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C’è ancora posto per i sentimenti?
di Laura Montanari
 

Alla domanda chiave dell’ultimo appuntamento del ciclo “Leggiamo e parliamone insieme” organizzato dal Punto d’incontro “Ai Cappuccini” di Ravenna, tenutosi mercoledì 10 maggio scorso presso l’aula magna del Liceo Scientifico, rispondono in modo antitetico le parole di due autori classici latini ( come sempre, a dare l’avvio alla riflessione sul tema, la rubrica “Le parole degli Antichi”). L’epicureo Lucrezio ammonisce che nulla è più dolce che abitare là in alto i templi sereni del cielo saldamente fondati sulla dottrina dei sapienti, ovvero propone ai miseri uomini in continuo affanno, una lezione di imperturbabilità. Non c’è posto dunque per i sentimenti! Plinio il giovane invece, dimostrando sensibilità verso i suoi schiavi, sostiene che è proprio dell’uomo essere colpito dal dolore, provare la forza dei sentimenti e tuttavia cercare di resistere e cercare consolazioni, non già non avere bisogno di consolazione. Una bella lezione di umanità. E nello stesso tempo la sottolineatura che vivere i sentimenti significa battagliare, patire, e avere quindi bisogno della relazione con gli altri!
Due concetti più avanti ripresi e sviluppati dal Dr. Roberto Moretto, medico psicoterapeuta ad indirizzo psicoanalitico, intervenuto nel ruolo di voce laica, che si possono anticipare in sintesi nelle due affermazioni fondamentali, che è faticoso sentire i sentimenti, perché hanno a che fare con la coscienza, e che andare verso l’altro è necessario e vantaggioso, perché aiuta il superamento dei limiti della propria soggettività, la cui percezione fa stare male l’uomo.
Anche gli studenti Stella Serra e Donato Di Jorio, portavoce della classe IV G del Liceo Scientifico “A.Oriani”, Lacchini Francesca e Rebecca Zagnoni, in rappresentanza delle classi III A e IIIB del Liceo Classico “D.Alighieri” (indirizzo Psicopedagogico) hanno riconosciuto che i sentimenti nascono nella dimensione interpersonale e sociale, ma innanzitutto hanno rivendicato con forza l’importanza dei sentimenti sia nella formazione e nella espressione del sé sia come valore per la società. Vibrante, la lettura che il giovane Di Jorio ha fatto della poesia da lui stesso composta : “E’ un fiume che scorre tra i meandri dell’anima, un ascensore di emozioni che scende, che sale per sempre indomabile, irrefrenabile...una continua palpitazione che cresce, diminuisce e poi s’acquieta, come il sole al tramonto...è il sentimento.” Una poesia come una sorta di sì, c’è posto, come calda difesa del patrimonio affettivo, universale degli uomini, pur in tempi diversi e nelle loro diversità. La testimonianza delle studentesse del Classico, frutto della coinvolgente esperienza vissuta con i ragazzi della Comunità di S. Patrignano, ha definito come dono per gli altri e soprattutto per se stessi la presa di coscienza dei sentimenti, la capacità di parlarne, di raccontarli e di ascoltare quelli dei compagni: “le relazioni, per i giovani che hanno avviato il recupero dalla tossicodipendenza, non nascono più dalla condivisione di oggetti che portano ad illusoria felicità, ma nascono dalla condivisione empatica dei sentimenti” .
Non è però facile, hanno confessato gli studenti, dare un nome alle mille sfumature dei sentimenti, quando è luogo comune identificare “il sentimento” con il sentimento d’eccellenza, l’amore, non è facile definire con chiarezza che cosa sono i sentimenti e soprattutto esternarli, comunicarli: per pudore o per timore i giovani fanno fatica a renderli partecipi agli altri, se non entro il piccolo gruppo di amici, luogo deputato alla confidenza, all’analisi, al confronto di ciò che il cuore prova.
E’ stata quindi un’utile, bella “lezione” la chiacchierata del Dr. Moretto, che ha chiarito in termini di dimensione spaziale e di linguaggio il significato da attribuire ai sentimenti, distinguendoli dalle emozioni e dall’umore, con cui per altro sono in stretta parentela, e il valore delle relazioni da cui essi scaturiscono, relazioni di vicinanza, di opposizione, di condivisione di uno spazio soprattutto simbolico che intercorre fra l’ io e l’altro ( una persona, una realtà )
