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23 settembre 2004 - “Non è cattivo, è la sua natura. Non penso di poter
impedire questo comportamento ricorrendo alla magistratura. L’unica cosa
che chiedo è che mi picchi solo una volta la settimana”. Questo il
contenuto della deposizione che Mariam J., una donna iraniana di Teheran,
ha rilasciato agli esterrefatti giudici di una corte locale. La sua
storia è riportata dal quotidiano iraniano Aftab ed è stata ripresa
dalle agenzie stampa di tutto il mondo.
La donna ha fatto causa al marito, ma non per ottenere il divorzio o per
l’arresto del coniuge violento, bensì perché il tribunale dia cadenza
settimanale alle percosse subite. Il marito, al momento della sua
deposizione, ha dichiarato che “una volta ogni tanto questo trattamento
è necessario, perché una donna deve avere sempre paura del marito per
ubbidirgli”. Per la cronaca il tribunale di Teheran ha fatto firmare al
marito di Mariam un impegno ufficiale a non picchiare più la moglie.
Le donne e il mondo islamico, un rapporto intenso e difficile. Nella
cultura islamica, la donna ha un ruolo assolutamente fondamentale. A lei
viene lasciato il compito della cura dei figli e della casa,
dell’educazione dei ragazzi e della loro formazione alla fede, almeno
nei primi anni di vita. Secondo criteri occidentali, questo corrisponde
a un ruolo marginale e coatto. Non sempre è così. Problema diverso è
quando vengono violati diritti fondamentali di ogni essere umano. La
contraddizione tra rispetto e sottomissione della donna che caratterizza
il mondo dell’Islam è fatto di storie come quella di Mariam J., ma anche
di storie di donne di grande coraggio e qualità.
Per restare in Iran, come non parlare di Azar Nafisi? Il suo primo
libro, ‘Leggere Lolita a Teheran’, è un caso editoriale in tutto il
mondo. La scrittrice insegnava letteratura inglese all’università di
Teheran dove, dopo la rivoluzione khomeinista, diventava ogni giorno più
duro parlare della cultura di quell’Occidente simbolo di tutti i mali.
Nel 1995 Azar si arrende e si ritira, ma non smette di credere nella
forza delle pagine scritte da grandi autori stranieri. Come non smettono
di crederci sette delle sue studentesse. Da quel momento, ogni giovedì
mattina, le ragazze vanno a trovare Azar Nafisi a casa sua. Per leggere
assieme, per parlare di letteratura, confrontarsi e arricchirsi.
Un gruppo di lettura clandestina insomma, come i protagonisti
dell’Attimo fuggente, film di culto di qualche anno fa. Nel 1997 il loro
segreto viene scoperto e, per il bene suo e delle ragazze, Azar
interrompe le sue letture e accetta una cattedra di letteratura inglese
all’università John Hopkins negli Stati Uniti. Della sua storia ha fatto
un libro, che ha appassionato milioni di lettori. “Non credo al
cambiamento imposto con la forza”, ha dichiarato recentemente Azar
Nafisi, “credo al mito di Shahrazàd, la protagonista delle Mille e una
notte che ha cambiato il sovrano malvagio con la forza del racconto,
della pazienza, dell’intelligenza. La donna ha capito che non è la
violenza a cambiare il mondo, ma la cultura”.
Anche Houda Saleh Medhi Amache e Rihab Rashid Taha sono due donne
islamiche. Sono nate e cresciute in Iraq. I loro nomi ai più non diranno
molto, perché sono molto più conosciute con i loro nomi di battaglia:
dottoressa Antrace e dottoressa Germe. Houda e Rihab erano due tra i
personaggi più temuti in Iraq, due ascoltate consigliere di Saddam
Hussein. Le uniche donne che hanno meritato un posto nel mazzo di carte
fatto stampare dalle forze della Coalizione con i volti dei gerarchi
ricercati del regime saddamita.
