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Alla luce di...
di Laura Montanari
 

Sarei tentata di considerare l’incontro, pur breve, con Lea Melandri come una di quelle “coincidenze illuminanti” che talora sorprendono la nostra vita, istintivamente avvertite, riconosciute, soprattutto alla luce degli effetti conseguenti.
Ho accettato di partecipare, sabato 11 dicembre 2004, al Seminario “Le passioni di Lea”, di cui a dir la verità sapevo ben poco , perché invitata direttamente da Paola Patuelli, una donna che stimo, nonostante obiettassi di non aver seguito il corso dell’anno precedente, e perché solleticata dal fatto che, mi si diceva, si sarebbe parlato di scrittura….
Sono infatti in una fase della mia vita, la seconda a dire il vero, in cui la scrittura è per me una risorsa preziosa, indispensabile: questa volta, una risorsa di energia, di senso, di riconciliazione con l’esistere. Come, nell’altra, era stata il collante forte con cui comporre i mattoncini della mia vita in crescita, grazie a cui inquadrare in un insieme le tessere della mia personalità in formazione, per riconoscermi, per comprendermi.

“Scrittura d’esperienza”. Da Lea Meandri ho appreso come nominare quello scrivere di me, della mia vita, del mio universo di affetti, di sogni e di pensieri, delle altre donne, degli altri e del mondo visti da me, che ha sostenuto il corso di due fasi, diverse e distanti, della mia vita.
L’abito della scrittura in verità mi sta cucito sulla pelle, perché come insegnante, e in specifico come insegnante di Lettere, ho frequentato l’eterno gioco dell’alfabeto in mille forme, per mille scopi. Ma sempre, anche entro le maglie strette e costrette di verbali, relazioni, programmi, progetti, ho voluto lasciare qualche mio segno personale ( a livello di idee, impostazione, stile, parole…), in opposizione alla formalità burocratica, alla noia della routine.
Ho affidato in grembo alla “scrittura personale” vera e propria sette anni della mia adolescenza e prima giovinezza ( dai tredici ai vent’anni circa) , ad una pingue, rigogliosa messe di diari e lettere, e poi gli anni smarriti che corrono dall’età della pensione ad oggi, consegnati a frammenti a quelle che chiamo sbrigativamente (!) poesie, ma che in realtà sono “ emozioni e riflessioni in registro poetico”.
Ho cercato di catturare negli appunti che ho letto e riletto le parole di Lea ( un dire fluente di parole regalate con passionalità coinvolgente, un frequente, fermo ribattere di parole-chiave , di metafore e simboli pregnanti), e mi è venuto immediato il confronto fra il suo modo di intendere e di vivere la scrittura e il mio.
Nonostante le diverse vicende di vita, la diversità delle scelte, anch’io ho respirato l’aria delle sue stesse stagioni politiche, culturali ( siamo più o meno coetanee); ho orecchiato appena le voci del femminismo ma ho sentito nascere dentro di me le istanze nuove delle donne. Nonostante la diversità del linguaggio di Lea dal mio, ho ritrovato con lei vicinanza, corrispondenza, nel significato e nello scopo attribuiti allo scrivere delle donne, al rapporto fra scrittura e vita. Nonostante anche i “distinguo” che Lea fa tra varie forme di scrittura, perché quella “d’esperienza” o “del privato” abbia un suo territorio chiaro, ben connotato.
Alla luce di queste puntualizzazioni credo di poter dire in tranquillità che i diari e le lettere della mia adolescenza, come pure le mie “poesie” di oggi hanno lo spirito della “ scrittura d’esperienza”.

I diari fermano la mia storia di adolescente, una materia magmatica, ribollente, non la sequenza fattuale, cronologica, dei giorni e degli anni, ma il travaglio personalissimo del sentire e del pensare in continua , stretta relazione con le persone che esistevano accanto a me e con il contesto della Storia, di quegli Anni Sessanta, che mi passavano addosso, con i fermenti, i tumulti che li scuotevano.
Non li avevo dimenticati, questi sette anni di diari, ma li avevo volutamente lasciati da parte, in attesa del tempo opportuno, del montare del desiderio o della necessità della rilettura. Che in verità piuttosto potrebbe dirsi “lettura”, perché negli anni in cui scrivevo, vivevo e scrivevo, e guardavo avanti, seguivo la fuga del tempo che prometteva tanto, ma non assicurava nulla…Non c’era posto per la lettura di ciò che forsennatamente annotavo con tanta assidua frequenza ! Solo un anno fa, a distanza di quasi quarant’anni, mi sono buttata nell’impresa, sentito il bisogno di riappropriarmi di pezzi della mia vita, di ricucirne le fasi in un tutt’uno, attraverso il filo della memoria.
Lea Melandri mette in guardia dal rischio di questi viaggi a ritroso e a distanza lungo il corso della propria esistenza, rischio che può consistere nel “trovare un ordine di senso” là dove non c’era, e dunque di falsare la lettura di sé.
Ed effettivamente è il timore che ho provato anch’io durante il viaggio “di ritorno” lungo le pagine dei miei diari, in corsa veloce lungo il 1958,il 1960, il Sessantatre e così via. Mi sono sentita emozionata e inquieta, ed anche spaesata, sorpresa.. . Ero io quella che…? ? Che cosa oggi c’è rimasto di me, di allora ? Quali segni di me, allora, di quello che sarei diventata oggi ? Così ho scritto nell’ incipit della riscrittura “per temi” del mio diario, che mi è saltato in mente di intraprendere dopo la rilettura:

