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Ci sono ancora
tante ragioni per continuare a lottare
di
Arianna Ballotta
Difficile da credere, ma
ancora oggi – nel 2006 – l’infibulazione o, piu’ in generale, le
“mutilazioni genitali femminili”, vengono praticate in molte societa’ di
stampo patriarcale e da molti gruppi etnici, dalla costa orientale a
quella occidentale dell'Africa, nelle zone meridionali della penisola
arabica e lungo il golfo persico e con frequenza sempre maggiore tra
alcune popolazioni di immigrati in Europa, Australia, Canada e Stati
Uniti.
Il termine ‘infibulazione’ deriva da ‘fibula’, che era una spilla da
abbigliamento usata dagli Antichi Romani per fermare le vesti. Ma non
solo per fermare le vesti. Infatti, si sa per certo che gli Antichi
Romani erano soliti praticare l’infibulazione sulle schiave per evitare
che potessero avere rapporti sessuali, perche’ la gravidanza era un
elemento che riduceva l'attivita’ lavorativa: meno le schiave erano
gravide, piu’ potevano lavorare. Inoltre, spesso infibulavano anche le
loro mogli per evitare che avessero rapporti sessuali con sconosciuti
mentre erano in guerra. Ma da quando esistono le mutilazioni genitali?
Secondo Aldo Morrone [1],
specialista in Dermatologia e Venereologia e responsabile del servizio
di Medicina Preventiva delle Migrazioni e Dermatologia Tropicale
dell'Ospedale San Gallicano di Roma, “[…] la piu’ antica fonte
conosciuta, che registra la pratica, e’ Erodoto, vissuto nel V secolo
a.C. Egli afferma che l'escissione era praticata gia’ dai Fenici, dagli
Ittiti, dagli Etiopi e anche dagli Egiziani. […]”.
Pratica molto antica, dunque. Ma cos’e’ esattamente l’infibulazione?
L’infibulazione [2]
e’ una mutilazione dei genitali femminili per motivi non terapeutici. L'OMS
ha distinto le mutilazioni genitali in quattro tipi differenti a seconda
della gravita’ per il soggetto:
1. Circoncisione o infibulazione “as sunnah” (sunnah in arabo
significa “pratica” o “tradizione”): si limita alla scrittura della
punta del clitoride con fuoriuscita di sette gocce di sangue simboliche;
2. Escissione “al uasat”: asportazione del clitoride e taglio totale o
parziale delle piccole labbra;
3. Infibulazione o circoncisione faraonica (detta anche ‘sudanese’): e’
la forma più estrema di mutilazione. [1]
Consiste nell'asportazione completa del clitoride, delle piccole labbra
e della superficie interna delle grandi labbra. I due lati della vulva
vengono poi cuciti insieme con spine di acacia, suture in filo di seta o
in catgut in modo che la guarigione della parte restante delle grandi
labbra provochi la formazione di un ponte di tessuto cicatriziale sulla
vagina. Una piccola apertura viene mantenuta mediante inserimento di un
corpo estraneo (un tubicino, una cannuccia) per consentire il passaggio
dell'urina e del flusso mestruale. Le gambe vengono talvolta legate
insieme per diverse settimane allo scopo di facilitare la formazione del
tessuto cicatriziale. Dopo l'escissione chirurgica e la formazione del
processo cicatriziale, la donna e’ costretta durante il rapporto
sessuale a sottoporsi ad una graduale dilatazione da parte del marito
che puo’ durare giorni, settimane o addirittura mesi. Con il parto la
donna deve essere sottoposta a deinfibulazione per consentire il
passaggio del bambino. Dopodiche’ i margini scoperti vengono nuovamente
suturati (re-infibulazione);
4. Nel quarto tipo sono inclusi interventi diversi di varia natura.
Queste pratiche sono eseguite in eta’ differenti a seconda del gruppo
etnico e della zona geografica. [1]
In alcuni gruppi le mutilazioni vengono eseguite sulle neonate; piu’
comunemente vengono praticate tra i 4 e i 10 anni di eta’, ma possono
anche essere eseguite nell'adolescenza o persino al momento del
matrimonio o durante la prima gravidanza. Le operazioni durano circa
15-20 minuti, sono eseguite con coltelli speciali, forbici, scalpelli,
pezzi di vetro o lame di rasoio. Gli strumenti, purtroppo, spesso
vengono utilizzati e riutilizzati senza essere stati sterilizzati. Le
operazioni vengono solitamente effettuate da una donna piu’ anziana
della comunita’ preposta in modo specifico per questo compito e dalle
persone che tradizionalmente assistono la donna durante il parto, anche
se in alcuni casi, viene richiesto l'intervento di personale sanitario,
come ostetriche e medici.
