agli incroci dei venti

Politica



 

HOME

Società

Politica

Arti visive

Lettura

Scrittura

Punto rosa

Legalità

Paesi in guerra

Mondo

     
 

La “Legge Consolo “ per la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile
di Federica Mancinelli

Pubblicazioni Centro Studi per la Pace
www.studiperlapace.it
 

Testo disponibile anche in formato PDF download [KB 202]

INDICE

1. Introduzione

2. Epidemiologia e definizioni delle pratiche di mutilazione genitale femminile (MGF)
3. La cultura dell’infibulazione
4. Modalità, effetti e conseguenze psico-fisiche delle MGF
5. Le MGF nel contesto internazionale
6. All’avanguardia normativa per la salvaguardia dei diritti: la “Legge Consolo”
7. Conclusioni
 

8. Bibliografia

9. Legge 9 Gennaio 2006, n.7 [PDF KB 77]
“Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile”
(testo integrale)

Altri articoli
Ci sono ancora tante ragioni per continuare a lottare - Arianna Ballotta

 


1. Introduzione


Il 18 Gennaio 2006 la Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana ha pubblicato la Legge 09/01/2006 n. 7, recante “Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile”, diffuse ormai da lungo tempo anche e soprattutto in Italia.
In attuazione degli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione della Repubblica Italiana [
1] e di quanto sancito dalla Dichiarazione e dal Programma di azione adottati a Pechino il 15 Settembre 1995 nella Quarta Conferenza mondiale delle Nazioni Unite sulle Donne, la “Legge Consolo” (dal nome dell’On. Giuseppe Consolo, proponente e primo firmatario), detta “le misure necessarie per prevenire, contrastare e reprimere le pratiche di mutilazione genitale femminile quali violazioni dei diritti fondamentali all'integrità della persona e alla salute delle donne e delle bambine.” [2]

 

2. Epidemiologia e definizioni

Le pratiche di mutilazione sessuale femminile sono diffuse in almeno 40 Paesi nel mondo (28 Paesi dell’Africa sub-sahariana [3]): ogni anno 3 milioni di bambine si aggiungono ai 130 milioni di donne che già convivono con il ricordo, concreto ed indelebile, di questa orrenda tortura [4].
In particolare, i dati forniti dalle ricerche nei singoli Paesi rivelano percentuali che vanno dal 5 per cento delle donne in Niger al 94 per cento in Mali. Nella maggioranza dei Paesi monitorati circa la metà dell’intera popolazione femminile ha subito tali pratiche. Le percentuali in alcuni Paesi dell’Africa Orientale sono vicine o superiori al 90 per cento. Tra i Paesi dell’Africa Centrale per i quali si dispone di dati, le percentuali variano dal 5 per cento nella Repubblica Democratica del Congo al 60 per cento in Chad. In Egitto, il 97% delle donne ha subito mutilazioni genitali [
5].
Gli unici Paesi che registrano una riduzione continua dei tassi di prevalenza sono la Repubblica Centrafricana, dove le percentuali di MGF tra le donne dai 20 ai 24 anni sono inferiori a quelle registrate tra le donne dai 45 ai 49 anni, ed il Kenya dove tali percentuali corrispondono rispettivamente al 32 e al 48 per cento [
6].
Secondo stime non ufficiali, solo in Italia sono state in media – fino alla promulgazione della nuova Legge – 40mila ogni anno le giovani donne ad esser sottoposte a questo orrendo “rituale”.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) distingue le mutilazioni sessuali femminili in 4 tipi differenti (a seconda della gravità per il soggetto):


1. Circoncisione o infibulazione “as sunnah”: si limita alla scrittura della punta del clitoride con fuoriuscita di sette gocce di sangue simboliche;
2. Escissione “al uasat”: asportazione del clitoride e taglio totale o parziale delle piccole labbra;
3. Infibulazione o circoncisione faraonica o sudanese: asportazione del clitoride, delle piccole labbra, di parte delle grandi labbra con cauterizzazione, cui segue la cucitura della vulva, lasciando aperto solo un foro per permettere la fuoriuscita dll’urina e del sangue mestruale;
4. Interventi di varia natura sui genitali femminili.