“ Ah, è davvero una bella impresa quella di ri-leggersi , di provare a riannodare i fili della propria vita . Bella , nel senso di difficile, rischiosa . Si può scoprire persino il tradimento di sé . Ma bella nel senso anche di recuperare davvero il proprio tempo, così come veramente è stato, di ripulirlo dalle falsature, dalle sovrastrutture che , anno dopo anno, vengono accumulate dalla memoria ingannevole o dalla immagine ideale di sé. Un diario ha le parole, gli umori, le immagini, i sentimenti , i pensieri, e persino gli odori della vita vera. Ne farò la riscrittura. Rivivrò un po’ di me . Ma dovrò stare attenta a evitare il filtro, il giudizio dell’ io da grande. E vorrò uscire anche da me, tirerò fuori dalle pieghe della mia adolescenza i contenuti di fondo, le costanti dei sentimenti, dei pensieri, dei comportamenti che non erano solo miei, ma di tutte le mie coetanee, dell’universo femminile che mi gravitava attorno in quegli Anni Sessanta, e forse dell’Adolescenza di tutti i tempi.”

Credo che si possa capire come, anche solo per queste prime considerazioni, l’incontro con Lea Melandri abbia assunto per me la valenza di una “coincidenza”, come ho dichiarato all’inizio.

Da un paio di anni sto raccogliendo nelle cartelle del computer le mie “emozioni e riflessioni in registro poetico” ( che svolta radicale, incredibile quasi a me stessa, quella che mi ha portato via via a percepire il monitor , mentre scrivo, come la faccia visibile della mia mente, il piano di rimbalzo dello scambio fra me e me!) .
Non nascondo di curarle singolarmente con ambizioni letterarie, e non nego di aver inviato a concorso qualche singola “poesia”, confortata da qualche successo, ma l’intero corpo poetico… è mio, custodisce e svela troppo di me stessa, perciò ho nei confronti di una pubblicazione lo stesso reticente pudore che avrei a mettere a nudo il mio corpo fisico.
Anche se Lea non riconosce alla scrittura che ha velleità letterarie lo stesso valore della “scrittura di esperienza”, credo che il mio scrivere si accosti molto a questa. (E del resto durante l’incontro ho obiettato a Lea che il suo linguaggio, parlato e scritto, non è certo banalmente prosastico, ma creativo, ricco di figure,e dunque sintonizzato sul registro poetico ).
La scelta del testo breve, all’opposto della furia logorroica dei diari adolescenziali, risponde ad un bisogno di sintesi, di essenzialità sia come punto di arrivo che fa chiarezza del mio dibattere interiore di sentimenti e di pensieri sia come ribellione all’abuso della parola, scritta e parlata, che spesso oggi camuffa il vuoto o l’inganno. Nelle mie intenzioni, le parole scelte, soppesate, combinate per analogia, condensate in metafore, più che dire, alludono, sono piccole porte che lasciano intravedere percorsi di riflessione su di me, ma soprattutto “su come va il mondo”, che sento gravare sulle mie spalle, da cui non riesco più a prendere le distanze, in questa fase matura d’età.

Finora, prendendo spunti da Lea Melandri, ho fatto riferimento soprattutto all’importanza della scrittura e alle sue modalità. Non ho trattato specificatamente il livello dei contenuti.
Di che scrive Lea Melandri ? di che scrivono le donne secondo Lea? di che scrivo io? Quali sono, in definitiva, i contenuti della “scrittura d’esperienza”?
Anche a questo proposito ho individuato una “ coincidenza”…
Dice Lea che “il sogno d’amore”, sogno di costruire o ritrovare l’interezza, di femminile/maschile, di corpo/mente, di sentimento/pensiero… è sempre presente nella scrittura delle donne.
La fase più intensa, più espansiva della mia scrittura, il diario settennale dell’adolescenza - prima giovinezza, è fondamentalmente il percorso di “come nasce il sogno d’amore” in me .
Mi trovo costretta ad accennare alle vicende personali, per dare sostegno a questa affermazione.

