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Incontri letterari del mio tipo

Incontri letterari del mio tipo di Gianfranco Fabbri

 
 

Nota in margine al poeta Sandro Penna
 

di Gianfranco Fabbri

 
 

L’aria tenue dell’Italia centrale, i paesaggi dell’Umbria proto novecentesca e la francescanità dei luoghi – presi a prestito perfino da D’Annunzio – dovettero pesare non poco nella caratura estetica di Sandro Penna, il quale, durante tutta la sua irregolare esistenza, non fece altro che produrre segni di una rinnovata classicità (greca, più che latina), attraverso l’uso frequente, ma non esclusivo, del frammento, la forma di scrittura poetica che lo condusse alle vette più alte dell’eleganza formale, nell’ambito di tutto il Novecento letterario italiano.. Certo, non è sufficiente dire che Penna fu solo un rifacitore della grecità: egli estese la gamma delle similitudini anche ad autori a lui contemporanei – vedi Umberto Saba, con il quale intrattenne una notevole amicizia -.

Penna si ricollega subito al gruppetto degli autori irregolari del Ventesimo secolo: gli facevano compagnia Cardarelli, Vittorini, Quasimodo e lo stesso Montale. Nonostante questa caratteristica da peccato “irreversibile”, la critica gli fu subito vicina e favorevole, forse stanca dei tanti sfinimenti “cocottiani” del Gabriel D’Annunzio e dell’esasperazione esistenzial-incestuosa pascolizzante. L’aria stava cambiando, il secolo nuovo procedeva innanzi, così come il modo ermetico di scrivere poesia e quant’altro potesse distaccarsi dalle matrici ottocentesche. Ripeterò di nuovo il confronto con gli impiastri mitologici del Vate pescarese e gli esercizi latini (impeccabili, per carità!) altrettanto mitologici del Giovannone Romagnolo.

Penna era quindi:
puro, stilisticamente, come e più del D’Annunzio, quanto impuro nella dimensione umana;
isolato, nevrotico e incorruttibile, a livello “di vita vissuta”. (Prese le distanze da un Pasolini, che pure lo incensava in modo inverecondo) ;
poeta tenue e leggerissimo nel verso, quanto, letterariamente parlando, maledetto. Non credo, infatti, al Penna manniano, che segue Tadzio in “Morte a Venezia”, animato solo dal tentativo di sistemare l’ideale di Bellezza. Credo, piuttosto, a un Penna veramente intriso di desideri omo-erotici a tutto tondo, sul registro di un mero e teorico mercantaggio di sesso e di giovani. Un affare un po’ equivoco (e proprio per questo intrigante), vicino a un vago senso di strappo contro la natura, considerata matrigna secondo i parametri di Leopardi.

Il colore di una siffatta poesia è l’azzurro, vuoi nelle tinte dei cieli quasi “tizianeschi” – vuoi nella concordanza popolare e popolana che ammette il celeste come emblema della virilità maschile. L’azzurro accoglie anche un’accezione più implicita e vede le proprie radici nel campo dell’esattezza matematica. Con tale affermazione si approda così al senso aristocratico del verso, alla costruzione cioè di un pentagramma costituito da note che rimandano direttamente al “numero”. Nella melica penniana si ravvisa la perfezione, calda dapprima e fredda poi, che rimanda a pittori chic e formali come Simone Martini e Piero della Francesca.

Penna come cameo, allora. Il “perugino” conosce a menadito il senso intimo e gioioso dello “scandalo”: egli dà al proprio registro un tono altissimo della provocazione e della compromissione, - non ravvisabile negli altri poeti italiani del Novecento, eccezion fatta per il “narrativo” Saba di “Ernesto” -. L’umbro e il triestino, nelle rispettive competenze, forniscono spunti felici di innocente colpevolezza e paganità. In ogni loro quadro si dipana la trama –soave ed incontaminata- dell’indipendenza dalle pastoie beghine dell’ambiente sociale a loro coevo . Una sorta di Arcadia albeggia soprattutto in Penna, di cui oggi si sente il bisogno di leggere e di ri-leggere il suo “canzoniere amoroso”, che, ad ogni nuova indagine, appare velato e chiaro, elegante e scabroso, a dispetto del cono d’ombra che oggi investe ognuno di noi, così perduti nelle spire di un falso moralismo e del più bieco opportunismo.
 


Pubblicato in La costruzione del verso & altre cose, 26 luglio 2005
 


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8 agosto 2005

 

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