“Le due donne sono in custodia legale e fisica della forza
multinazionale”, ha commentato ieri un portavoce del Pentagono
interrogato sulle voci di un imminente rilascio delle due. “Nessuna
delle due sarà rilasciata a breve termine”. Houda e Rihab hanno studiato
chimica e biologia, risultando tra le menti più brillanti del loro
paese, ma hanno deciso di mettere la propria competenza al servizio dei
piani di Saddam. Certo le famose armi di distruzione di massa non sono
mai state trovate, ma questo non ha messo in dubbio la triste fama di
queste due donne, che nel mondo islamico si sono fatte rispettare, anche
se in maniera discutibile.
Arwa Shanti-Boxall vive negli Emirati Arabi Uniti. Arwa è la
proprietaria del negozio ‘Petzone’, a Dubai. Il suo negozio di animali è
uno dei più conosciuti del Paese ed è stato aperto grazie ai
finanziamenti che il governo degli Emirati ha stanziato per
l’imprenditorialità femminile. Di suo, Arwa ha colmato con le sue
capacità il fossato che esiste nel suo Paese tra il ricevere un
incentivo economico e la considerazione sociale di una donna che lavora.
Lei lo ha fatto con eccellenti risultati e il suo esempio è stato
seguito da molte altre donne di uno dei Paesi più ricchi del mondo.
Come Rula Hannoun, che lavora in banca ricoprendo un ruolo di
responsabilità. “A volte incontro uomini che hanno difficoltà a
relazionarsi e a fare affari con me”, ha raccontato Rula alla Bbc in una
recente intervista, “ma alla fine si pensa solo a lavorare. Le cose sono
profondamente cambiate a Dubai, soprattutto negli ultimi dieci anni.
Sono sempre di più le donne che si vedono nei posti di lavoro e sempre
meno gli uomini che perdono tempo a rompere le scatole”.
L’esempio viene da una cooperativa di donne sole che, per mantenersi in
una società dove se non sei una moglie, una figlia o una sorella di
qualcuno praticamente non esisti, ha deciso di guadagnarsi la vita con i
propri mezzi. Allora è nata una delle principali fabbriche per la
produzione di un simbolo dell’Islam, guardato con sospetto in Occidente
quanto amato dalle donne islamiche: il velo. Ne producono di tutti i
tipi e di tutti i colori, per non rinunciare ad essere belle nel
rispetto della propria cultura.
Gli Emirati Arabi Uniti confinano con l’Arabia Saudita, un Paese dove la
condizione femminile è molto differente. Alle donne è proibito anche
guidare, figurarsi intraprendere un’attività da sole. Questo non sembra
preoccupare Nadia Bakhurji. Un mese fa il governo saudita ha indetto per
febbraio del 2005 le prime consultazioni elettorali della storia del
Paese. Nadia, un architetto di 37 anni, ha deciso che se il momento è
storico va vissuto fino in fondo. E si è candidata.
“Spero che tante donne non ritengano assurdo il mio gesto”, ha
dichiarato Nadia in un’intervista, “sono una donna e sono una patriota.
Voglio servire la mia comunità e il mio Paese”. L’Arabia Saudita vive il
periodo più difficile della sua storia. La monarchia degli Saud è
schiacciata tra le derive fondamentaliste dell’Islam e la richiesta di
riforme che proviene dalla società civile. Il terrorismo ha causato
centinaia di vittime in diversi attentati negli ultimi anni, eppure
Nadia ha voglia di lottare per aiutare l’Arabia Saudita a cambiare.
“A volte ho paura, ma voglio provare. Non tornerò indietro”, ha concluso
Nadia. Per avere la percezione del coraggio di questa donna, basti
pensare che non è stato ancora chiarito dal governo di Riad se le donne
saranno chiamate a votare. Esiste però un movimento di cui fa parte
Nadia assieme a tante altre donne che ha deciso di battersi per ottenere
il diritto di voto e per partecipare sempre più alla vita pubblica.
