agli incroci dei venti

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La rabbia di una donna contro l’ingiustizia
di Carla Del Ponte*

(Libera traduzione di Alessandra Ruberti)


Era la sera del 23 maggio 1992. Risposi al telefono e seppi che il giudice italiano Giovanni Falcone era morto. Una bomba della mafia aveva distrutto la sua auto uccidendo lui, sua moglie e tre uomini della scorta. Il messaggio era chiaro: osi sfidare la mafia e questo è quello che ti succede. Rimasi scioccata, terrorizzata. Pensai di lasciare il mio lavoro di procuratore e tornare a occuparmi di divorzi e casi amministrativi. Poi cominciai a bruciare di rabbia – contro la mafia, contro l’impunità, contro l’ingiustizia.
Falcone era un uomo affascinante e coraggioso, un magistrato inquirente siciliano che aveva ingaggiato una guerra contro il crimine organizzato e la cultura dell’impunità che stavano indebolendo il suo paese. All’inizio degli anni Ottanta (…), mi fu chiesto di seguire una delle richieste di assistenza di Falcone. Entrai in contatto con l’uomo probabilmente più influente della mia vita. Col passare degli anni, ho lavorato con lui in alcuni dei casi più importanti riguardanti la mafia. Guardandolo interrogare i testimoni e i sospettati e seguire un suo obiettivo, anche quando sembrava non esserci, mi ha insegnato come condurre casi complessi e pericolosi e perseverare nonostante le critiche e le minacce. L’omicidio di Falcone ha rinforzato la mia determinazione a perseguire la giustizia.
Questo obiettivo ha acquisito nuovo significato quando, nel 1999, fui nominata procuratore capo del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia e il Ruanda. Ero annichilita dai crimini orrendi che incontravo: non ho mai visto morte e distruzione su così vasta scala. Migliaia di vittime sono state uccise, stuprate, mutilate e disperse. La maggior parte di questi crimini è stata organizzata ai più alti livelli politici – da presidenti, primi ministri, membri del governo e alti ufficiali militari – e commessi da politici locali, boss, forze armate regolari, paramilitari e cittadini comuni. Intere società sono state distrutte. Per la prima volta nella mia vita, in aggiunta alla mia responsabilità professionale, ho sentito un profondo obbligo morale a fare il possibile per le centinaia di migliaia di vittime di questi atroci crimini. Ho sentito di essere il loro unico rappresentante ufficiale in questi processi.
Negli otto anni che ho lavorato come procuratore internazionale, abbiamo vinto molte battaglie contro l’impunità, portando alla sbarra un capo di Stato (Slobodan Milosevic), capi dell’esercito e della polizia, molti signori della guerra, leader politici e in pratica un intero governo. Abbiamo processato i mandanti e alcuni degli esecutori. Abbiamo avuto la prima condanna per genocidio dalla Seconda Guerra mondiale. Per la prima volta nella storia, abbiamo dimostrato che lo stupro è un crimine. Ancora più importante, abbiamo ottenuto alcune forme di giustizia per le vittime. Dico “alcune” perché il lavoro non è ancora finito. Non in Ruanda, dove le indagini di possibili crimini commessi dal Fronte Patriottico ruandese al potere sono state bloccate da pressioni politiche. Il lavoro non è ancora finito nella ex Jugoslavia , dove la Serbia – il primo Stato ad aver mai violato la convenzione sul genocidio – protegge apertamente i criminali di guerra, ed è tuttavia sul punto di essere accolto nell’Unione europea.
A livello globale, comunque, la lotta per la giustizia è appena iniziata. Continuiamo a vivere in un mondo in cui il doppio standard è la regola, non l’eccezione. Alcuni crimini sono oggetto di tribunali internazionali, ma non molti altri. Alcuni Stati sono reputati responsabili per le loro violazioni dei diritti umani, ma non altri. Il potere continua a proteggere i loro clienti e alleati senza riguardo per i loro trascorsi criminali. I valori come il rispetto della legge sono proclamati a gran voce, ma poi non sono tenuti in alcun conto quando si scontrano con gli interessi politici o economici.
Credo che noi in quanto cittadini dobbiamo alzare la voce quando i nostri leader fanno compromessi ipocriti con dittatori, criminali o Stati che tollerano gli autori dei genocidi. Negli Stati Uniti, in Europa e in parte dell’Asia, la società civile ha il potere di controllare i governi. Questo è un privilegio straordinario. E manca ancora in moltissime nazioni. Quelli di noi che hanno tale potere, quindi, hanno il dovere morale di esercitarlo. Io ho in animo di continuare a fare così.

Fonte: Newsweek, 7 maggio 2007



*Del Ponte è attualmente procuratore capo del Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia

 
 

 

 
 


agli incroci dei venti, 10 maggio 2007

 

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