agli incroci dei venti

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Algeria
di Arianna Ballotta

Il 5 luglio 1962 l’Algeria diventa una repubblica indipendente, dopo oltre cent’anni di colonizzazione francese. I mesi seguenti all’ottenimento dell’indipendenza sono caratterizzati da una crisi dovuta ai contrasti tra il Governo Provvisorio della Repubblica Algerina (GPRA) ed i partigiani di Ahmed Ben Bella (il rivoluzionario massimo esponente dell'ala più radicale del movimento di liberazione nazionale d'Algeria). Il 20 settembre 1962 si svolgono le elezioni per l'Assemblea Nazionale Costituente che segnano l'affermazione definitiva di Ben Bella con la designazione dello stesso a capo del primo governo algerino. L’anno seguente, e precisamente l’8 settembre 1963, l'Assemblea approva una nuova Costituzione che trasforma l'Algeria in una Repubblica presidenziale e Ben Bella viene eletto Presidente. Subito dopo Hocine Ait Ahmed (uno dei capi del Fronte di Liberazione Nazionale) e gran parte della popolazione della Cabilia (una regione dell'Algeria che ha inizio ad un centinaio di chilometri ad est di Algeri e che si estende lungo la costa da Dellys fino oltre Bugia comprendendo, nell'interno, l'elevata catena del Djurdjura), rendendosi conto che si sta assistendo all'instaurarsi di un regime militare, danno inizio ad una ribellione che però viene repressa da Ben Bella. In questo periodo ha inizio un ciclo di riforme di tipo socialista di cui la più importante è la nazionalizzazione della terra. Nel 1965 Ben Bella è deposto da un colpo di stato guidato dal Ministro della Difesa colonnello Houari Boumedienne che porta il Paese a nuovi disordini e numerosi arresti, soprattutto di elementi di sinistra, e alla formazione di elementi di opposizione al regime militare. Molti oppositori politici vanno in esilio nel 1966. Nel 1967 un tentativo di rovesciare Boumedienne viene schiacciato. Nel 1971 l'industria petrolifera viene nazionalizzata, Boumedienne prosegue nella riforma agraria e nell'istituire un servizio di assistenza nazionale, e la Costituzione dà vita ad uno Stato socialista (1976). Nel 1978 Boumedienne muore e gli succede Benjedidi Chadli, il quale stabilisce un regime di tipo presidenziale con elezione quinquennale del Presidente della Repubblica. Ben Bella viene rilasciato dalla prigionia, viene firmato un accordo con la Francia per incentivare il ritorno in patria di 800.000 immigrati algerini. Nel 1984 viene riconfermato Presidente, e ancora nel 1988. In seguito ai moti del 1988, promuove un processo di democratizzazione e revisione costituzionale. Una nuova costituzione viene adottata nel 1989 che permette la formazione di altre associazioni politiche oltre all'FLN.
Nel 1990 il Fronte Islamico di Salvezza Nazionale vince le elezioni amministrative e si aggiudica il primo turno delle elezioni politiche del dicembre 1991. Il voto viene annullato e il processo di democratizzazione viene interrotto bruscamente: scioglimento del FIS (Fronte Islamico di Salvezza) di Abassi Madani, censura dell'informazione, arresto degli oppositori. Nasce il Gruppo Islamico Armato (GIA). Nel 1992 il Presidente della giunta militare, Muhammad Boudiaf, viene assassinato; il suo successore è Ali Khafi.
L’11 gennaio 1992 inizia una sanguinosa guerra civile, in seguito ad un colpo di stato militare che annulla le prime elezioni legislative libere mettendo fine ad un’enorme speranza di cambiamento nata da un processo pacifico di autodeterminazione all’indomani del massacro di oltre 600 adolescenti nell’ottobre del 1988.
Il bilancio umano provvisorio di questa tragedia, ancora in essere, è spaventoso: oltre 200.000 morti (fra cui molte esecuzioni extragiudiziali da parte di forze di sicurezza, milizie armate dallo Stato e gruppi di opposizione, nonché uccisioni di civili da parte di gruppi di opposizione islamici), detenzione segreta e senza accusa, sparizioni forzate e involontarie (più di 7.000 casi secondo Amnesty International), mancanza di inchieste ed occultamento di prove, mancata applicazione delle norme contemplate nel Codice Penale e nel Codice di Procedura Penale, istituzione parziale di indagini su casi di uccisioni, massacri, sparizioni ed esecuzioni extragiudiziali, fallimento nel tradurre in azioni concrete i risultati delle Commissioni di Inchiesta, ritrovamenti di fosse comuni, applicazione di tortura da parte delle forze dell’ordine, perdurare della forte atmosfera di paura che impedisce il compiersi della giustizia, limitata libertà di associazione e di espressione, centinaia di migliaia di orfani, oltre un milione e mezzo di profughi interni e svariate centinaia di migliaia di rifugiati all’estero.
Nonostante la violenza del conflitto si stia lentamente placando rispetto al passato, le uccisioni continuano e l’impunità continua ad essere un ostacolo chiave. La libertà di espressione ed assemblea continua ad essere estremamente limitata. Attivisti per i diritti umani e giornalisti rischiano costantemente l’arresto e la detenzione. Le donne continuano ad essere oggetto di discriminazioni sia per legge che nella pratica.
La situazione sociale ed economica è estremamente compromessa e circa la metà della popolazione algerina vive al di sotto della soglia di povertà. Sono ricomparse malattie che si credevano debellate in Algeria, come il tifo, il colera, la tubercolosi, per non parlare dei mali sociali come la prostituzione, l’uso di droghe e lo sfruttamento dei bambini. A tutto questo si aggiunge la catastrofe ecologica provocata dal disboscamento, dall’utilizzo del napalm, dagli esodi forzati in città che sono ormai asfissiate, dallo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali come la sabbia.
Contrariamente all’immagine idilliaca che chi detiene il potere in Algeria vorrebbe dare all’opinione pubblica internazionale, questi anni di politica di guerra suicida – che persiste – oltre a lasciare sul campo centinaia di migliaia di morti, non hanno affatto regolato la profonda crisi che già esisteva nel Paese, ma – anzi – l’hanno aggravata tanto sul piano politico e sociale che su quello economico. L’Algeria è uno Stato di non-Diritto, dove il solco fra la popolazione che subisce ed il Potere disconnesso dalle realtà nazionali che continua la sua corsa sfrenata diventa sempre più profondo e pericoloso. L’ingiustizia e l’arbitrarietà del Regime e delle sue istituzioni alimentano il malcontento popolare e l’opposizione violenta di giovani che non riescono a vedere un futuro. E’ necessario ritrovare la pace e la stabilità politica, cosa che permetterebbe ai cittadini di autodeterminarsi liberamente e di scegliere la propria strada. Soltanto uno Stato di Diritto e le sue istituzioni democraticamente elette possono assicurare e garantire il rispetto della dignità umana e permettere la ricostruzione del Paese.

 

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Fonti:
it.wikipedia.org

www.algeria-watch.org
web.amnesty.org


 

 
 

 

 
 


agli incroci dei venti, 13 aprile 2006

 

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