Mentre la prima è puramente simbolica e non comporta conseguenze, soprattutto la terza, l’infibulazione faraonica, danneggia in maniera grave la salute generale e la vita sessuale delle donne.
E’ soprattutto su quest’ultima pratica che si concentra l’analisi di questo scritto.
 


3. La cultura dell’infibulazione

Le mutilazioni genitali femminili (in particolare l’infibulazione) vengono molto spesso considerate parte di alcune culture religiose, prevalentemente islamiche. In realtà si praticano in società di religione sia islamica che politeista e cristiana (copta, cristiana ortodossa, protestante, giudaica) [7], pur essendo pubblicamente condannate in ciascuna di
esse.
Mentre, infatti, alcuni Islamici sostengono che tali pratiche trovino origine in alcune ahadith del profeta Maometto che disse ad una donna che stava praticando un’infibulazione su una bambina: “Taglia, ma non distruggere”, ci sono testimonianze storiche che attestano che tali procedure fossero già praticate al tempo dei Romani antichi.
Le motivazioni che spingono a praticare queste vere e proprie torture si richiamano a detti popolari, precetti religiosi o al controllo politico e sessuale della donna.
Ma la motivazione e causa fondamentale di questo crimine è che nelle culture ove le mutilazioni sono richieste e praticate non averle subite significa isolamento sociale. La
sessualità femminile è considerata un istinto impuro e da controllare e, possibilmente, annullare. Attraverso queste pratiche la donna preserva l’onore e l’integrità della famiglia.
Questo “imperativo categorico” sociale fa dimenticare alla stessa vittima il carattere di tortura di tali pratiche e di annullamento completo dei propri diritti di persona umana [
8].
Prima dell’entrata in vigore della Legge Consolo, un’autorevole dottrina riportava: “Questo tipo di mutilazione femminile ha antiche radici in alcune zone del continente africano ed è stata adottata in aree islamiche, ma non ha una vera motivazione religiosa; riflette piuttosto quella mentalità arcaica che vede nella donna una sorta di proprietà esclusiva dell’uomo, priva del diritto ad una propria peculiare sessualità. Non c’è dubbio che, riguardate nella loro materialità e nei conseguenti effetti corporei, le pratiche infibulatorie integrano il reato di lesioni volontarie di cui all’articolo 582 del Codice Penale e risultano contrarie, sotto diversi profili, a convenzioni e dichiarazioni
internazionali sui diritti umani, ed in questo senso già si registrano in Italia delle sentenze di condanna per pratiche del genere (Floris). Il profilo penalistico della questione è
richiamato in una dichiarazione del Ministero della Sanità del 30 Settembre 1999 con la quale, rispondendo implicitamente a quanti, con la motivazione della diversità di cultura e di tradizioni, ritengono che l’infibulazione possa essere legittimata e praticata addirittura nell’ambito delle strutture pubbliche sanitarie, esclude categoricamente <<
l’effettuazione di tali interventi presso le strutture del SSN e per opera del personale medico>>. E’ vero, però, che sarebbe difficile risolvere un problema che nasce daoggettive e profonde diversità culturali, e che si innesta in tradizioni etniche molto radicate, in un’ottica esclusivamente penalistica. La rilevanza di valori quali la tutela della salute e della dignità della persona suggeriscono che lo Stato, e gli enti competenti, si facciano promotori di interventi preventivi, soprattutto di carattere educativo, capaci di far arretrare e infine estirpare usi e abitudini che contrastano con acquisizioni che appartengono a tutta l’umanità, a prescindere dall’area geopolitica in cui sono germinati (Vitalone)” [
9].
Oltrepassando ulteriormente i confini del Biodiritto, le MGF - formalmente e nella sostanza atti di violenza su minore - vengono considerate tradizionalmente un segno di premura ed attenzione nei confronti delle bambine: una bambina non infibulata è una bambina di cui nessuno si è preso cura.
Perdendo individualità e diritti, la giovane donna viene accettata dal proprio gruppo sociale, subendo dunque non solo una violenza fisica, ma anche psicologica, poiché la pratica mutilativa viene considerata dalle stesse donne necessaria per il loro vivere associato.