E’ la relazione che consente la maturazione dei sentimenti nel dialogo continuo e difficile con quella coscienza che rappresentò un salto di qualità nel processo evolutivo. I sentimenti infatti, strettamente connaturati con la sfera biologica e intellettiva della persona, sono anch’essi come le emozioni condizionati dalle situazioni ed esperienze esterne, in modo meno forte, meno immediatamente reattivo, e più durevole. Ma lo spazio simbolico tra l’io e l’altro può essere di eccessiva vicinanza, tanto da creare il rischio della dipendenza, con le negative conseguenze affettive derivanti, oppure di eccessiva lontananza, che può alimentare una libertà insofferente di limiti, causa di separazione. Solo se nella relazione è possibile riconoscere la differenza tra sé e gli altri per potersi permettere di sentire la fondamentale uguaglianza fra sé e gli altri, di cogliere l’altro dentro di noi, nasce la condivisione, l’empatìa. L’altro è dunque paradigma tra soggettività e oggettività, tra la libertà esasperata, la follia e la norma.
Innegabile la ricchezza e l’intensità delle possibili modulazioni dell’affettività, tanto che i sentimenti non sono definibili in modo univoco, soggetti a cambiamenti nel tempo, spesso responsabili di laceranti contrasti interiori, incontrollabili nell’insorgenza, e possono riguardare più ambiti, sensoriale, vitale, psichico, spirituale, come gli studi scientifici insegnano.
Testimonianza della forza e della universalità dei sentimenti è stata portata al pubblico presente, folto di giovani studenti, sia dagli stralci di testi classici in prosa e poesia ( Catullo, Properzio, Ovidio, Virgilio, Tibullo, Cicerone) sia dalla proiezione di immagini ( per la rubrica curata come sempre da Donatella Senno e Roberto Tonelli) sia dall’intervento di padre Dino Dozzi.
In una breve carrellata di emozioni, la voce della giovane attrice Francesca Mazzoni ha reso le sfumature dell’amore, dagli affetti familiari e dalla fraterna amicizia alla passione amorosa che si consuma nell’odio; dall’amore per la pace e dall’amor di patria al fiero sdegno contro il traditore, dalla pietas verso i vinti al furor omicida. Le belle immagini hanno suggerito, spesso metaforicamente, una gamma di sentimenti che l’uomo di oggi vive in relazione alle caratteristiche e agli eventi della società, sempre più presenti nella dimensione privata per l’invasivo potere mediatico.
Le parole di padre Dozzi hanno dato ampiezza e vigore al tema , e forse sorpreso, affermando che in pochi testi come la Bibbia c’è “tanto posto per i sentimenti”, a partire dai sentimenti di Dio, di infinita bontà ma anche capace di manifestare ironia o collera, e di Gesù, che si commuove, compatisce, ama gli amici, soffre, piange...una ricchezza di sentimenti a prova del suo “essere uomo”. E poi, l’amore esuberante di Francesco di Assisi, che quando gli prende il cuore e l’anima, stravolge la sua vita, lo apre al rapporto caldo e spontaneo e al dialogo con le creature della natura, con i fratelli, con i malati, i poveri, i diversi, perché è soprattutto amore per il suo Dio, di cui cerca costantemente segni della presenza e a cui si rivolge con una linguaggio da innamorato incontenibile. Dal Santo, dunque, un invito alla piena legittimità dei sentimenti.
Una sollecitazione necessaria, a contrasto con l’imperante razionalismo di oggi, che sostiene il primato delle idee e delle conoscenze chiare e distinte sull’affettività autentica, sul sentire del corpo e del cuore. Padre Dozzi ha ammesso che anche la religiosità e la teologia sono andate verso il primato del “logos”, lasciando i sentimenti alle devozioni, ai pii esercizi, alla religiosità popolare, dimenticando spesso il grande insegnamento di Romano Guardini, secondo cui “è l’uomo intero che prega”. Occorre dunque vigilare sulla mistificazione dei sentimenti e avere il coraggio di riconoscerli e di chiamarli per nome, senza troppa paura o vergogna, perché “non siamo responsabili del loro sorgere, ma del modo con cui li accogliamo e li gestiamo”.