Christian Elia
La mezzaluna rosa
23/09 storie e reportage, ISLAM: Le donne e l’Islam. Un rapporto intenso
e conflittuale, ma molto più ricco e complesso di quello che lasciano
credere i media occidentali
23 settembre 2004 - “Non è cattivo, è la sua natura. Non penso di poter
impedire questo comportamento ricorrendo alla magistratura. L’unica cosa
che chiedo è che mi picchi solo una volta la settimana”. Questo il
contenuto della deposizione che Mariam J., una donna iraniana di Teheran,
ha rilasciato agli esterrefatti giudici di una corte locale. La sua
storia è riportata dal quotidiano iraniano Aftab ed è stata ripresa
dalle agenzie stampa di tutto il mondo.
La donna ha fatto causa al marito, ma non per ottenere il divorzio o per
l’arresto del coniuge violento, bensì perché il tribunale dia cadenza
settimanale alle percosse subite. Il marito, al momento della sua
deposizione, ha dichiarato che “una volta ogni tanto questo trattamento
è necessario, perché una donna deve avere sempre paura del marito per
ubbidirgli”. Per la cronaca il tribunale di Teheran ha fatto firmare al
marito di Mariam un impegno ufficiale a non picchiare più la moglie.
Le donne e il mondo islamico, un rapporto intenso e difficile. Nella
cultura islamica, la donna ha un ruolo assolutamente fondamentale. A lei
viene lasciato il compito della cura dei figli e della casa,
dell’educazione dei ragazzi e della loro formazione alla fede, almeno
nei primi anni di vita. Secondo criteri occidentali, questo corrisponde
a un ruolo marginale e coatto. Non sempre è così. Problema diverso è
quando vengono violati diritti fondamentali di ogni essere umano. La
contraddizione tra rispetto e sottomissione della donna che caratterizza
il mondo dell’Islam è fatto di storie come quella di Mariam J., ma anche
di storie di donne di grande coraggio e qualità.
Per restare in Iran, come non parlare di Azar Nafisi? Il suo primo
libro, ‘Leggere Lolita a Teheran’, è un caso editoriale in tutto il
mondo. La scrittrice insegnava letteratura inglese all’università di
Teheran dove, dopo la rivoluzione khomeinista, diventava ogni giorno più
duro parlare della cultura di quell’Occidente simbolo di tutti i mali.
Nel 1995 Azar si arrende e si ritira, ma non smette di credere nella
forza delle pagine scritte da grandi autori stranieri. Come non smettono
di crederci sette delle sue studentesse. Da quel momento, ogni giovedì
mattina, le ragazze vanno a trovare Azar Nafisi a casa sua. Per leggere
assieme, per parlare di letteratura, confrontarsi e arricchirsi.
Un gruppo di lettura clandestina insomma, come i protagonisti
dell’Attimo fuggente, film di culto di qualche anno fa. Nel 1997 il loro
segreto viene scoperto e, per il bene suo e delle ragazze, Azar
interrompe le sue letture e accetta una cattedra di letteratura inglese
all’università John Hopkins negli Stati Uniti. Della sua storia ha fatto
un libro, che ha appassionato milioni di lettori. “Non credo al
cambiamento imposto con la forza”, ha dichiarato recentemente Azar
Nafisi, “credo al mito di Shahrazàd, la protagonista delle Mille e una
notte che ha cambiato il sovrano malvagio con la forza del racconto,
della pazienza, dell’intelligenza. La donna ha capito che non è la
violenza a cambiare il mondo, ma la cultura”.
Anche Houda Saleh Medhi Amache e Rihab Rashid Taha sono due donne
islamiche. Sono nate e cresciute in Iraq. I loro nomi ai più non diranno
molto, perché sono molto più conosciute con i loro nomi di battaglia:
dottoressa Antrace e dottoressa Germe. Houda e Rihab erano due tra i
personaggi più temuti in Iraq, due ascoltate consigliere di Saddam
Hussein. Le uniche donne che hanno meritato un posto nel mazzo di carte
fatto stampare dalle forze della Coalizione con i volti dei gerarchi
ricercati del regime saddamita.