 

4. Modalità, effetti e conseguenze psico-fisiche


Il termine “infibulazione” deriva dal latino fibula, la spilla utilizzata per agganciare la toga romana. Essa veniva utilizzata nei tempi antichi anche per impedire i rapporti sessuali tra gli schiavi (fissando le grandi labbra delle donne e il prepuzio degli uomini) e per preservare le fedeltà delle schiave verso i loro padroni.
Attualmente, al “rito” dell’infibulazione partecipano solo donne. Il taglio degli organi genitali viene compiuto da una donna anziana (una chiromante o una levatrice) che procede all’operazione dietro un alto compenso monetario.
Nella maggior parte dei casi viene praticata su bambine dai 2 agli 8 anni, ma l’intervallo di età aumenta nei diversi Paesi (ad esempio, nel Sud della Nigeria si pratica sulle neonate, in Uganda sulle adolescenti, in Somalia sulle bambine).
La bambina viene immobilizzata a gambe divaricate, il taglio viene effettuato senza alcuna anestesia o sostanza disinfettante, tramite un paio di forbici o un coltello, una scheggia di metallo o un pezzo di vetro.
Le ferite vengono suturate con spine di acacia o fili di seta e cicatrizzate con sostanze naturali (succo di limone, erbe aromatiche, tuorlo d’uovo, ceneri), spesso causa di infezioni violente e mortali. A questo si aggiungono la possibilità che l’operazione, condotta da mani inesperte, danneggi anche altri organi e le complicazioni al momento del parto che possono portare alla morte della madre e del figlio.
Dopo l’operazione, le gambe vengono legate e immobilizzate per alcune settimane per consentire la guarigione della ferita.
Attraverso questa pratica i rapporti sessuali vengono resi impossibili fino alla defibulazione [
10], effettuata direttamente dallo sposo prima del matrimonio o della prima
notte di nozze per consentire la penetrazione e conservare la verginità della donna [
11].
Dopo ogni parto viene praticata una nuova infibulazione (“reinfibulazione” [
12]), al fine di ripristinare la situazione prematrimoniale.
Le conseguenze psico-fisiche sono devastanti: i rapporti sessuali diventano difficili e molto dolorosi, la donna perde quasi completamente la capacità di provarne piacere.
Molto spesso la vittima è affetta da ritenzione urinaria, cistiti molto gravi (accompagnate da una dolorosa difficoltà nella minzione), infezioni vaginali, shock emorragico, frigidità.

 