Mentre il primo tipo di mutilazione e’ puramente simbolica e non
comporta quasi nessuna conseguenza, le altre - e soprattutto la terza -
ledono in modo molto grave sia la vita sessuale che la salute delle
donne, ed e’ soprattutto contro quest'ultima che si adoperano i
movimenti per l'emancipazione femminile, soprattutto in Africa.
L'infibulazione faraonica e’ spesso considerata parte di alcune culture
religiose, ma in realta’ e’ frutto di culture sociali maschiliste (si
pratica in societa’ di religione islamica, cattolica, ebraica e
politeista), dove ancora oggi la donna viene considerata un essere
inferiore, con una sessualita’ da reprimere e condannare. La pratica
dell'infibulazione faraonica ha lo scopo di conservare e di indicare la
verginita’ al futuro sposo e di rendere la donna una specie di oggetto
sessuale incapace di provare piacere nel sesso. La sessualita’ femminile
viene purtroppo ancora vista, nelle comunita’ che praticano le
mutilazioni genitali femminili, come un istinto impuro che deve essere
controllato (alla donna viene impedita persino la masturbazione). In
diversi sostengono che tali pratiche siano molto importanti dal punto di
vista culturale e che siano prescritte in alcune ahadith del profeta
Maometto, cosa della quale non esiste pero’ alcuna prova, mentre - come
detto - esiste prova che l'infibulazione ha origini molto più antiche.
Dal punto di vista della salute, le conseguenze per la donna sono molto
gravi. Le complicanze possono essere immediate, con il decesso e
l'emorragia, oppure con shock per l'improvvisa perdita di sangue o per
dolore e trauma. Altre conseguenze sono tetano, setticemia, ritenzione
urinaria con infezioni del tratto urinario, difficolta’ di
cicatrizzazione, fratture, infertilita’, cheloidi, cisti e ascessi
vulvari, neuroma clitorideo ed altro ancora. La disfunzione sessuale e’
spesso a causa di rapporti sessuali dolorosi. Anche la dispareunia
[dolore durante il coito] e’ una conseguenza di molte forme di
mutilazione genitale femminile a causa della cicatrizzazione, della
ridotta apertura vaginale e delle complicanze come le infezioni. Di
conseguenza esistono difficolta’ oggettive nel prestare cure
ginecologiche e spesso un adeguato esame ginecologico non puo’ essere
eseguito senza procedere ad una incisione.
Poi ci sono gli aspetti psicologici: per molte bambine, la mutilazione
genitale e’ una enorme esperienza di paura, sottomissione, inibizione e
soppressione di sentimenti e pensieri. Questa esperienza diventa un
vivido punto di riferimento nel loro sviluppo mentale, il cui ricordo
persiste per tutta la vita. L'esperienza della mutilazione genitale e’
comunemente associata a problemi psicosomatici e mentali, sintomi e
disturbi che colpiscono un'ampia gamma di funzioni cerebrali. D’altro
canto, le donne che decidono di opporsi a tale pratica, vengono
emarginate dalle loro stesse comunita’, additate come “puttane” e non
riescono a trovare marito.
Attualmente [1]
le stime del fenomeno si basano su una serie di studi pubblicati in
letteratura, su rapporti inediti e sui risultati ottenuti da piu’
recenti indagini demografiche e sulla salute. Per i Paesi in cui erano
disponibili sono stati presi in considerazione risultati attendibili,
per dimensione del campione e rappresentazione della distribuzione
territoriale. Sulla base di queste cifre si stima che piu’ di 132
milioni di donne e bambine siano state sottoposte a mutilazione genitale
e che ogni anno all'incirca 2 milioni di bambine siano a rischio di
essere sottoposte ad una qualsiasi forma di mutilazione. La maggioranza
delle bambine e delle donne che sono state sottoposte a mutilazione
vivono in 28 paesi africani.