“Le due donne sono in custodia legale e fisica della forza
multinazionale”, ha commentato ieri un portavoce del Pentagono
interrogato sulle voci di un imminente rilascio delle due. “Nessuna
delle due sarà rilasciata a breve termine”. Houda e Rihab hanno studiato
chimica e biologia, risultando tra le menti più brillanti del loro
paese, ma hanno deciso di mettere la propria competenza al servizio dei
piani di Saddam. Certo le famose armi di distruzione di massa non sono
mai state trovate, ma questo non ha messo in dubbio la triste fama di
queste due donne, che nel mondo islamico si sono fatte rispettare, anche
se in maniera discutibile.
Arwa Shanti-Boxall vive negli Emirati Arabi Uniti. Arwa è la
proprietaria del negozio ‘Petzone’, a Dubai. Il suo negozio di animali è
uno dei più conosciuti del Paese ed è stato aperto grazie ai
finanziamenti che il governo degli Emirati ha stanziato per
l’imprenditorialità femminile. Di suo, Arwa ha colmato con le sue
capacità il fossato che esiste nel suo Paese tra il ricevere un
incentivo economico e la considerazione sociale di una donna che lavora.
Lei lo ha fatto con eccellenti risultati e il suo esempio è stato
seguito da molte altre donne di uno dei Paesi più ricchi del mondo.
Come Rula Hannoun, che lavora in banca ricoprendo un ruolo di
responsabilità. “A volte incontro uomini che hanno difficoltà a
relazionarsi e a fare affari con me”, ha raccontato Rula alla Bbc in una
recente intervista, “ma alla fine si pensa solo a lavorare. Le cose sono
profondamente cambiate a Dubai, soprattutto negli ultimi dieci anni.
Sono sempre di più le donne che si vedono nei posti di lavoro e sempre
meno gli uomini che perdono tempo a rompere le scatole”.
L’esempio viene da una cooperativa di donne sole che, per mantenersi in
una società dove se non sei una moglie, una figlia o una sorella di
qualcuno praticamente non esisti, ha deciso di guadagnarsi la vita con i
propri mezzi. Allora è nata una delle principali fabbriche per la
produzione di un simbolo dell’Islam, guardato con sospetto in Occidente
quanto amato dalle donne islamiche: il velo. Ne producono di tutti i
tipi e di tutti i colori, per non rinunciare ad essere belle nel
rispetto della propria cultura.
Gli Emirati Arabi Uniti confinano con l’Arabia Saudita, un Paese dove la
condizione femminile è molto differente. Alle donne è proibito anche
guidare, figurarsi intraprendere un’attività da sole. Questo non sembra
preoccupare Nadia Bakhurji. Un mese fa il governo saudita ha indetto per
febbraio del 2005 le prime consultazioni elettorali della storia del
Paese. Nadia, un architetto di 37 anni, ha deciso che se il momento è
storico va vissuto fino in fondo. E si è candidata.
“Spero che tante donne non ritengano assurdo il mio gesto”, ha
dichiarato Nadia in un’intervista, “sono una donna e sono una patriota.
Voglio servire la mia comunità e il mio Paese”. L’Arabia Saudita vive il
periodo più difficile della sua storia. La monarchia degli Saud è
schiacciata tra le derive fondamentaliste dell’Islam e la richiesta di
riforme che proviene dalla società civile. Il terrorismo ha causato
centinaia di vittime in diversi attentati negli ultimi anni, eppure
Nadia ha voglia di lottare per aiutare l’Arabia Saudita a cambiare.
“A volte ho paura, ma voglio provare. Non tornerò indietro”, ha concluso
Nadia. Per avere la percezione del coraggio di questa donna, basti
pensare che non è stato ancora chiarito dal governo di Riad se le donne
saranno chiamate a votare. Esiste però un movimento di cui fa parte
Nadia assieme a tante altre donne che ha deciso di battersi per ottenere
il diritto di voto e per partecipare sempre più alla vita pubblica.
