiero, che incanta per la musicalità dei suoni
o sorprende per l’arditezza dell’invenzione.
Se do un’occhiata al tavolo delle offerte, trovo
soprattutto…prelibatezze di stagione: poesie sul mare, sulla luna,
sull’amore, sul viaggiare. Temi di sempre della poesia, dalla classicità
ad oggi, e di tante culture, dall’Occidente all’ Oriente, del Sud del
mondo.
Della poesia lirica in prevalenza, la poesia che dà voce all’intimo del
poeta, soggetto- uomo che scava dentro di sé oppure che guarda il reale,
l’altro da sé, in sintonia o in contrapposizione con se stesso. E’ il
genere poetico più rappresentativo della tradizione letteraria italiana,
da Petrarca in poi, fino ad oggi; il genere che più risponde
all’universalità del sentire dell’uomo, in una dimensione atemporale,
non storica.
Diamo all’estate il beneficio della “leggerezza, ma ora siamo
all’equinozio d’autunno, un‘altra aria, più pesante, passa sui nostri
giorni, entra nelle nostre case.
Il vento dell’Est ci ha portato il pallore dei corpi in fuga o straziati
dei bambini di Beslan. Parla alle nostre coscienze il silenzio di piombo
sulla sorte delle due ragazze “di buona volontà”. Donne col velo ancora
fanno carico di morte nel grembo della maternità. Dal Sud, ci arriva
l’infame odore di stragi, continuo, ma sotterraneo, dalle viscere
dell’Africa nera… E qui, nelle nostre contrade, il chiasso“da cortile”
delle continue risse politiche, l’affanno pesante dei conti che non
tornano…
Non è tempo di leggerezza, è tempo di sofferenza, di riflessione, di
esami di coscienza.
C’è bisogno, come in altre contingenze storiche passate, di un’altra
poesia.
Lo sguardo del poeta sa cogliere il malessere del suo tempo, dei suoi
giorni, e gli dà voce.
Anche quando, pieno il suo essere di dolore, di raccapriccio, nega di
avere le parole per dire, finisce comunque per consegnare agli altri il
suo interpretare, il suo sentire la realtà, sublimandola nel verso.
“E come potevamo noi cantare/ con il piede straniero sopra il cuore/
fra i morti abbandonati nelle piazze…” ( Alle fronde dei salici di
Salvatore Quasimodo) Ricordiamo tutti, dai banchi di scuola, che in
questa poesia Quasimodo denuncia e stigmatizza, pur con la formula della
preterizione – non dire per dire - gli orrori della barbarie nazista in
Italia.
Credo che le sconvolgenti vicende attuali abbiano dettato parole “alte”,
forti, crude, inquietanti, anche a chi affida al verso sensibilità,
coscienza e pensiero, non solo ai prosatori e agli oratori della
comunicazione multimediale.
Potrei passarla ai giovani, se continuano il gioco linguistico delle
parole in versi ispirandosi a luna mare amore…I giovani, ma non tutti,
hanno grandi capacità salvifiche da spendere a loro vantaggio, si
ritagliano introspezione o spensieratezza pur nei tempi di guerra e di
terrorismo globale; se leggono o scrivono versi è per indagare nel loro
universo, per sondarvi il loro malessere o benessere, individuale,
intimo.
Ma noi adulti, che viviamo nell’ansia, che ci sentiamo schiacciati dai
mali del mondo, in questi giorni vogliamo leggere, ascoltare o dire e
scrivere parole che non velino la realtà, affamati di sapere, di
certezze o di consolazioni, ma anche aperti al dubbio, disposti
all’autocritica o all’indignazione. Dalle parole che si fanno pensiero
traiamo poi ragioni dell’andare in piazza a manifestare, deriviamo la
forza di impegnarci in una qualche azione che conti.
E’ tempo quindi della “poesia d’impegno”, che, accanto alla lirica, ha
una sua piena legittimità e una sua lunga tradizione in seno al panorama
letterario, italiano ma non solo.
A questo riguardo, cito un passo dalle considerazioni di Nicola Sguera
(del già lontano 1995, pubblicate sul n. 9 de “Il foglio clandestino” -
www.ilfoglioclandestino.it ), che sottoscrivo pienamente:
“Come possiamo chiudere gli occhi di fronte all’orrore che è oggi il
mondo. Non abbiamo il dovere( di fronte a un Dio che è, ahimé, solo la
nostra coscienza) di profondere ogni sforzo per descriverlo, prima di
tutto, nella sua brutalità, e poi per indicare prospettive, utopie,
terre promesse, che altri realizzerà con mezzi diversi ? io penso che
l’utopia, la memoria, la testimonianza possono trovare nella poesia-
oggi luogo della inattualità -…il rifugio.
