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Anna Achmatova. Appunti sulla giovinezza
di Silvia Golfera
 

Kiev, inizio del secolo scorso. Anna Gorenko, una ragazza di 18 anni, sta terminando il ginnasio. Ma della sua vita è scontenta. Il divorzio dei genitori l’ha allontanata dall’amatissima Pietroburgo, e ha reso più precarie le sue condizioni economiche. Vive presso parenti che perlopiù la infastidiscono: “Mi capita di avere momenti felici solo quando tutti escono…e io resto ad ascoltare il silenzio nel soggiorno buio…Non faccio che tacere e piangere, piangere e tacere” Ragazza sensibile e impressionabile, lamenta crisi cardiache, emicranie, insonnie e svenimenti. “…Ho la febbre, palpitazioni ed emicranie intollerabili. Non mi ha mai visto in uno stato così… Non ci sono soldi. La zia non fa che rimbrottare… Sono quattro notti che non dormo”. Qualche tempo prima, quando viveva a Evpatorija, in Crimea, con la madre, aveva addirittura tentato il suicidio: “Le ho raccontato che a Evpatorija ho tentato di impiccarmi a un chiodo e il chiodo è saltato via dalla calce del muro? Mamma ha pianto, io ho provato vergogna - una cosa orribile”. Si confida col marito della sorella, Von Stein, con cui ha intrecciato una amicizia calda e complice, non priva di una certa deferenza. Lui è un adulto, vive a Pietroburgo, e soprattutto è uomo di lettere, slavista e traduttore. Anija scrive poesie e si rammarica di non poter frequentare l’università: “Dove sono le Sue sorelle? Di sicuro a lezione, all’università, oh come le invidio! Io, ovviamente, non potrò mai frequentarla, solo un corso di cucina”.
Tuttavia ha già pubblicato qualche verso su alcune riviste letterarie, cosa non gradita al padre, che le chiede, per salvaguardare l’onore della famiglia, di usare almeno uno pseudonimo. I Gorenko appartengono alla piccola nobiltà. Nel loro ambiente l’attività letteraria è considerata occupazione non troppo decorosa. Una sorta di ripiego per chi non possa intraprendere carriera migliore. Anna decide allora di assumere il cognome, di origine tatara della nonna paterna: Achmatova. La famiglia della madre discendeva infatti da Achmat Kan, l’ultimo Kan dell’Orda d’Oro. C’è chi ha notato che questo nome ‘Anna Achmatova’, con la sonorità speciale prodotta dalle cinque A, fu il primo verso pienamente riuscito della poetessa.
Ma qualcosa nella vita di Anja sta per mutare. Ha deciso di cedere alla passione di un vecchio compagno di scuola, e di sposarlo: “Sposo il mio amico di gioventù Nikolaj Stepanovič Gumilëv. Sono ormai tre anni che mi ama, e credo che diventare sua moglie sia il mio destino. Non son certa di amarlo, ma mi pare di amare” confida al cognato il 2 febbraio del 1907. L’amore di Gumilëv per Anna era iniziato infatti già al ginnasio. Un ragazzo magro e allampanato, strabico e balbuziente, tenace e talentuoso (aveva iniziato a scrivere poesie a 5 anni), che non l’attraeva. Ma la sua testardaggine, gli innumerevoli versi che le dedicava, le ripetute minacce di suicidio, avevano avuto la meglio sui rifiuti di lei. Alla vigilia delle nozze scrive ad un’amica “Prega per me. Non c’è di peggio. Voglio morire”.
Si sposarono il 25 aprile del 1910 e partirono in viaggio di nozze per Parigi, dove Anna fece amicizia con un ancora giovane e sconosciuto Amedeo Modigliani, che le dedicò una famosa serie di ritratti.
Ma il matrimonio è subito in crisi. Gumilëv, che tanto ha fatto per averla, si sente oppresso dalla presenza di lei e i viaggi solitari, le infatuazioni per altre donne, lo allontanano sempre di più. Confessa ad amici di aver iniziato a tradire la moglie molto presto. Frequenti le scenate di gelosia. Rotture clamorose e improvvise riappacificazioni sono all’ordine del giorno.
Il 1912 è un anno particolarmente importante: nell’estate i coniugi compiono un viaggio in Italia, che resterà per l’A. “simile a un sogno, che ricordi per tutta la vita”. Inoltre esce, in sole trecento copie, la prima raccolta poetica di lei, Večer (Sera). Il libro va a ruba, molto ben accolto dalla critica.
Il primo ottobre dello stesso anno nasce il figlio Lev, di cui si occuperà soprattutto la nonna paterna, che insiste per ottenere il bambino, ritenendo l’Achmatova troppo giovane per un compito tanto gravoso.