E’ emerso che in Italia vivono alcune decine di migliaia di donne
infibulate e, ogni anno, numerose bambine con genitori provenienti
soprattutto dai paesi dell'Africa sub-sahariana rischiano di essere
sottoposte a questo rituale. [3]
Secondo alcune ricerche effettuate tra le donne immigrate sarebbero
oltre 40 mila nel nostro Paese le donne che hanno subito mutilazioni
sessuali, e ogni anno almeno 6 mila bambine di eta’ compresa fra i 4 e i
12 anni sono sottoposte a questo tipo di violenza. Per lo piu’ si tratta
di immigrate di origine somala e nigeriana e delle loro figlie.
Fino ad ora solo tre Paesi in Europa (Regno Unito, Svezia e Norvegia)
avevano vietato specificamente questa pratica. In Italia, nei rari casi
in cui venivano sporte denunce, per stroncare il fenomeno si applicavano
gli articoli 582 e 583 del C.P., relativi alle lesioni personali. Ora
finalmente anche in Italia e’ stata approvata la
Legge 09.01.2006 n° 7 (G.U. del
18.01.2006) che abolisce le mutilazioni genitali femminili.
Con l’entrata in vigore di questa legge, chiunque verra’ giudicato
colpevole di praticare l’infibulazione sara’ punito con la reclusione da
4 a 12 anni, ai sensi del nuovo art.583-bis introdotto nel Codice Penale
e, se la mutilazione verra’ compiuta su una minorenne e in tutti i casi
in cui viene eseguita per fini di lucro, la pena verra’ aumentata di un
terzo. Agli operatori sanitari che praticheranno l'infibulazione sara’
interdetto l'esercizio della professione.
Le disposizioni si applicano altresì quando il fatto e' commesso
all'estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia,
ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in
Italia. In tal caso, il colpevole e' punito a richiesta del Ministro
della Giustizia.
Con l’approvazione di questa legge, oltre alle sanzioni di cui sopra,
abbiamo finalmente la possibilita’ di far emergere dalla clandestinita’
una pratica che si sta progressivamente radicando anche in Italia, come
in altri Paesi occidentali, e di cui pochi conoscono le implicazioni a
livello sanitario e sociale.
Il testo varato dal Parlamento prevede anche la promozione di campagne
di informazione rivolte agli immigrati dai Paesi in cui sono effettuate
tali pratiche al fine di diffondere la conoscenza dei diritti
fondamentali della persona e il divieto vigente in Italia delle pratiche
di mutilazione genitale femminile ed ”allo scopo di modificare le
motivazioni culturali, etniche e religiose che sono alla base delle
pratiche [vietate]”.
E’ indispensabile dialogare con chi proviene da Paesi dove vigono
culture diverse dalla nostra, in quanto la diversita’ non e’ un fenomeno
da nascondere, bensì una ricchezza da coltivare nel rispetto di tutti.
Solo così e’ possibile una vera integrazione.
Di strada ne e’ stata fatta, ma molta e’ ancora da percorrere, se
pensiamo che in alcuni Paesi, come ad esempio il Mali, le mutilazioni
genitali femminili riguardano ancora il 90% delle donne. Per far sì che
le cose evolvano il piu’ rapidamente possibile, e’ necessario che i
Governi di tutto il mondo si impegnino per far cessare queste elementari
violazioni dei diritti della persona. Di questo si e’ parlato alla
conferenza sub-regionale dal titolo “Le mutilazioni genitali femminili e
l’attuazione del Protocollo di Maputo” (per
saperne di piu’), tenutasi a Bamako alla fine del mese
scorso, organizzata dal governo del Mali e dall’associazione radicale
‘Non c’e’ Pace senza Giustizia’, con il sostegno finanziario della
Cooperazione italiana e dell’Unicef. Alla conferenza era prevista la
partecipazione di circa 200 persone tra rappresentanti governativi, di
parlamenti, delle agenzie internazionali e delle associazioni, in
particolare femminili, dei Paesi dell’area (oltre al Mali, Mauritania,
Senegal, Guinea Conakry, Burkina-Faso, Niger, Benin, Togo). All’apertura
si sono registrate oltre 1200 presenze. “Un segnale fortissimo”, ha
detto Emma Bonino, “di una vera alleanza transnazionale che sta
prendendo forma sulla base delle migliori strategie da attuare per
sconfiggere le mutilazioni genitali femminili”.
Mi domando: ma possiamo davvero festeggiare?
Un abbraccio a tutte le donne.
Arianna Ballotta
Note
[1] v.
Prof. Aldo Morrone su
agenziastampa.org e
ilpalo.com
[2]
v. wikipedia.org
[3]
v. Mario Pavone su
ALTALEX
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