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agli incroci dei venti |
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La pena
capitale non è moralmente necessaria
Cass Sunstain e Adrian
Vermeule sostengono che se i recenti studi empirici per trovare un
sostanziale effetto deterrente della pena capitale dovessero rivelarsi
validi, utilitaristi e deontologi dovrebbero allora concludere che la
pena capitale non è soltanto moralmente accettabile, bensì moralmente
necessaria. Nonostante ci siano validi motivi per confutare questa
supposizione dal momento che gli studi empirici condotti riportano
numerosi errori (come spiegano in un saggio gli economisti John Donohue
e Justin Wolfers), il responso in questione riguarda direttamente la
motivazione morale di Sustain e Vermeule. I due economisti sostengono
che il riconoscimento della caratteristica intromissione morale dello
stato e l’accettazione della cosiddetta deontologia “treshold” [“della
soglia”] ( in cui divieti categorici possono essere infranti per evitare
danni catastrofici) dovrebbe portare utilitaristi e deontologi ad
ammettere la necessità della pena capitale. Questa ipotesi dimostra che
neanche la premessa porta alla conclusione suggerita. Sapere che il
governo ha determinati doveri morali non dimostra che le esecuzioni
volute dal governo sono l’equivalente morale e deterrente per gli
assassini. Anzi, le esecuzioni costituiscono un atto moralmente
scorretto (omicidio preterintenzionale contro omicidio colposo ad
esempio) e un tipo di ingiustizia (pena ingiustificata). Inoltre,
l’accettazione della deontologia “della soglia” non richiede in nessun
modo l’applicazione della pena capitale anche se ne è dimostrato il
sostanziale potere deterrente; anzi, le ragioni di alcune drammatiche
“tresholds” devono confrontarsi con particolari prove nel contesto delle
pene previste in campo criminale. Questa ragione spiega anche come le
ragioni di Sunstain e Vermeule ci responsabilizzino nell’accettare altre
pene brutali o sproporzionate e conclude suggerendo che persino gli
utilitaristi non dovrebbero essere persuasi dalla motivazione. |
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