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Chiarisco subito un
punto: l’attentato di Londra è un crimine contro l’umanità più indifesa
e contro la causa dei diseredati. Dunque occorre chiedersi: a chi giova
tutto ciò?
Uno dei risultati immediati è stato lo stravolgimento dell’agenda
politica del G8, ponendo al primo punto la “guerra al terrorismo” e
rilanciando la strategia della “guerra preventiva” che vive una grave
crisi di consensi e spera in un recupero di immagine. A tale priorità
sono subordinate le altre questioni: il bisogno di sicurezza prevale sul
blando sentimento di solidarietà suscitato dall’iniziativa spettacolare
del “Live 8”. Tale “emergenza” è anteposta sia all’ingiustizia del
debito economico dell’Africa, sia ai rischi derivanti dai mutamenti
climatici terrestri. Ne consegue una drastica riduzione delle libertà
individuali, sacrificate sull’altare della “sicurezza generale”.
Un altro risultato è l’isolamento delle lotte anticapitaliste portate
avanti attraverso iniziative “anti-G8”, in cui i protagonisti non sono
più 8 individui che si arrogano il diritto di decidere il destino
dell’umanità, ma centinaia di migliaia di persone, di attivisti e
semplici cittadini che si mobilitano per dar voce a sé e a chi non
riesce a far sentire la propria.
La strage di Londra ha ridestato bruscamente l’opinione pubblica
internazionale dallo stato di torpore generato dall’assuefazione alle
immagini di guerra, orrore e morte, provenienti tutti i giorni
dall’Iraq. E’ evidente che, quando simili vicende insanguinano New York,
Madrid, Londra, anziché Baghdad o i palestinesi, la comunità civile
reagisce in modo irrazionale. In tal senso, il terrorismo giova
soprattutto a chi, prendendo a pretesto l’inquietudine diffusa tra la
popolazione, ne approfitta per invocare svolte politiche in senso
autoritario all’interno delle società occidentali.
Un altro punto concerne la questione palestinese. Negli anni si è
consolidata una verità che più nessuno osa contestare, cioè che
all’origine della “polveriera” mediorientale sta il problema
palestinese: finché non si otterrà un’equa soluzione della controversia
arabo-israeliana, non si potrà realizzare una pacificazione effettiva
dell’area mediorientale, né un ridimensionamento dell’oltranzismo
religioso. Se non si esce da questa spirale non si potrà costruire un
avvenire di pace autentica, una condizione incompatibile con
l’ingiustizia, in quanto il superamento delle tensioni internazionali
presuppone l’eliminazione delle loro cause storiche.
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