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La spirale guerra-terrorismo

di Lucio Garofalo

 
     
 

Chiarisco subito un punto: l’attentato di Londra è un crimine contro l’umanità più indifesa e contro la causa dei diseredati. Dunque occorre chiedersi: a chi giova tutto ciò?

Uno dei risultati immediati è stato lo stravolgimento dell’agenda politica del G8, ponendo al primo punto la “guerra al terrorismo” e rilanciando la strategia della “guerra preventiva” che vive una grave crisi di consensi e spera in un recupero di immagine. A tale priorità sono subordinate le altre questioni: il bisogno di sicurezza prevale sul blando sentimento di solidarietà suscitato dall’iniziativa spettacolare del “Live 8”. Tale “emergenza” è anteposta sia all’ingiustizia del debito economico dell’Africa, sia ai rischi derivanti dai mutamenti climatici terrestri. Ne consegue una drastica riduzione delle libertà individuali, sacrificate sull’altare della “sicurezza generale”.

Un altro risultato è l’isolamento delle lotte anticapitaliste portate avanti attraverso iniziative “anti-G8”, in cui i protagonisti non sono più 8 individui che si arrogano il diritto di decidere il destino dell’umanità, ma centinaia di migliaia di persone, di attivisti e semplici cittadini che si mobilitano per dar voce a sé e a chi non riesce a far sentire la propria.

La strage di Londra ha ridestato bruscamente l’opinione pubblica internazionale dallo stato di torpore generato dall’assuefazione alle immagini di guerra, orrore e morte, provenienti tutti i giorni dall’Iraq. E’ evidente che, quando simili vicende insanguinano New York, Madrid, Londra, anziché Baghdad o i palestinesi, la comunità civile reagisce in modo irrazionale. In tal senso, il terrorismo giova soprattutto a chi, prendendo a pretesto l’inquietudine diffusa tra la popolazione, ne approfitta per invocare svolte politiche in senso autoritario all’interno delle società occidentali.

Un altro punto concerne la questione palestinese. Negli anni si è consolidata una verità che più nessuno osa contestare, cioè che all’origine della “polveriera” mediorientale sta il problema palestinese: finché non si otterrà un’equa soluzione della controversia arabo-israeliana, non si potrà realizzare una pacificazione effettiva dell’area mediorientale, né un ridimensionamento dell’oltranzismo religioso. Se non si esce da questa spirale non si potrà costruire un avvenire di pace autentica, una condizione incompatibile con l’ingiustizia, in quanto il superamento delle tensioni internazionali presuppone l’eliminazione delle loro cause storiche.
 

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7 agosto 2005

 

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