5. Le Mutilazioni Genitali Femminili nel contesto internazionale


L’opera internazionale per contrastare ed abolire l’abitudine a tali pratiche prende il via concretamente solo in questo secolo, grazie agli sforzi di Organizzazioni femminili africane.
La Commissione sui Diritti Umani delle Nazioni Unite sollevò il problema nel 1952, ma solo nel 1984 l’ONU creò un Comitato Interafricano contro le pratiche tradizionali pregiudizievoli per la salute delle donne e dei bambini” (IAC), con sede a Dakar. Dai primi Anni ’90 le MGF vengono riconosciute dalla comunità internazionale come una grave violazione dei diritti delle donne e delle bambine.
Nel contesto internazionale la condanna della pratica delle MGF si articola in tre dimensioni: la tutela dei Diritti Umani, dei diritti della Donna e dei diritti del Bambino [
13].
Le Nazioni Unite condannano la pratica delle MGF facendo inizialmente riferimento all’Art. 5 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 (“Nessun individuo potrà essere sottoposto a tortura o a punizioni crudeli, inumane o degradanti”) fino alla solenne Dichiarazione di Ginevra del 1997, promulgata da tre Agenzie dell’ONU - il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione, l’Organizzazione Mondiale della Sanità e il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia - dove per mutilazioni genitali femminili si intendono “tutte le procedure che comportano la rimozione parziale dei genitali esterni femminili o altri interventi dannosi sugli organi genitali tanto per ragioni culturali che per altre ragioni non terapeutiche”.
In Africa (dove le MGF vengono praticate in tutti i Paesi) da oltre vent’anni molti Stati hanno intrapreso un’opera di discussione e prevenzione per il superamento di tali pratiche, elaborando leggi e strumenti preventivi che conducano ad un reale cambiamento di mentalità individuale e sociale.
Il primo Gruppo di lavoro venne costituito nel 1977 da 20 Organizzazioni Non Governative aventi status consultivo per l’ONU. Da allora si sono succedute occasioni di incontro e di studio che hanno avviato un dibattito ormai continuo su questi argomenti e sull’entrata in vigore di leggi che proibiscano tali pratiche [
14]. In particolare alcuni Paesi, come il Burkina Faso, l’Egitto e il Togo hanno vietato per legge le MGF (in Burkina Faso e in Egitto esse non sono pù praticate neanche secondo il diritto consuetudinario) [15].
In Europa, l’attenzione verso questo problema nasce all’inizio degli Anni ’70 fino a concretizzarsi nel 1980 con l’apertura dela Conferenza di Copenhagen sulla Donna ed il parallelo Forum di Organizzazioni Non Governative in cui delegate statunitensi ed africane si scontrarono e confrontarono vivacemente sul tema.
Nei decenni successivi la risoluzione di questo problema è diventata sempre più necessaria ed urgente, a causa dell’intensificarsi dei flussi migratori provenienti dall’Africa verso il Vecchio Continente, con l’aumento di richieste, da parte dei genitori immigrati, di poter effettuare mutilazioni genitali sulle proprie figlie nelle strutture sanitarie pubbliche.
Il Consiglio d’Europa assimila le mutilazioni genitali femminili alle pratiche di tortura, facendo esplicito riferimento all’Art. 3 della Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali” del 1950 (“Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”) [
16].
La Svezia è stato il primo Paese, nel 1982, a dotarsi di una disciplina specifica in materia, seguita nel 1998 dalla Norvegia. La Legge svedese proibisce “operazioni sulle parti esterne dei genitali femminili che hanno lo scopo di mutilarli o di produrre altri danni permanenti”.
In Gran Bretagna, nel 1985 è entrato in vigore il “Prohibition of Female Circumcision Act”, ai sensi del quale è un crimine “praticare l’escissione o mutilare in
altro modo, interamente o parzialmente, le grandi labbra o il clitoride di un’altra persona”.
In Germania il Tribunale Amministrativo di Oldenburg è recentemente ricorso alla Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato del 1951, accogliendo il ricorso di una cittadina del Togo, permettendole di non essere espulsa dal territorio tedesco, con la motivazione che la condizione di una donna obbligata a subire delle mutilazioni puo’ essere considerata una vera e propria persecuzione [
17].
La Francia è l’unico Paese europeo dove si sono celebrati processi contro gli esecutori di pratiche di mutilazione sessuale, non essendo però presente nell’ordinamento giuridico interno una Legge specifica in materia, basandosi gli organi giudiziari sull’Art. 222 del Codice penale che punisce genericamente le “mutilazioni” fisiche contro natura.
A testimonianza che le MGF non sono una tradizione della religione e della cultura islamica, significativa e importante è la Dichiarazione di Rabat del 2005, a conclusione della prima Conferenza Islamica dei Ministri incaricati, che invita tutti gli Stati musulmani a “prendere le necessarie misure per eliminare tutte le forme di discriminazione nei confronti delle ragazze e tutte le pratiche tradizionali nocive, come la mutilazione genitale femminile”, sottolineando che queste pratiche sono contro i precetti e la tradizione dell’Islam. Ai Governi è stato chiesto di “promulgare ed attuare leggi adeguate, fare dei programmi nazionali e delle strategie per proteggere le ragazze”.

 


