agli incroci dei venti

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Perche’ l’Australia ha bisogno della pena di morte
di David Frum [*]
(libera traduzione di Arianna Ballotta)

 

Australia: la vostra idea sul crimine americano ve la siete fatta guardando i film polizieschi americani? Se e’ così, allora e’ probabile che le vostre idee siano un po’ datate. Negli ultimi 10 anni, infatti, le citta’ americane sono diventate improvvisamente e considerevolmente piu’ sicure.

Fra il 1995 ed il 2005 il numero di omicidi negli Stati Uniti d’America e’ diminuito da circa 25.000 all’anno a meno di 15.000. Nel 2005 un americano correva meno rischi di essere ucciso rispetto al 1960. Ed il tasso totale di vittimizzazione e’ sceso al livello piu’ basso dal 1974, anno in cui sono iniziate le indagini e le statistiche sulla sicurezza dei cittadini.

Dare tutto il merito alla pena di morte sarebbe imprudente, ma sarebbe altrettanto sbagliato negare la sua parte di merito. Quando le pene inflitte sono leggere, i criminali sentono di avere piu’ potere ed il crimine prolifera. Negli anni ’60, ad esempio, i tribunali americani imposero nuove restrizioni alle forze dell’ordine, innalzarono barriere nei procedimenti giudiziari ed accorciarono le pene inflitte ai colpevoli. Fra il 1960 e il 1969 aumento’ il tasso di criminalita’, ma diminuì il numero delle persone incarcerate. Era come se gli Stati Uniti avessero depenalizzato il crimine. Cio’ che successe successivamente fu descritto da uno scrittore americano come il “grande disastro”: un crollo dell’ordine che travolse citta’ una volta grandiose come Detroit e porto’ ad enormi e diffusi costi sociali ed economici. Nel 1974 una famiglia americana su tre dichiarava di essere vittima del crimine, ed il crimine superava l’inflazione, la disoccupazione, il Vietnam ed il Watergate [Scandalo Watergate, 1972-1975: la scoperta, da parte di due giornalisti del "Washington Post", di attivita’ illegali da parte dell'amministrazione del presidente Richard Nixon durante la campagna elettorale presidenziale del 1972, e il conseguente tentativo di ostruzione della giustizia da parte dello stesso presidente. N.d.T.] nella scala delle preoccupazioni degli americani. In una democrazia la preoccupazione primaria espressa dei votanti ottiene l’attenzione [della classe politica]. I politici aggressivi, soprattutto repubblicani, iniziarono a candidarsi e a promettere azioni forti contro il crimine: piu’ agenti di polizia, pene piu’ severe ed il ripristino della pena capitale. Nel 1974 la Corte Suprema revoco’ una decisione del 1972 contro la pena capitale e ben presto i peggiori criminali iniziarono ad essere condannati a morte. La prima delle “nuove” condanne a morte venne eseguita nello Utah nel 1977. Tuttavia, mentre le Procure chiedevano sempre piu’ spesso la pena di morte dopo il 1974, per circa 20 anni la si impose raramente. I ritardi procedurali e le manovre degli avvocati facevano allungare i tempi di attesa nel braccio della morte, portandoli da 6 a 9, a volte anche 11 anni. A causa di tutto questo aumento’ la percentuale di persone favorevoli alla pena di morte ed allo stesso tempo aumentarono le persone favorevoli alla politica di destra. Nel 1994 quasi l’80% degli americani era a favore della pena di morte. Quell’anno i Repubblicani portarono via ai Democratici entrambe le Camere del Congresso, cosa che non accadeva dal 1952. L’anno precedente il Repubblicano Rudolph Giuliani era stato eletto Sindaco di New York grazie ad un programma nel quale prometteva di essere duro nei confronti della criminalita’. Giuliani era a favore della pena di morte, così come il Governatore di New York, George Pataki, anch’egli repubblicano. Nel 1995 New York divento’ il 38esimo Stato americano a ripristinare la pena di morte. Nel 1994 il numero di esecuzioni per la prima volta arrivarono a 20 all’anno. Forse, e non per coincidenza, il 1994 fu anche l’anno in cui il tasso di criminalita’ negli USA inizio’ a scendere in modo deciso.

Sarebbe un’esagerazione dire che tutto il merito e’ della pena di morte. Nei vent’anni precedenti, cioe’ dal 1974 al 1994, erano stati uccisi piu’ di 400.000 americani e per quegli omicidi sono stati a malapena 1000 gli assassini messi a morte. Dal ripristino della pena di morte non c’e’ mai stato neanche un anno in cui il numero di americani giustiziati ha superato il numero di persone assassinate. Per questo, non si puo’ catalogare la pena capitale come deterrente. Ne’ puo’ funzionare come strumento di giustizia estrema. Molti brutali assassini sfuggono alla mano del boia. Ma cio’ che la pena capitale fa per la societa’, comunque, e’ farla esprimere nel modo piu’ forte in cui le e’ consentito, sia nei confronti dei criminali che nei confronti dei cittadini rispettosi della legge, e ribadire che le autorita’ prendono la criminalita’ con molta serieta’. [La pena di morte] non rappresenta uno strumento sostitutivo a tutti gli altri che restano necessari per sconfiggere il crimine: piu’ agenti di polizia, piu’ pattugliamenti, leggi piu’ severe, pene detentive piu’ lunghe e migliori opportunita’ economiche.

Se la societa’ vuole repingere il crimine e’ necessario che inizi ad inviare un chiaro messaggio: lo sceriffo e’ tornato in citta’, il crimine non verra’ tollerato e verra’ punito fino all’estremo limite della legge. […]

Diventando piu’ sicura, la societa’ potra’ in seguito permettersi di riscoprire un po’ di clemenza. Negli Stati Uniti la percentuale di persone favorevoli alla pena capitale sta diminuendo, come anche il numero di esecuzioni. Ma anche i tassi di criminalita’ restano bassi e forse continueranno a calare. New York attualmente e’ ormai fra le 100.000 e piu’ citta’ americane piu’ sicure e probabilmente e’ fra le grandi citta’ del mondo piu’ sicure.

Ripristinate la pena di morte, cosi’ ripristinerete la sicurezza. E ripristinando la sicurezza, tutto diventa possibile.

Respingete la pena di morte ed il compito di ripristinare e mantenere l’ordine diventera’ sempre piu’ difficile: i cittadini vivranno nella paura e diminura’ la fiducia nella legge e nelle autorita’.

E’ possibile che esista un altro modo di proteggere la societa’. Ma perche’ ignorare quello che funzionato?

Fonte: American Enterprise Institute for Public Policy Research – 1 marzo 2006
[*]Chi e’ David Frum?

Via Claudio Giusti

 
 

 

 
 


agli incroci dei venti, 3 marzo 2006

 

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