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Intervista a Giulia Massini, autrice di
“Le voci sotto” (Pendragon, Bologna, 2004), romanzo appena segnalato al
Premio “Frignano” tra gli esordienti.
Giulia Massini è nata a Fabriano nel 1980 e vive a Bologna, dove si è
laureata in Lettere Moderne.
Qual è il mondo
che racconta attraverso la sua narrazione?
Le voci sotto (Bologna, Pendragon, 2004) è un romanzo che nasce a
contatto col mondo dei ritrovi universitari, con le sue notti per cui
scorrazzano i ragazzi e le sue vacanze travestite da momenti di studio;
è un mondo in cui molti sfiorano la droga, sperimentano liberamente il
sesso, vivono d’incroci culturali e problematiche che qualcuno soltanto
attraversa e per cui qualcun altro invece si ritrova per sempre
compromesso.
Il mondo a cui fa riferimento Le voci sotto è una realtà d’oggi,
specialmente giovanile e in questo caso bolognese. Ci sono venuta a
contatto durante gli studi e tutt’ora potrei attraversarlo, anche se
dopo la laurea l’appartenenza a quel mondo si fa più complicata e
distante. C’è una speciale atmosfera e un particolare stile di vita in
questo tipo di contesti: ma sono dimensioni a cui si appartiene fino a
una certa età, prima che certe esigenze pratiche non obblighino a
diventare socialmente riconoscibili e remunerabili.
Di questo mondo di cui si fa parte per un passaggio di tempo molto breve
– o nel quale si sprofonda totalmente, può succedere – il romanzo si
nutre come suo primo humus. È una realtà che spinge
inevitabilmente al cambiamento, uno status che non può durare per
sempre, ma che apre una voragine in molte vite, mettendo in serio
pericolo la credibilità dei valori precostituiti e delle apparenze
mondane. È in contrasto con l’appartenenza ad una famiglia, è
parafrasato dalle contraddizioni al confronto con genitori troppo
oppressivi o troppo poco attenti, o troppo liberi. È un mondo in cui si
cerca disperatamente qualcosa e si è disposti a sperimentare tutto per
trovarla. È un mondo di libertà. Qui la libertà è un’arma con cui
sfondare gli ostacoli, ma pure ferirsi profondamente.
In ogni scrittura giovanile l’autobiografia fa da primo slancio. Ma come
in ogni altra scrittura ogni occhio particolare che guarda coglie la sua
peculiare versione della realtà che racconta e che così trasfigura.
Infatti Bologna, nel caso de Le voci sotto, la città che
ruota attorno a questi notturni ritrovi universitari, o giovanili in
generale, viene guardata attraverso il filtro dell’interiorità di ognuno
dei suoi personaggi. Sogni e visioni spesso si intrufolano tra strade e
portici, ricordi e sentimenti finiscono per avere la meglio, alla fine,
su quello che pare essere il predominio dei loro corpi trascinati nella
girandola del sesso, dei bisogni, del mangiare e del bere con
esagerazione, del mettersi in gioco fino all’estremo.
Questo automaticamente non significa che i desideri siano realizzabili e
i sogni traducibili in realtà. Però essi contaminano della loro forza
evocativa la crudezza del reale e riempiono i fatti della speciale
mitologia che appartiene ad ognuno dei personaggi.
I personaggi scelti sono di diverse provenienze e di diverse esperienze:
tre ragazzi, tre ragazze, un uomo travestito da donna e un personaggio
più forte e indipendente che li guarda dall’alto di un palco su cui
canta per loro. Il capannone di tubi di metallo e tende di plastica in
cui si svolge un concerto è uno dei luoghi simbolo del romanzo. Là,
sotto il palco, nel diluvio di suoni e rumori della vita che sta
intorno, si compie il destino personale di ognuno di noi, così stipati
l’uno contro l’altro eppure immensamente distanti e irriconoscibili
l’uno per l’altro. I ragazzi che puntualmente vi si ritrovano hanno
ormai spezzato i legami con le loro famiglie, accolti nell’alveo
emiliano dell’università si ritrovano improvvisamente soli, vivono per
un certo lasso di tempo una vita qualunque tra quelle, a confronto con
la violenza improvvisa o con l’esperienza più esasperata. E per
contrappasso, a volte, anche con la possibilità dell’amore, che tra
ragazzi è sempre qualcosa di totale e insondabile.
Cosa le
interessa di più dell’aspetto linguistico del romanzo?
Ne Le voci sotto la lingua è stata volutamente depurata di
ogni suo carattere palesemente “letterario” e avvicinata al “parlato”.
Con questa intenzione un invisibile narratore si cala di volta in volta
in ognuno degli otto personaggi, assumendone così la loro lingua,
portatrice delle loro visioni e opinioni, e lasciando che essa parli per
loro, con le sue regole sintattiche e il suo lessico dettati dalla
sensibilità personale, con le sue visioni individuali, il più possibile
diversificate per ognuno degli otto personaggi principali.
In un quotidiano in cui si cede spesso all’omologazione e alla rinuncia
di sé, emergano invece sull’altro orizzonte della pagina gli individui
unici nel loro destino e nel loro significato!
Se da una parte l’impronta “letteraria” vuole essere cancellata in virtù
di una pagina scritta con la sensibilità dell’individuo particolare,
dall’altra il “parlato” assume esso stesso connotazioni proprie che lo
rendono distinto dallo slang o dalla comune chiacchierata tra ragazzi.
Anche la lingua bassa della comunicazione e della riflessione personale
diventa foriera delle sue visioni. Ed esse necessitano ad ogni costo di
un linguaggio particolare, un linguaggio altro da quello comune, capace
di esprimere anche quello che normalmente non si vede: un’apparizione
irreale, un sogno, un ricordo incarnato.
La lingua che usano i personaggi de Le voci sotto, il modo
in cui esprimono ciò che provano, è spesso un loro ritratto psicologico
e sentimentale.
A cosa sta
lavorando attualmente?
Sto lavorando sull’inquietudine. Lavoro sulla pagina che diventa
surreale e fantastica, quasi paurosa, a contatto con la mente turbata di
certi esseri umani.
Mi piace lavorare sui personaggi, come facevo ne Le voci sotto,
ma questa volta fuori dalla città, fuori dall’atmosfera pulp delle
strade bolognesi, fuori dai problemi delle nuove generazioni libere, o
solo apparentemente libere.
Il mio lavoro si è trasferito in provincia, adesso. D’altra parte ogni
scrittore torna sulle proprie impronte. Io sono nata a Fabriano e lì ho
vissuto i miei primi diciannove anni. È a Fabriano, di conseguenza, come
per tutti è nel paese d’origine, che per me si trovano i ricordi più
intensi e resi favolosi dalla distanza. Dove si è nati si nascondono i
colori particolari dell’infanzia, sotto i quali la realtà appare in
sembianze speciali. Dove si è nati si possiede un senso profondo e
incarnato delle abitudini e delle caratteristiche del posto.
Il lavoro, se da un canto vorrà essere surreale ed evocativo, dall’altro
sarà supportato da indagini storico-filologiche su eventi e tradizioni
di questa città marchigiana.
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