Il 13 giugno del 1914, dalla tenuta di Slepnëvo dove trascorre le estati, Anna scrive al marito: “Caro Kolja, sono arrivata a Slepnëvo il 10. Ho trovato Lëvuška in buona salute, allegro e molto tenero… Pensi di tornare a Slepnëvo? O sarai a Pietroburgo ai primi di agosto?” Il 17 luglio la noia e le preoccupazioni iniziano a farsi sentire: “Comincio ad annoiarmi, il tempo si è guastato e prevedo un autunno precoce. Me ne sto sdraiata sul divano per giornate intere…Penso che in autunno avremo molti problemi con i soldi. Io non ho nulla, tu, di certo, nemmeno…Ti prego di non dimenticare che le nostre cose sono impegnate”.
In realtà la guerra è alle porte e i suoi echi angosciosi arrivano anche in campagna. Come trapela dalle parole ad un amico: “Qui regnano il silenzio, la noia e un po’ la paura. Le notizie che arrivano da fuori sembrano del tutto inverosimili… ogni cosa intorno è così offuscata, frusta e, soprattutto, legata a una serie di avvenimenti amari”.
Il 1° agosto la Russia entra nel conflitto.
Più tardi, Anna, con una sensibilità da storica, affermerà che proprio in quell’anno, e non come da calendario, si era aperto il terribile ventesimo secolo, e che l’immane tragedia di quella guerra avrebbe aperto la strada a tutte le catastrofi successive.
Gumilëv parte volontario, mentre a Pietrogrado (la città ha assunto un nome più slavo) la situazione è sempre più difficile. Un senso di minaccia e di rovina grava sulla città. Anna, di nuovo in campagna, nel 1915, scrive all’amico poeta Sologub: “Vivo in campagna con mio figlio, Nikolaj… è partito per il fronte e non sappiamo più nulla di lui ormai da due settimane”.
Ma la fama di poetessa è ormai incontrastata. In questi anni, assieme a un nutrito gruppo di scrittori e artisti, domina la scena culturale della capitale russa. Nel 1915 avrebbe dovuto partecipare a una serata poetica al fianco di Marina Cvetaeva, altra grande voce femminile di questo inizio secolo. È il loro primo incontro. Critica e pubblico tendono naturalmente a suscitare rivalità fra le due poetesse, quasi coetanee, di notevole fascino entrambe, una pietroburghese, l’altra moscovita. Anna, all’ultimo momento, viene trattenuta da un malessere. Marina avverte cosa ci si attende da lei e prima di iniziare avanza verso il pubblico, dichiara la sua infinita ammirazione per la “rivale” e la definisce, con un’espressione felice, “Anna di tutte le Russie”.
La guerra va male. I soldati e la popolazione sempre più stufi di un macello di cui non si intravede la fine. Pietrogrado precipita nel caos. Per le strade della città si spara. L’esercito carica i passanti, sui tetti delle case vengono appostate le mitragliatrici. Nel marzo del 1917 lo Zar Nicola II abdica. In ottobre il colpo di stato di Lenin. La situazione precipita: folle inferocite danno l’assalto ai magazzini e alle riserve di alcolici, fazioni rivali si affrontano.
Nel 1917 Anna scrive alla suocera: “Non arrabbiarti con me per il mio silenzio, è molto dura per me in questo momento”. Il marito rientra in Russia solo nel 1918, in una Pietrogrado ormai inselvatichita e affamata, che ha perso lo status di capitale. A quanti lo sconsigliano, lui che ancora professa la sua fedeltà monarchica, risponde sprezzante: . “Mi sono battuto per tre anni contro i tedeschi, ho cacciato i leoni in Africa…Pietrogrado? Non sarà più pericolosa della giungla?”.
Ma il primo problema da affrontare è il divorzio da Anna. Nonostante il rapporto sia consumato da tempo, reagisce con sorpresa alla richiesta di lei. E di più alla notizia del nuovo matrimonio di Anna con l’eccentrico orientalista e assiriologo Šilejko.
Tutto in realtà è cambiato. La vita spensierata della Pietoburgo di inizio secolo è definitivamente tramontata. L’esistenza sempre più precaria e cupa. Nonostante ciò né lei né l’ex marito si sentono di aderire alla scelta di molti, l’esilio. Il prezzo è durissimo: Gumilëv viene fucilato il 25 agosto 1921, accusato di aver partecipato a un presunto complotto controrivoluzionario. Achmatova, additata come prototipo di un mondo vecchio e superato, sarà emarginata e ridotta al silenzio. “Occorre portare la croce” affermerà per spiegare la propria scelta, che a molti appariva folle. “Requiem”, il poema alla Leningrado martoriata degli anni ’30, inizia con questi versi:
“No, non sotto un cielo straniero,
non al riparo di ali straniere:
io ero allora col mio popolo,
là dove il mio popolo, per sventura, era".


golferasi@yahoo.it

 

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agli incroci dei venti, 2 marzo2006

 

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