6. All’avanguardia normativa per la salvaguardia dei diritti: la “Legge Consolo”


Dal 9 Gennaio 2006 praticare mutilazioni genitali femminili a fini non terapeutici, anche in Italia è un reato [
18].
L’importanza sociale dell’entrata in vigore di tale provvedimento risiede nel fatto che l’Italia è il primo Paese in Europa con il più alto numero di donne infibulate, per lo più immigrate di origine somala e nigeriana e le loro figlie.
Le nuove norme hanno lo scopo di “prevenire, contrastare e reprimere le pratiche di mutilazione genitale femminile quali violazioni dei diritti fondamentali all'integrità della persona e alla salute delle donne e delle bambine” (Art. 1).
La strategia di questo strumento normativo segue un approccio integrato.
La Legge Consolo si caratterizza, infatti, per il suo duplice carattere di provvedimento repressivo dell’illegalità e della violenza contro i diritti umani di ogni donna e strumento formativo con lo scopo di informare il più possibile le donne e le famiglie immigrate nel nostro Paese e di vincere, eliminandola fin dall’origine, l’ignoranza dei propri diritti, alla base di queste orribili pratiche.
Dall’entrata in vigore della Legge “chiunque, in assenza di esigenze terapeutiche, provoca, al fine di menomare le funzioni sessuali, lesioni agli organi genitali femminili, da cui derivi una malattia nel corpo o nella mente, e' punito con la reclusione da tre a sette anni. La pena e' diminuita fino a due terzi se la lesione è di lieve entità.
La pena è aumentata di un terzo quando le pratiche sono commesse a danno di un minore ovvero se il fatto è commesso per fini di lucro.
Tali disposizioni si applicano altresì quando il fatto è commesso all'estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia, ovvero in danno di cittadino italiano o di
straniero residente in Italia. In tal caso, il colpevole è punito a richiesta del Ministro della Giustizia.
La condanna contro l'esercente una professione sanitaria per taluno dei delitti previsti importa la pena accessoria dell'interdizione dalla professione da tre a dieci anni” (Art. 6) [
19].
La seconda parte della Legge è mirata a promuovere Programmi di cooperazione internazionale “condotti dal Ministero degli Affari esteri e in particolare nei programmi finalizzati alla promozione dei diritti delle donne, in Paesi dove, anche in presenza di norme nazionali di divieto, continuano ad essere praticate mutilazioni genitali femminili, e comunque senza nuovi o maggiori oneri per lo Stato, in accordo con i Governi interessati, presso le popolazioni locali”. Tali “progetti di formazione e informazione sono diretti a scoraggiare tali pratiche nonché a creare centri antiviolenza che possano eventualmente dare accoglienza alle giovani che intendano sottrarsi a tali pratiche ovvero alle donne che intendano sottrarvi le proprie figlie o le proprie parenti in età minore”. Questo allo scopo di diffondere la conoscenza dei diritti fondamentali della persona e di “modificare le motivazioni culturali, etniche e religiose che sono alla base delle pratiche” vietate (Art. 7).
Il 4 Aprile 2006 la Legge Consolo viene applicata per la prima volta.
A Verona le Forze di Pubblica Sicurezza arrestano una donna nigeriana di 43 anni che, in cambio di un compenso di 300 Euro, era pronta a mutilare una neonata di 14 giorni. Gli Agenti di Polizia l’hanno fermata poco prima che iniziasse l’intervento, nell’abitazione dei genitori della piccola vittima, una coppia di suoi connazionali. La donna aveva in borsa forbici chirurgiche, flaconi di sostanze anestetizzanti e antibiotici, garze ed olii emollienti. Pochi giorni prima aveva eseguito un intervento simile su un’altra bambina.

 


7. Conclusioni


Una società nasce dall’unione di individui che stabiliscono leggi e norme per governare se stessi in relazione agli altri ed ottenere da questi rapporti vantaggi e benefici che non otterrebbero individualmente.
Le Leggi, per loro natura intrinseca, devono seguire il corso dell’evoluzione umana per salvaguardare il diritto di ogni individuo di esercitare i propri diritti all’interno del proprio gruppo sociale.
La legge 7/2006 rappresenta nel panorama normativo italiano ed internazionale un mezzo di difesa e prevenzione.
L’ordinamento giuridico italiano si è dotato di uno strumento non solo repressivo, ma necessario e utile per creare una nuova cutura di diritti, un nuovo modo di entrare nella comunità.
Affinché nel nostro Paese nessuno debba mai più pagare un prezzo per la propria esistenza.



1 Art. 2 “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
Art. 3 “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.
Art. 32 “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. E garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” (Costituzione della Repubblica Italiana, 1 Gennaio 1948)

2 Art. 1, Legge 7/06, GU n. 14, 18 Gennaio 2006.

3 L’infibulazione interessa quasi la totalità delle donne in Somalia, Gibuti e Sudan (con eccezione delle popolazioni cristiane del Sud Kenya, Sud Egitto, Nord Nigeria e alcune zone del Mali). Altre forme meno invasive vengono praticate in Etiopia, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Ghana, Togo, Tanzania, Uganda, Senegal. Ci sono casi di mutilazioni genitali femminili anche fuori dall’Africa (Oman, Yemen, Emirati Arabi Uniti) e in alcune zone dell’Indonesia e della Malaysia. Questa pratica è molto diffusa tra le comunità immigrate dai suddetti Paesi verso Canada, Stati Uniti, Europa ed Oceania (dati forniti da www.nigrizia.it, 2004).

