agli incroci dei venti agli incroci dei venti agli incroci dei venti agli incroci dei venti  
 
 
 

 Equinozio di poesia

di Laura Montanari

 
 

Non è fuori tempo parlare di poesia, in questi giorni di equinozio. Assecondiamo questo inesorabile ma graduale passaggio di stagione, dando continuità ad uno dei tanti piaceri, ad una delle tante mode dell’estate che sta scivolando via, con la sua voglia di spiaggia.
La poesia infatti durante l’estate è uscita dalla “nicchia” in cui a lungo si è accasata, si è aperta alle piazze, si è data ai notturni sulle spiagge o nei giardini, ha fatto un giro di danza in pubblico, con o senza musica. Si sono così potuti vedere in faccia i lettori, anzi più propriamente, i fruitori, di tutte le età, dei due sessi, che sono accorsi in tanti all’invito del verso poetico… Perché?
Intrappolati da un consumo di moda? O per soddisfare un reale bisogno culturale? O perché in tanti hanno scoperto che la poesia non è solo testo scolastico, da imparare a memoria, parafrasare, commentare, ma “messaggio” godibile, sorprendente? Voglio credere a quest’ultima ipotesi. La poesia è infatti parola, che “dice” al profondo, che suggerisce emozioni e pensiero, che incanta per la musicalità dei suoni o sorprende per l’arditezza dell’invenzione.
Se do un’occhiata al tavolo delle offerte, trovo soprattutto…prelibatezze di stagione: poesie sul mare, sulla luna, sull’amore, sul viaggiare. Temi di sempre della poesia, dalla classicità ad oggi, e di tante culture, dall’Occidente all’ Oriente, del Sud del mondo.
Della poesia lirica in prevalenza, la poesia che dà voce all’intimo del poeta, soggetto- uomo che scava dentro di sé oppure che guarda il reale, l’altro da sé, in sintonia o in contrapposizione con se stesso. E’ il genere poetico più rappresentativo della tradizione letteraria italiana, da Petrarca in poi, fino ad oggi; il genere che più risponde all’universalità del sentire dell’uomo, in una dimensione atemporale, non storica.
Diamo all’estate il beneficio della “leggerezza, ma ora siamo all’equinozio d’autunno, un‘altra aria, più pesante, passa sui nostri giorni, entra nelle nostre case.
Il vento dell’Est ci ha portato il pallore dei corpi in fuga o straziati dei bambini di Beslan. Parla alle nostre coscienze il silenzio di piombo sulla sorte delle due ragazze “di buona volontà”. Donne col velo ancora fanno carico di morte nel grembo della maternità. Dal Sud, ci arriva l’infame odore di stragi, continuo, ma sotterraneo, dalle viscere dell’Africa nera… E qui, nelle nostre contrade, il chiasso“da cortile” delle continue risse politiche, l’affanno pesante dei conti che non tornano…
Non è tempo di leggerezza, è tempo di sofferenza, di riflessione, di esami di coscienza.
C’è bisogno, come in altre contingenze storiche passate, di un’altra poesia.
Lo sguardo del poeta sa cogliere il malessere del suo tempo, dei suoi giorni, e gli dà voce.
Anche quando, pieno il suo essere di dolore, di raccapriccio, nega di avere le parole per dire, finisce comunque per consegnare agli altri il suo interpretare, il suo sentire la realtà, sublimandola nel verso.
E come potevamo noi cantare/ con il piede straniero sopra il cuore/ fra i morti abbandonati nelle piazze…” ( Alle fronde dei salici di Salvatore Quasimodo) Ricordiamo tutti, dai banchi di scuola, che in questa poesia Quasimodo denuncia e stigmatizza, pur con la formula della preterizione – non dire per dire - gli orrori della barbarie nazista in Italia.
Credo che le sconvolgenti vicende attuali abbiano dettato parole “alte”, forti, crude, inquietanti, anche a chi affida al verso sensibilità, coscienza e pensiero, non solo ai prosatori e agli oratori della comunicazione multimediale.
Potrei passarla ai giovani, se continuano il gioco linguistico delle parole in versi ispirandosi a luna mare amore…I giovani, ma non tutti, hanno grandi capacità salvifiche da spendere a loro vantaggio, si ritagliano introspezione o spensieratezza pur nei tempi di guerra e di terrorismo globale; se leggono o scrivono versi è per indagare nel loro universo, per sondarvi il loro malessere o benessere, individuale, intimo.
Ma noi adulti, che viviamo nell’ansia, che ci sentiamo schiacciati dai mali del mondo, in questi giorni vogliamo leggere, ascoltare o dire e scrivere parole che non velino la realtà, affamati di sapere, di certezze o di consolazioni, ma anche aperti al dubbio, disposti all’autocritica o all’indignazione. Dalle parole che si fanno pensiero traiamo poi ragioni dell’andare in piazza a manifestare, deriviamo la forza di impegnarci in una qualche azione che conti.
E’ tempo quindi della “poesia d’impegno”, che, accanto alla lirica, ha una sua piena legittimità e una sua lunga tradizione in seno al panorama letterario, italiano ma non solo.