Gli studenti da un lato hanno riconosciuto alla ragione la funzione di controbilanciare l’esasperazione dei sentimenti, dall’altro hanno ammesso il rischio della mistificazione, la difficoltà di distinguere i veri sentimenti da quelli falsi, a causa soprattutto dell’azione della televisione che in molti programmi, tra show, fiction e reality, si pone l’obiettivo di rappresentarli; ma spesso si ha l’impressione che si dia troppo peso all’apparire, che i sentimenti vengano non solo simulati ma anche amplificati perché proprio la loro sottolineatura garantisce maggior visibilità. Ma di nuovo i giovani hanno rigettato la denuncia di “analfabetismo dei sentimenti”, almeno per quanto li riguarda, ribadendo piuttosto che l’espressione della loro interiorità è spesso inibita dai condizionamenti dei contesti o dei ruoli che occupano, dal timore del giudizio degli adulti, e hanno anche sottolineato che le differenze che appaiono fra ragazze e ragazzi, definiti spesso duri, refrattari ai sentimenti, riguardano soprattutto un diverso modo di manifestarli.
Al Dr. Moretto le conclusioni, in una panoramica di sintesi sui caratteri della nostra società in rapporto al tema. Certo non promuove correttamente la “cultura dei sentimenti” una società che li spettacolarizza, che persegue la linea dei “sentimenti fuori, e non dentro”, che punta soprattutto sulle emozioni, immediate, che si consumano in fretta più forti sono. La società dei cellulari, che bruciano i preziosi tempi dell’attesa, e dunque della lenta e consapevole maturazione del sentimento; degli sms, che negano la voce, e perciò nella relazione limitano la possibilità di comprendere a fondo il sentire dell’altro. La società in cui sempre più si usa il corpo come codice del linguaggio dei sentimenti, il corpo esibito, fotografato, addirittura col videotelefono, che illude di creare una più intensa comunicazione, ma in realtà toglie spazio alla libertà, alla fantasia. La foto rischia di rubare l’anima, mentre la voce la esprime. L’invito è dunque quello di “uscire dalla società dell’occhio, per rifondare quella dell’orecchio” ovvero di dare più spazio all’ascolto, all’ascolto degli altri come disponibilità a comprenderli, a condividere, come già gli studenti del Classico avevano asserito, traendo spunto dalla loro visita a S.Patrignano, e insieme all’ascolto di se stessi, per divenire consapevoli di ciò che si sente nel profondo. Questo “tendere verso” l’altro per misurare anche se stessi è anche alla base della relazione sentimentale per eccellenza, dell’amore di coppia; sollecitato dalla domanda di una giovane, lo psicoterapeuta ha accennato in breve alla importante differenza dei processi psicologici e affettivi tra i due sessi, che tuttavia non rende incompatibili, anzi pone la bella sfida di incontrarsi, di agire reciprocamente per far maturare e conciliare il maschile e il femminile che sono in ogni soggetto. Il gioco dei ruoli sta cambiando nell’attuale società, sta pur lentamente attuandosi una maggior ricchezza e intensità di scambio fra uomini e donne: se sarà difficile e lontana la realizzazione del mito dell’androgino, bisogna comunque credere nell’amore di coppia, rinunciando al mito, anche pubblicitario, del sentimento puro e perfetto, imparando cioè ad “amare l’altro, malgrado che...” .
Come viatico per il cammino dei giovani studenti, si può dunque lanciare l’appello “Un sentimento tiene alta la vita” , in copertina del n. 3 (marzo 2006) di “Messaggero Cappuccino”, la rivista che ha costituito la base di partenza per la serie degli incontri per dialogare, tra adulti e giovanissimi, credenti e laici.


Laura Montanari
responsabile del Gruppo cultura del Punto d’incontro “Ai Cappuccini”
 

 
 

 

 
 

agli incroci dei venti, 15 maggio 2006

 

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