4 Precedenti stime ritenevano che annualmente venissero sottoposte alla pratica 2 milioni di bambine; le nuove cifre di 3 milioni all’anno non riflettono un aumento, ma sono il frutto di una migliore raccolta dati, afferma l’UNICEF. Il nuovo Rapporto (Novembre 2005) guarda anche alle strategie che stanno aiutando le comunità ad abbandonare la pratica, tra cui le iniziative appoggiate dall’UNICEF in Egitto, che guidano le comunità ad impegnarsi in discussioni pubbliche per affrontare apertamente il problema, le appoggiano nelle dichiarazioni collettive di abbandono della pratica e diffondono il loro messaggio alle comunità vicine. Il coinvolgimento di importanti personaggi pubblici, tra cui capi tradizionali e religiosi, può svolgere un ruolo decisivo per stimolare il dibattito pubblico. Personale sanitario, guaritori tradizionali, operatori sociali e insegnanti devono essere istruiti e appoggiati in maniera da scoraggiare la pratica (“Corriere della Sera”, 11 Novembre 2005).

5 Tratto da “The world’s women 2000. Trends and statistics”, a cura dell’Ufficio Statistico delle Nazioni Unite, New York, 2000).

6 “Demografic and Health Survey”, DHS, 1995.

7 In Europa già nel 1822 fu praticata la prima amputazione da parte del medico Graefesu su una giovane di 5 anni per curarla in modo definitivo dall’onanismo; anche il medico Broca eseguì, allo stesso scopo, un’infibulazione nel 1863.
Negli anni che vanno dal 1860 al 1870, l’Inghilterra vittoriana praticava diffusamente le mutilazioni genitali, “esportando” poi tali pratiche anche negli Stati Uniti.

8 I Bambara, una delle etnìe del Mali, chiamano le donne non infibulate o escisse “bikaloro”, un gravissimo insulto che vuol dire essere privi di ogni maturita. Al momento di questa dolorosa “cerimonia di iniziazione” le bambine pù grandi si impegnano a non gridare: sarebbe una grave dimostrazione di vergogna attribuita ai prorpi genitori: “Se piangi, non sei degna di tuo padre”, cantano le donne del villaggio. All’uscita le piccole vittime trovano i tam tam ad accoglierle festosamente, mentre alle piccole che saranno operate in future si ricorda quotidianamente: “Se non sei escissa, non hai amici, non hai diritto a farti corteggiare da nessun ragazzo, non puoi comportarti da donna” (dal testo de “L’iniziazione”, documentario televisivo girato da Ilaria Freccia e trasmesso da RAI3 il 22 Novembre 2005).

9 Carlo Cardia, “Principi di diritto ecclesiastico”, pagg. 186-187 – Ed. Giappichelli 2002. Ringrazio Marco Giudici per aver discusso con me in particolare questo punto.

10 “La defibulazione è la procedura che si attua per accrescere l’apertura dell’orifizio lasciata al momento dell’infibulazione. Questa comporta un’incisione nella cicatrice dell’infibulazione, creando un’apertura, con la rimarginazione delle rimanenti labia majora. Ciò riduce la possibilità di future complicazioni e aiuta ad eliminare alcuni
problemi cronici. Spesso è effettuata quando una donna sta per sposarsi, ma è frequentemente posticipata fino al momento del parto” (tratto da “Mutilazioni dei genitali femminili”, AIDOS, Associazione Italiana Donne per lo Sviluppo, 2000).

11 In Somalia l’età normale per un matrimonio è 12-16 anni, qualche anno dopo l’infibulazione (la poligamia è permessa e il divorzio facile da ottenere). Il matrimonio è organizzato dalla famiglia della sposa in cambio di denaro o merci.
Dopo che l’affare è stato concordato, la madre o la sorella dello sposo esaminano la ragazza per constatare se l’infibulazione è intatta (poca importanza viene data all’imene che è difficile da visualizzare). Il matrimonio è impossibile da consumare a causa della barriera generata chirurgicamente. Allora lo sposo o i parenti della sposa allargano l’apertura vaginale con un piccolo coltello così che i rapporti sessuali possano avere luogo. E’ responsabilità delle parenti femminili dello sposo esaminare la sposa poche settimane prima del matrimonio e, se necessario, allargare l’apertura vaginale (da www.benessere.com /sessuologia, 2004).

