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Il
sogno dei treni
Dentro un convoglio, sdraiati a terra,
un treno solo per parlarsi,
com’eri invisibile con la notte
sulla canottierina e la pianura fuori del mondo.
Avevi già gli occhi del gatto,
una regalità nel buio esteso
e nelle parole così perse.
Non
s’oscurava il giorno in attesa,
un gran sogno si smarriva
nel viaggio fatto solo d’aria,
accucciati con una bottiglia d’acqua
e un dolce andamento
che ci teneva la mano molle.
Torni qualche
volta,
quando meno me l’aspetto
ti adagi in me,
scorri in fretta con il sorriso breve
che è già una fuga tra le nubi.
Il treno passa veemente
in un gran mistero di luci,
mi meraviglia svegliarmi
con la tua bocca che cede
dopo tanta fine.
Chissà quale stazione padana
ci avrà ospitato anche stanotte,
chissà se una coppia sarà già la ripetizione
di un nostro refuso.
Notte… notte
Non è cambiato niente,
piccola fiammella di sigaretta
che scendi ad illuminare i pantaloni,
a mescolare la notte e i muri delle case
con il pallore di un accendino acceso
dentro un’automobile di amanti.
Chi conta le
assenze di una serata,
chi ricorda un sabato di qualche anno fa,
ma le voci sono confuse,
gli occhi non mettono più a fuoco,
il vento si ferma a metà strada
tra il cielo e gli aceri.
Vince solo il
ritmo del mio stomaco,
il fumo che separa i motori
della strada e della storia,
le mani in movimento
che spingono ad amare
la notte violentata,
i fruscii che arrivano
da tutta una vita invisibile,
forse dall’eterno rintanato
dentro un vicolo senza sbocco
I
Sono venuto qui
dove tutto è cambiato
e si sente
il ghiaccio
sulla schiena
quando plana
l’inverno.
Rimane solo
il brivido
che non ha riparo
Alessandro
Moscè
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