agli incroci dei venti agli incroci dei venti agli incroci dei venti agli incroci dei venti

 
 

HOME

Società

Politica

Arti visive

Lettura

Scrittura

Punto rosa

Legalità

Paesi in guerra

Mondo

 
 

I rinnegati di Dahaniya
Paradossi del disimpegno: costretti verso Gaza con l’etichetta dell’infamia

di  Naoki Tomasini

 
     
 

Manca una settimana all’inizio delle operazioni di sgombero della Striscia di Gaza, ma è ancora presto per sapere cosa succederà sul campo. Il piano su cui Sharon ha speso tutta la sua credibilità politica solleva ancora potenti obiezioni in seno alla società israeliana. I coloni stanno organizzando diverse manifestazioni e azioni di resistenza allo sgombero, mentre sul fronte politico si registrano le dimissioni del ministro delle Finanze, l’ex premier, Benyamin Netanyahu, in polemica con il premier, proprio sul piano di disimpegno.

Il villaggio dei traditori.
Dahaniya è un piccolo centro abitato incuneato tra la Striscia di Gaza, Israele e l’Egitto. Non è nemmeno segnato sulle carte geografiche, ma per decenni è stato il luogo simbolo del collaborazionismo con Israele, un marchio ricaduto su tutti i suoi abitanti sin da quando -dall’inizio degli anni ’80 fino alla fine della prima Intifada- venne usato come un limbo per ospitare i collaborazionisti, in attesa di trasferirli in luoghi sicuri sotto la sovranità di Tel Aviv.
A Dahaniya abitano circa quattrocento persone, 67 famiglie, molte delle quali, da quando è stato annunciato il piano di disimpegno da Gaza, si trovano a vivere una situazione giuridicamente paradossale. Per dieci anni gli è stato negato il permesso di recarsi a Gaza e la loro vita si è sviluppata verso Israele dove, grazie a permessi speciali, potevano recarsi ogni mattina per lavorare nelle fattorie israeliane. Oggi invece sono costretti a lasciare Dahaniya per trasferirsi proprio nel cuore della Striscia di Gaza.

Compensazioni e minacce.
Il villaggio, nel piano di disimpegno, deve essere abbandonato e raso al suolo per fare posto al futuro aeroporto di Gaza. Ma dei residenti, solo quelli in possesso di documenti israeliani –25 famiglie- potranno accedere alle procedure di compensazione (Evacuation Compensation Law) previste per gli altri coloni della Striscia e dunque trasferirsi all’interno di Israele. Oltre a loro ovviamente, anche le famiglie –che pare siano solo tre- di quanti hanno realmente collaborato con i servizi di sicurezza Israeliani. Ma per tutti gli altri, dotati di documenti palestinesi, il futuro è quantomeno incerto. Dovranno trovar posto all’interno della Striscia di Gaza sotto il fresco controllo dell’ANP e rifarsi una vita in un luogo economicamente devastato facendo affidamento solo sulle ridotte compensazioni offerte loro da Israele.
Ma soprattutto, dovranno affrontare il pregiudizio contro i collaborazionisti della società palestinese. Episodi di linciaggio pubblico di persone sospettate di essere spie non sono una rarità nei Territori, dal settembre 2000, data d’inizio dell’Intifada, l’associazione israeliana per i diritti umani B’tselem, ha già contato 112 casi. Ma collaborare con Israele è uno dei crimini più gravi anche per l’Autorità Palestinese. Dall’inizio del 2005 infatti, la corte marziale ha ricominciato ad eseguire le condanne a morte, la maggior parte delle quali sono state comminate per il reato di collaborazione col nemico.

La petizione.
Molte delle famiglie in possesso di documenti palestinesi hanno inoltrato una petizione all’Alta Corte di Giustizia dichiarando di sentirsi in pericolo e chiedendo di essere trasferiti in massa entro il territorio israeliano. Ma le possibilità che la loro richiesta sia accolta sono minime. Lo si può intendere dalle molte dichiarazioni rassicuranti rilasciate da Shlomo Dror, portavoce dell’Ufficio per il Coordinamento delle Attività Israeliane nei Territori. Secondo Dror quelle famiglie ”non hanno mai collaborato con l’esercito israeliano e dunque non corrono alcun rischio” e d’altro canto: “Proteggeremo chiunque possa essere minacciato”.
Sul fronte palestinese però non la si pensa allo stesso modo. Tawfiq Abu Khoussa, portavoce del Ministero dell’Interno dell’ANP ha dichiarato che “la sicurezza di quelle famiglie è una preoccupazione necessaria, perché per gli abitanti della Striscia di Gaza chiunque provenga da quel villaggio è un traditore”. Sulla stessa linea anche il minstero della giustizia palestinese, che ha promesso “un giusto processo” a tutti gli ex abitanti di Dahaniya eventualmente sospettati di collaborazionismo. Anche Yoram Melman, rappresentante legale delle famiglie in questione, ha scelto di usare toni allarmistici, sostenendo che quanti di loro si trasferiranno a Gaza “verranno macellati per il solofatto di essere in connessione con Dahania”. Anche senza essere mai stati dei collaboratori.
Nonostante le difficoltà e i rischi però, a Dahaniya il disimpegno è già iniziato. Martedì 3, quattordici famiglie che ritenevano di non avere nulla da temere hanno lasciato spontaneamente il villaggio per trasferirsi nei dintorni di Rafah e, stando alle prime dichiarazioni circolate sulla stampa locale, sarebbero stati ricevuti senza problemi dall’Autorità Palestinese. “Non abbiamo paura dei palestinesi –dichiarava uno di loro- e chi sostiene che abbiano intenzione di ucciderci tutti mente”.


PeaceReporter, 9 agosto 2005
 

 

commenti
 

 
 

9 agosto 2005

 

HOME

Società

Politica

Arti visive

Lettura

Scrittura

Punto rosa

Legalità

Paesi in guerra

Mondo