Christian Elia
La mezzaluna rosa
23/09 storie e reportage, ISLAM: Le donne e l’Islam. Un rapporto intenso
e conflittuale, ma molto più ricco e complesso di quello che lasciano
credere i media occidentali
23 settembre 2004 - “Non è cattivo, è la sua natura. Non penso di poter
impedire questo comportamento ricorrendo alla magistratura. L’unica cosa
che chiedo è che mi picchi solo una volta la settimana”. Questo il
contenuto della deposizione che Mariam J., una donna iraniana di Teheran,
ha rilasciato agli esterrefatti giudici di una corte locale. La sua
storia è riportata dal quotidiano iraniano Aftab ed è stata ripresa
dalle agenzie stampa di tutto il mondo.
La donna ha fatto causa al marito, ma non per ottenere il divorzio o per
l’arresto del coniuge violento, bensì perché il tribunale dia cadenza
settimanale alle percosse subite. Il marito, al momento della sua
deposizione, ha dichiarato che “una volta ogni tanto questo trattamento
è necessario, perché una donna deve avere sempre paura del marito per
ubbidirgli”. Per la cronaca il tribunale di Teheran ha fatto firmare al
marito di Mariam un impegno ufficiale a non picchiare più la moglie.
Le donne e il mondo islamico, un rapporto intenso e difficile. Nella
cultura islamica, la donna ha un ruolo assolutamente fondamentale. A lei
viene lasciato il compito della cura dei figli e della casa,
dell’educazione dei ragazzi e della loro formazione alla fede, almeno
nei primi anni di vita. Secondo criteri occidentali, questo corrisponde
a un ruolo marginale e coatto. Non sempre è così. Problema diverso è
quando vengono violati diritti fondamentali di ogni essere umano. La
contraddizione tra rispetto e sottomissione della donna che caratterizza
il mondo dell’Islam è fatto di storie come quella di Mariam J., ma anche
di storie di donne di grande coraggio e qualità.
Per restare in Iran, come non parlare di Azar Nafisi? Il suo primo
libro, ‘Leggere Lolita a Teheran’, è un caso editoriale in tutto il
mondo. La scrittrice insegnava letteratura inglese all’università di
Teheran dove, dopo la rivoluzione khomeinista, diventava ogni giorno più
duro parlare della cultura di quell’Occidente simbolo di tutti i mali.
Nel 1995 Azar si arrende e si ritira, ma non smette di credere nella
forza delle pagine scritte da grandi autori stranieri. Come non smettono
di crederci sette delle sue studentesse. Da quel momento, ogni giovedì
mattina, le ragazze vanno a trovare Azar Nafisi a casa sua. Per leggere
assieme, per parlare di letteratura, confrontarsi e arricchirsi.
Un gruppo di lettura clandestina insomma, come i protagonisti
dell’Attimo fuggente, film di culto di qualche anno fa. Nel 1997 il loro
segreto viene scoperto e, per il bene suo e delle ragazze, Azar
interrompe le sue letture e accetta una cattedra di letteratura inglese
all’università John Hopkins negli Stati Uniti. Della sua storia ha fatto
un libro, che ha appassionato milioni di lettori. “Non credo al
cambiamento imposto con la forza”, ha dichiarato recentemente Azar
Nafisi, “credo al mito di Shahrazàd, la protagonista delle Mille e una
notte che ha cambiato il sovrano malvagio con la forza del racconto,
della pazienza, dell’intelligenza. La donna ha capito che non è la
violenza a cambiare il mondo, ma la cultura”.
Anche Houda Saleh Medhi Amache e Rihab Rashid Taha sono due donne
islamiche. Sono nate e cresciute in Iraq. I loro nomi ai più non diranno
molto, perché sono molto più conosciute con i loro nomi di battaglia:
dottoressa Antrace e dottoressa Germe. Houda e Rihab erano due tra i
personaggi più temuti in Iraq, due ascoltate consigliere di Saddam
Hussein. Le uniche donne che hanno meritato un posto nel mazzo di carte
fatto stampare dalle forze della Coalizione con i volti dei gerarchi
ricercati del regime saddamita.