A questo riguardo, cito un passo dalle considerazioni di Nicola Sguera (del già lontano 1995, pubblicate sul n. 9 de “Il foglio clandestino” - www.ilfoglioclandestino.it ), che sottoscrivo pienamente:
“Come possiamo chiudere gli occhi di fronte all’orrore che è oggi il mondo. Non abbiamo il dovere( di fronte a un Dio che è, ahimé, solo la nostra coscienza) di profondere ogni sforzo per descriverlo, prima di tutto, nella sua brutalità, e poi per indicare prospettive, utopie, terre promesse, che altri realizzerà con mezzi diversi ? io penso che l’utopia, la memoria, la testimonianza possono trovare nella poesia- oggi luogo della inattualità -…il rifugio.
So che all’origine di quest’altra (n.d.r. il termine di riferimento è il dominante genere lirico) tradizione c’è Dante e non Petrarca, c’è una lingua ricca e contaminata, non un levigato e raffinato linguaggio per anime belle, c’è la Storia e non la storia di un’anima
L’intervento pone anche l’attenzione sui due aspetti costitutivi del messaggio comunicativo, in particolare quello poetico, il che cosa e il come. L’unicità di contenuto e forma, non tanto il rapporto fra questi, è lo specifico del testo poetico, è il tema centrale da cui prende avvio una lunga discussione ormai collaudata, ma in realtà sempre aperta, che solleva vecchie e nuove domande (la poesia parla di tutto? E' utile la poesia? Il linguaggio della poesia deve essere comprensibile? ...ha maggior valore estetico la poesia”pura”? E' lecita la contaminazione fra prosa e poesia ? ecc.). Non è qui il caso di intavolare il grande discorso sulla poesia in generale; mi limito a fare qualche osservazione, relativamente al filone della “poesia dell’impegno”, impegno etico, civile, e anche politico.
Mi piace aprire con la testimonianza – a stralci - di Stefano Giovanardi, docente di Letteratura italiana all’Università di Pavia e “critico letterario” presso quotidiani nazionali, che a sua volta richiama e spiega un’efficace metafora del poeta Franco Fortini, nel corso di un intervento televisivo su “Poesia e impegno civile”(www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni - puntata del 21/3/2000 ):
La poesia è di per sé scandalosa, di per sé rivoluzionaria, la poesia è “di per sé”. Quando è vera poesia, di per sé può cambiare le cose.
..La poesia è un’esperienza intellettuale che veicola una serie di valori emotivi e psichici e contiene in sé una gamma di visioni del mondo.
Per cambiare il mondo bisogna cambiare la vita, per cambiare la vita occorre che cambino gli individui. La poesia può farsi manifestazione di questa necessità. Quanto più il mondo in cui la poesia nasce è complesso, tanto più l’apice dei margini di libertà si riduce, e tanto più è difficile il lavoro del poeta….
La società dello spettacolo, la civiltà di massa, la globalizzazione, stanno portando a un immobilismo delle coscienze, delle individualità, delle vite. E’ indubbio che…il ruolo che può svolgere la poesia ... diventa più arduo.
Franco Fortini, nel suo libro di narrativa “Verifica dei poteri” scrive che funzione del poeta impegnato è quello di “avvelenare i pozzi”. L’avvelenamento dei pozzi sostanzia un’operazione subdola, in quanto non comporta uno scontro diretto. Funzione del poeta è pertanto quella di instillare segni all’interno degli organismi sociali e culturali, al fine ultimo di scardinare gli equilibri costituiti. A questo fine rivestono una estrema importanza sia il momento della scrittura, noi diremmo il “momento formale”, quanto quello del contenuto.
L’impegno della poesia, proprio perché riguarda la natura della poesia, va verificato nell’interezza della stessa, nella sua totalità, in cui entrano inevitabilmente e, in eguale misura, gli esperimenti formali e i messaggi contenutistici…”.
Il poeta “impegnato”, che sceglie, o meglio, che sente l’urgenza di parlare della società, della storia, della cronaca, non è – soprattutto oggi - il “poeta-vate”, che si assume il ruolo di dare un messaggio-guida, che propone la sua verità come la verità della collettività. I suoi versi pongono anzi domande inquietanti, svelano conflitti di coscienza, esplicitano disperata impotenza, ma…”fanno presa” su uno, due, cento lettori, seminano condivisione e coinvolgimento.
Riprendendo Giovanardi “ La poetica del negativo risulta ... molto più eversiva e molto più efficace di qualsiasi denuncia aperta in cui si diano ricette in positivo per il cambiamento della società”.
La funzione sociale espressa dalla poesia “d’impegno” non soppianta comunque l’istanza estetica, che resta fondamentale; la “fortuna” di un testo poetico sta sempre nella forma, nel linguaggio, che, anche se oggi si sono “contaminati”con quelli discorsivi o narrativi della prosa, devono sempre garantire al fruitore elementi di autenticità creativa, di originalità, di pathos.

 
 
 
 

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