12 “La reinfibulazione è la procedura attraverso la quale le labbra della vagina vengono ricucite insieme dopo il parto.
Questo ulteriore taglio e suturazione accresce la mancanza di elasticità del perineo. A volte è richiesta dal marito o dalla donna stessa. Spesso comporta un ulteriore rstringimento dell’apertura. La ripetizione di defibulazione e reinfibulazione può causare danni per tutta la vita” (tratto da “Mutilazioni dei genitali femmnili”, AIDOS, ibidem).

13. Nella “Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le Donne” del 1979 si fa generico rferimento (Art. 2) alle MGF che invece vengono direttamente richiamate come pregiudizievoli per la salute delle Donne e delle Bambine in un Documento congiunto OMS/UNICEF del 1980 contro ogni tipo di sostegno alla medicalizzazione della pratica. Nel 1986 viene pubblicato il Primo Rapporto dl Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle pratiche tradizionali nocive alla salute delle Donne e dei Bambini. Nel 1990 viene inserito un Articolo di condanna delle MGF (Ar. 24, comma 3) nella Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Bambini. Seguono la Dichiarazione sulla violenza contro le Donne di Vienna (1993), la Conferenza Mondiale su Popolazione e Sviluppo del Cairo (1994), la Dichiarazione conclusiva della Quarta Conferenza Mondiale sulla Donna di pechino (1995) ed il Protocollo di Maputo, a conclusione della Conferenza Sub-Regionale sulle Mutilazioni Genitali Femminili del Febbraio 2006, ratificato da un numeo sempre crescente di Stati Africani.

14. Nel Settembre 1997 lo IAC tenne un Convegno per giuristi nell’ambito dell’Organizzazione per l’Unità Africana ad Addis Abbeba ed elaborò la Carta di Addis Abbeba, un documento che chiede ai Governi africani di adoperarsi per eradicare (o drasticamente ridurre) la pratica delle MGF entro il 2005.
Le mutilazioni vengono vietate anche dall’Art. 21 della Carta Africana sui diritti e il benessere del Fanciullo del 1990.
I Paesi africani in cui le mutilazioni sessuali sono vietate per legge sono (in ordine di entrata in vigore): Guinea, Repubblica Centroafricana, Ghana, Etiopia, Djbouti, Uganda, Egitto, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Tanzania, Togo, Senegal (dati forniti da Amnesty International).

15. Nel 1994 il Fondo Monetario Internazionale ha vincolato la concessione di un prestito all’impegno del Governo del Burkina Faso di combattere le mutilazioni.

16 In base alla giurisprudenza costante della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo, tale divieto non deve intendersi soltanto riferito all’attività direttamente svolta dalle autorità dei paesi aderenti alla Convenzione, ma anche ad ogni provvedimento delle medesime autorità che indirettamente consentisse l’attuazione di tali trattamenti da parte delle autorità di Paesi diversi.

17. La Convenzione di Ginevra del 1951 garantisce protezione a chi teme di essere perseguitato nel proprio Paese e, quindi, sottopsto a trattamenti lesivi della propria libertà personale e dei propri diritti fondamentali a motivo della sua appartenenza ad un gruppo etnico, politico o religioso e della sua particolare situazione sociale. In base ad una corretta interpretazione dlla Convenzione di Ginevra il caso del fondato timore di sottoposizione all’infibulazione è sicuramente riconducibile alla nozione di persecuzione.

18. Fino all’entrata in vigore della legge 7/06 si applicavano, in caso di denuncia, gli Artt. 582 e 583 del Codice Penale, relativi alle lesioni personali.

19 Altre sanzioni sono previste per l’Ente nella cui struttura è commesso il delitto introdotto dall’Art 583 bis del Codice Penale per il quale è prvista la sanzione pecuniaria da 300 a 700 quote e le sanzioni interdittive previste dall’Art. 9 (comma 2) del Decreto Legislativo 8 Giugno 2001, n. 231, per una durata non inferiore ad un anno. Nel caso in cui si tratti di un Ente privato accreditato è altresì revocato l’accreditamento (Art. 8, ibidem).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
 

 

 
 


agli incroci dei venti, 22 gennaio 2007

 

5