“Le due donne sono in custodia legale e fisica della forza
multinazionale”, ha commentato ieri un portavoce del Pentagono
interrogato sulle voci di un imminente rilascio delle due. “Nessuna
delle due sarà rilasciata a breve termine”. Houda e Rihab hanno studiato
chimica e biologia, risultando tra le menti più brillanti del loro
paese, ma hanno deciso di mettere la propria competenza al servizio dei
piani di Saddam. Certo le famose armi di distruzione di massa non sono
mai state trovate, ma questo non ha messo in dubbio la triste fama di
queste due donne, che nel mondo islamico si sono fatte rispettare, anche
se in maniera discutibile.
Arwa Shanti-Boxall vive negli Emirati Arabi Uniti. Arwa è la
proprietaria del negozio ‘Petzone’, a Dubai. Il suo negozio di animali è
uno dei più conosciuti del Paese ed è stato aperto grazie ai
finanziamenti che il governo degli Emirati ha stanziato per
l’imprenditorialità femminile. Di suo, Arwa ha colmato con le sue
capacità il fossato che esiste nel suo Paese tra il ricevere un
incentivo economico e la considerazione sociale di una donna che lavora.
Lei lo ha fatto con eccellenti risultati e il suo esempio è stato
seguito da molte altre donne di uno dei Paesi più ricchi del mondo.
Come Rula Hannoun, che lavora in banca ricoprendo un ruolo di
responsabilità. “A volte incontro uomini che hanno difficoltà a
relazionarsi e a fare affari con me”, ha raccontato Rula alla Bbc in una
recente intervista, “ma alla fine si pensa solo a lavorare. Le cose sono
profondamente cambiate a Dubai, soprattutto negli ultimi dieci anni.
Sono sempre di più le donne che si vedono nei posti di lavoro e sempre
meno gli uomini che perdono tempo a rompere le scatole”.
L’esempio viene da una cooperativa di donne sole che, per mantenersi in
una società dove se non sei una moglie, una figlia o una sorella di
qualcuno praticamente non esisti, ha deciso di guadagnarsi la vita con i
propri mezzi. Allora è nata una delle principali fabbriche per la
produzione di un simbolo dell’Islam, guardato con sospetto in Occidente
quanto amato dalle donne islamiche: il velo. Ne producono di tutti i
tipi e di tutti i colori, per non rinunciare ad essere belle nel
rispetto della propria cultura.
Gli Emirati Arabi Uniti confinano con l’Arabia Saudita, un Paese dove la
condizione femminile è molto differente. Alle donne è proibito anche
guidare, figurarsi intraprendere un’attività da sole. Questo non sembra
preoccupare Nadia Bakhurji. Un mese fa il governo saudita ha indetto per
febbraio del 2005 le prime consultazioni elettorali della storia del
Paese. Nadia, un architetto di 37 anni, ha deciso che se il momento è
storico va vissuto fino in fondo. E si è candidata.
“Spero che tante donne non ritengano assurdo il mio gesto”, ha
dichiarato Nadia in un’intervista, “sono una donna e sono una patriota.
Voglio servire la mia comunità e il mio Paese”. L’Arabia Saudita vive il
periodo più difficile della sua storia. La monarchia degli Saud è
schiacciata tra le derive fondamentaliste dell’Islam e la richiesta di
riforme che proviene dalla società civile. Il terrorismo ha causato
centinaia di vittime in diversi attentati negli ultimi anni, eppure
Nadia ha voglia di lottare per aiutare l’Arabia Saudita a cambiare.
“A volte ho paura, ma voglio provare. Non tornerò indietro”, ha concluso
Nadia. Per avere la percezione del coraggio di questa donna, basti
pensare che non è stato ancora chiarito dal governo di Riad se le donne
saranno chiamate a votare. Esiste però un movimento di cui fa parte
Nadia assieme a tante altre donne che ha deciso di battersi per ottenere
il diritto di voto e per partecipare sempre più alla vita pubblica.
Pubblicato in: Peacereporter |
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