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Nel recinto
chiuso
di
Vincenzo Andraous
Ancora minori
protagonisti di accadimenti delinquenziali.
Giovani, tutti dentro il recinto chiuso delle emozioni, arena eretta a
olimpo ove schierare senza alcun collare, limiti e frustrazioni,
mancanze e assenze irrappresentabili.
Giovanissimi con lo zainetto a spalla e le cerniere calate in basso,
pronti a riempire il fondo di avventure disperanti, di sfide impari
all’impazienza.
Studenti di oggi e professionisti di domani, ognuno con il proprio libro
aperto sul letto, dimenticato alla pagina relegata a misera
giustificazione di stanchezza.
Famiglia, scuola, oratorio, agenzie educative sconfitte dai messaggi
mediatici, dalle estetiche dirompenti, dalle tasche vuote da riempire di
denaro e piacevoli rese.
Qualche volta occorre ritornare sull’uscio della propria memoria, senza
paura di inorridire, rammentare e rileggere e rielaborare con chiarezza
cosa è accaduto in ciascuno di noi a quell’età, soprattutto cosa è
venuto a mancare, inconsapevolmente, magari premeditatamente.
Diluizione energetica è termine scientifico, per addetti ai lavori,
insomma, per pochi intimi, eppure dovrebbe diventare dinamica di tutti i
giorni, pratica quotidiana, affinché il più difficile dei ragazzi, entri
in possesso della chiave di accesso, all’agire con il proprio cuore e
l’altrui misura.
Aiutare a portare fuori le parole, aiutare chi trasgredisce o infrange
la norma condivisa, a dialogare con il proprio fuoco, con il proprio
compagno di viaggio, pancia a terra.
Aiutare il minore significa rimanere in ascolto davvero, silenzio non
verbale, sino alla fine dell’incubo, per poi farne traccia di un
percorso di risalita, di risposte comprensibili e sensibili, quindi non
solo accudenti, ma promotrici di un’attenzione forte a un disagio che è
riflettente il nostro disamore a quella cura dovuta ai nostri figli, che
ci induce a deresponsabilizzare il nostro ruolo, troppo spesso impegnati
a inseguire traguardi ben più gratificanti.
Nel branco che colpisce, c’è il bullo che eccelle, che vince e impara a
non fare prigionieri, la violenza è lo strumento di riordino delle idee
piegate di lato, per ottenere una sorta di potere contrattuale, rincorso
per arginare chi deride, peggio, opprime con l’indifferenza.
Ragazzi difficili con cui però bisogna convivere, ai quali consegniamo
dell’idolatria dell’immagine, a grimaldello per ogni difficoltà che si
presenti a sbarrare il passo.
Piccoli delinquenti crescono intorno, nonostante i nostri sforzi, i
nostri consigli per gli “ acquisti “ chiaramente disinteressati,
soprattutto indicanti una cultura dei bicipiti bulimici.
Ancora pugni nello stomaco al più debole, ancora violenza sulla
ragazzina meno arrendevole, ancora disvalori del libero mercato,
nuovamente la vita è afferrata come uno scherzo, perché non c’è nulla di
buono da aspettarsi dalle proprie capacità.
Minori a rischio tra trasgressione e devianza, ragazzi a perdere nel
mondo degli adulti che perde contatto con la pazienza della speranza,
non scommette più sul potenziale dei propri figli, non ne supporta più
la crescita, come a voler sottolineare che non tutte le persone sono
preziose, ma solo poche hanno contenuti da salvaguardare.
Forse c’è un’altra priorità oltre la risposta penale, forse c’è un’altra
esigenza da cogliere, una possibilità per disinnescare le varie
esistenze monche, forse c’è l’urgenza di investire nelle proprie energie
interiori per tentare interventi efficaci, affinché risulti in “fuori
gioco“ la pratica del “ fare da sé fa per tre “, per apprendere invece
il valore di una strategia che parta dal rispetto per se stessi, e
giungere alla considerazione e alla fiducia dell’altro.
Di fronte ad azioni criminali, tragedie conflittuali, commesse dalle
baby gang, è pericoloso e fuorviante ritenerle una concausa della
corresponsabilità di una società, così per la stessa responsabilità
morale che dovrebbe esercitare interventi preventivi mirati.
Forse occorrerebbe imitare lo stile educativo di don Franco Tassone
della Comunità Casa del Giovane, il quale come un buon padre, pone
domande ai suoi giovani ospiti, piuttosto che impartire ordini
disimpegnanti.
Come ho detto poc’anzi, agli studenti di oggi, bisogna credere, appunto
per fare uscire i professionisti di domani, e non soltanto per puro
interesse collettivo, ma perchè se ci si sente accettati, coinvolti a
dare il meglio di sè, non si ha necessità di attirare l’attenzione con
gesti eclatanti, destinati alla follia più lucida.
vincenzo.andraous@cdg.it
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