So che all’origine di quest’altra (n.d.r. il termine di riferimento è il
dominante genere lirico) tradizione c’è Dante e non Petrarca, c’è una
lingua ricca e contaminata, non un levigato e raffinato linguaggio per
anime belle, c’è la Storia e non la storia di un’anima
L’intervento pone anche l’attenzione sui due aspetti costitutivi del
messaggio comunicativo, in particolare quello poetico, il che cosa e il
come. L’unicità di contenuto e forma, non tanto il rapporto fra questi,
è lo specifico del testo poetico, è il tema centrale da cui prende avvio
una lunga discussione ormai collaudata, ma in realtà sempre aperta, che
solleva vecchie e nuove domande (la poesia parla di tutto? E' utile la
poesia? Il linguaggio della poesia deve essere comprensibile? ...ha
maggior valore estetico la poesia”pura”? E' lecita la contaminazione fra
prosa e poesia ? ecc.). Non è qui il caso di intavolare il grande
discorso sulla poesia in generale; mi limito a fare qualche
osservazione, relativamente al filone della “poesia dell’impegno”,
impegno etico, civile, e anche politico.
Mi piace aprire con la testimonianza – a stralci - di Stefano Giovanardi,
docente di Letteratura italiana all’Università di Pavia e “critico
letterario” presso quotidiani nazionali, che a sua volta richiama e
spiega un’efficace metafora del poeta Franco Fortini, nel corso di un
intervento televisivo su “Poesia e impegno
civile”(www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni - puntata del 21/3/2000 ):
“La poesia è di per sé scandalosa, di per sé rivoluzionaria, la poesia è
“di per sé”. Quando è vera poesia, di per sé può cambiare le cose.
..La poesia è un’esperienza intellettuale che veicola una serie di
valori emotivi e psichici e contiene in sé una gamma di visioni del
mondo.
Per cambiare il mondo bisogna cambiare la vita, per cambiare la vita
occorre che cambino gli individui. La poesia può farsi manifestazione di
questa necessità. Quanto più il mondo in cui la poesia nasce è
complesso, tanto più l’apice dei margini di libertà si riduce, e tanto
più è difficile il lavoro del poeta….
La società dello spettacolo, la civiltà di massa, la globalizzazione,
stanno portando a un immobilismo delle coscienze, delle individualità,
delle vite. E’ indubbio che…il ruolo che può svolgere la poesia ...
diventa più arduo.
…Franco Fortini, nel suo libro di narrativa “Verifica dei poteri” scrive
che funzione del poeta impegnato è quello di “avvelenare i pozzi”.
L’avvelenamento dei pozzi sostanzia un’operazione subdola, in quanto non
comporta uno scontro diretto. Funzione del poeta è pertanto quella di
instillare segni all’interno degli organismi sociali e culturali, al
fine ultimo di scardinare gli equilibri costituiti. A questo fine
rivestono una estrema importanza sia il momento della scrittura, noi
diremmo il “momento formale”, quanto quello del contenuto.
L’impegno della poesia, proprio perché riguarda la natura della poesia,
va verificato nell’interezza della stessa, nella sua totalità, in cui
entrano inevitabilmente e, in eguale misura, gli esperimenti formali e i
messaggi contenutistici…”.
Il poeta “impegnato”, che sceglie, o meglio, che sente l’urgenza di
parlare della società, della storia, della cronaca, non è – soprattutto
oggi - il “poeta-vate”, che si assume il ruolo di dare un
messaggio-guida, che propone la sua verità come la verità della
collettività. I suoi versi pongono anzi domande inquietanti, svelano
conflitti di coscienza, esplicitano disperata impotenza, ma…”fanno
presa” su uno, due, cento lettori, seminano condivisione e
coinvolgimento.
Riprendendo Giovanardi “ La poetica del negativo risulta ... molto più
eversiva e molto più efficace di qualsiasi denuncia aperta in cui si
diano ricette in positivo per il cambiamento della società”.
La funzione sociale espressa dalla poesia “d’impegno” non soppianta
comunque l’istanza estetica, che resta fondamentale; la “fortuna” di un
testo poetico sta sempre nella forma, nel linguaggio, che, anche se oggi
si sono “contaminati”con quelli discorsivi o narrativi della prosa,
devono sempre garantire al fruitore elementi di autenticità creativa, di
originalità, di pathos. |
|