Ripensando più volte a quella tensione dominante e precoce, mi è stato facile interpretarla col fatto di aver vissuto gli anni dell’infanzia consapevole quasi esclusivamente immersa in un universo femminile ( due sorelle, madre e nonna materna. Mio padre morì , dopo qualche anno di malattia, quando avevo appena nove anni). Ho sofferto, con le antenne sensibili dei bambini, l’improvviso, traumatico e prolungato disorientamento del gruppo femminile abbandonato dalla predominante figura maschile. Il padre che guidava con autorità la famiglia. Il padre che dava sicurezza, perché portava a casa i soldi e difendeva dalle brutture del mondo, che solo lui conosceva. Il padre che dispensava il suo affetto e coccolava le sue donne…non c’era più. Ho elaborato chissà come il dolore nei cinque anni successivi, ho cercato chissà quali appigli per non farmi travolgere dalla paura di nuove perdite, dall’enigma della morte, dall’insicurezza di sabbie mobili quotidiane, mie e delle altre quattro donne accanto a me, finché precocemente ho incominciato a compensare la perdita del maschile ponendo al centro del mio immaginario il “sogno d’amore”, cercando l’altra metà che mi riportasse all’equilibrio della prima infanzia. Alle soglie dell’acerba adolescenza avevo già fatto la mia scelta, e si avviava così un lungo, accidentato percorso di costruzione del sogno d’amore, contro l’opposizione dura della famiglia, in un clima di “scandalo” ( fine anni Cinquanta!) che i pettegolezzi portavano in giro tra scuola e quartiere, con una determinatezza, una assoluta certezza di “vincere” la battaglia, con una tenacia , che posso spiegare più con il profondo bisogno di costruire la mia personalità, la mia compiutezza che con il ribellismo tipico dell’adolescenza.
Nei miei diari c’è il segno vivo di quella esperienza giovanile, che attraverso l’alternanza della sofferenza e della felicità mi portava da un lato a interrogarmi sulla mia primissima infanzia, sul rapporto fra mia madre e mio padre, sul mio diverso modo di relazionarmi con mia madre e con mio padre, e dall’altro a farmi le grandi domande sul senso della vita, sulla felicità/infelicità, sulla giustizia/ingiustizia, sul bene/male, sulla libertà/oppressione, ecc. Attraverso la scrittura sul sogno d’amore cercavo di recuperare quella che Lea chiama “la memoria del corpo”, di rintracciare la mia “preistoria” e insieme di trovare le chiavi di lettura del mondo che mi si apriva davanti.

Il mio sogno d’amore non ha conosciuto il pozzo della disillusione, e per questo posso razionalmente considerarmi fortunata, nonostante tutto. Quel primo ragazzo “oggetto d’amore”, alleato tenace della mia tenace sfida di affermazione di me stessa, di rivendicazione della mia libertà personale, è stato l’ unico compagno della mia vita (oggi vicenda inspiegabile, mitica) fino a dieci anni fa, fino alla sua morte.
Più volte mi sono chiesta che cosa ha consentito “la buona tenuta” di questa lunga storia di coppia, soprattutto da che si è conclusa, e mi sono data delle risposte. Dopo l’incontro con Lea, con il suo pensiero, ho cercato di andare più a fondo, di leggere il mio vissuto secondo le sue modalità interpretative della dualità femminile-maschile, e mi sono ritrovata a questa conclusione.

Il sogno d’amore nato dall’istanza di due adolescenti ancora incompiuti nel loro sé, ancora nel divenire della formazione delle individualità, ancora non compiutamente femminile io , non compiutamente maschile lui, ha avuto modo di fondarsi sul reciproco bisogno di “forgiare l’altro/a per forgiare se stessa/o ”. Nel corso di un lungo processo di mutamenti il mio femminile si è caricato di valenze del maschile, e viceversa: credo l’incontro precoce abbia preparato il terreno al reciproco scambio , un terreno ancora non indurito dai condizionamenti di “genere”, cosicché la percezione di resistenze o prevaricazioni è risultata molto attutita. Ci siamo così ritrovati in età adulta individui compiuti, eppure diversi, nelle condizioni di poter ri-sceglierci, di poter rifondare la relazione sulla separatezza e anche su una vivace, dialettica opposizione, ma nello stesso tempo sulla condivisione, sulla collaborazione. A quel punto, la fortuna di vivere l’amore.
Ora io, pur nella riprova di aver costruito in coppia la mia singolarità, perché giorno dopo giorno mi sono ritrovata a saper gestire un’economia non “di mera sopravvivenza”, non posso tuttavia negare di sperimentare anche il “faticoso obbligo di vivere per me”, ancor più faticoso perché il sigillo della frattura è stato imposto dalla morte.
La scrittura d’esperienza, che continua a guardare nelle viscere del mio essere, non solo in relazione al mio passato, ma molto anche in un legame empatico con gli altri attorno a me e con il mondo, è quindi a questo punto della mia vita assolutamente salvifica. Sta seminando in me un nuovo sogno, quello che Lea chiama “di rigenerazione”.

Spero che risulti da questa mia “confidenza” , il significato illuminante che ha avuto per me l’incontro con Lea Melandri. Da ciò si spiega anche il titolo che ho scelto.
 

 

Le passioni di Lea - Laura Montanari, Alla luce di... pp. 125-131. Longo Editore, 2006.
 

 
 

 

 
 

agli incroci dei venti, 5 marzo 2006

 

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