|
Aleksandr Blok
di
Silvia Golfera
Un tempo gli
aristocratici e gli intellettuali russi coltivavano il sogno di un
viaggio in Italia, patria dell’arte e della civiltà classica.
“Ogni artista russo ha il diritto…di vedere la sua seconda patria,
l’Europa e l’Italia in particolar modo” scriveva A. Blok, raffinato
poeta di inizio secolo, alla madre, nel 1909. Non a caso Lev Tolstoj
ambienta in una piccola città italiana il periodo più felice della
passione fra Anna Karenina e il conte Vronskij. Lo stesso libro che Blok
sfoglia nei primi mesi del 1909, alla vigilia della partenza.
Aleksandr Blok, nato a San Pietroburgo nel 1880, già a ventinove anni è
l’anima del simbolismo russo. Un movimento di cui reclama l’assoluta
originalità rispetto a quello francese: “Una corrente letteraria che per
una coincidenza del caso porta lo stesso nome…di una certa corrente
letteraria francese, ma che è organicamente legata alla religione, alla
filosofia, e ai problemi sociali…” dichiarò.
Lo accompagna la moglie Ljuba, figlia di Mendeleev, il famoso scienziato
che aveva stabilito la ‘classificazione periodica’ degli elementi,
attrice nella compagnia di Mejerchol’d, genio della scena, fucilato a
Mosca il 2 febbraio 1940.
Sono entrambi molto belli. Nina Berberova, che li conobbe prima
dell’emigrazione in Occidente, descrive Ljuba: “Alta, bellissima, con
lunghi capelli dorati, gli occhi grigi, le sopracciglia nere e la
carnagione bianca e rosea”. Aleksandr, a sua volta, è un uomo alto e
sottile dal viso pensoso e impenetrabile, capelli ricci e fini, occhi
chiari, un portamento aristocratico, che alcuni giudicano troppo
altezzoso.
Si conoscono da sempre. Il nonno di Blok è collega di Mendeleev. Da
ragazzi recitano insieme l’Amleto. Lei è Ofelia.
Ma l’amore nasce durante la stesura, fra il 1901 e il 1904, dei “Versi
sulla Bellissima Dama”, in cui immagina che il poeta-filosofo Solov’ëv,
in veste di ‘cavaliere–monaco’, lotti contro il caos e la follia per
liberare l’Anima del Mondo, sull’esempio dell’amore mistico di Dante e
Petrarca. Durante una passeggiata Blok incontra Ljuba, nuova Beatrice, e
commenta che l’Anima “è venuta a me nella sua forma terrestre, …non solo
un’esaltazione profetica, ma anche un amore umano”.
Famosissimo in patria, ogni nuova raccolta è un avvenimento per i
salotti letterari di San Pietroburgo e di Mosca. Ma all’estero è uno
sconosciuto, soprattutto in Italia dove prima della Rivoluzione
d’Ottobre la cultura russa è praticamente ignorata. La sua apparizione
nella penisola passa inosservata. Le sue opere approderanno da noi non
prima del 1920, quasi alla vigilia della morte, avvenuta nell’agosto del
1921, per l’aggravarsi della sifilide e di una miriade di altri mali che
avevano per comune denominatore le spaventose condizioni alimentari e
igieniche di quegli anni di guerra civile in Russia.
La fama italiana è legata in particolar modo al poemetto ‘I dodici’,
composto nel gennaio del 1918: un inno alla rivoluzione, che apre la
strada a tutta la poesia rivoluzionaria successiva e a Majakovskij in
particolare. L’Ottobre russo come evento rigeneratore da cui sarebbe
scaturito un nuovo tipo umano: “l’uomo…si riorganizza in artista, per
parlare col linguaggio di Wagner”. Dodici apostoli-guardie rosse,
assieme ai quali marcia un Gesù Cristo la cui evocazione non piacque a
Lunačarskij e a Trockij, che gli suggerirono di sostituirlo con Lenin.
Di quest’opera si ebbero in Italia, nel 1920, ben tre versioni e ancora
oggi è quella più tradotta nel nostro paese. Sempre nel 1920 ne uscirono
alcuni estratti sulla rivista ‘Russia’, fondata dall’allora giovane
studioso di letterature slave Ettore lo Gatto.
Nel 1925, nella collezione “Teatro russo” della casa editrice Alpes,
esce il dramma “La rosa e la croce” recensita senza entusiasmo da A.
Gabrielli su ‘L’Italia che scrive’.
Ljuba e Aleksandr non sono una coppia comune. Il loro matrimonio si
regge su fragili equilibri ed entrambi si aspettano da questo viaggio
una sorta di palingenesi. Lei è reduce da una difficile relazione che le
è costato un figlio morto prematuramente. La sua salute ne ha risentito.
Lui è spossato da una vita solitaria e disordinata, che lo spinge a
inseguire alcool e amori fugaci nelle bettole della città. Per un poco
con Ljuba ritrova la pace, lei è di nuovo ‘l’Unica’, la ‘Bellissima
dama’. Appena ristabilita Blok le propone, per distrarla e per
ritrovarsi ancora, l’avventura italiana.
Partono a fine febbraio e sono in Italia fra aprile e giugno. Sostano in
parecchie città, anche minori, soprattutto del Nord e del Centro. Un
amico poeta, Valerij Brjusov, che era stato in Italia già due volte,
aveva consigliato loro di visitare anche Ravenna, dove si fermeranno un
paio di giorni, giungendovi da Venezia. Il 10 maggio 1909 Blok scrive
nei suoi appunti: “Carezzevole, tranquillo, fermo sguardo delle ragazze
di Ravenna. Innocenza. Riccioli infantili( come pure le veneziane, che
però restano più sdegnose nei loro santi scialli)”.
Lo sguardo delle ragazze, che torna spesso nelle poesie, risulta
estremamente seducente per il poeta russo, uno strumento per penetrare i
segreti del mondo. Nella raccolta “Versi italiani”, dove alcuni critici
ravviseranno influenze dannunziane, non solo lo sguardo, ma anche
l’incedere, la postura, l’abito di una ragazza, fanno spesso da
contrappunto al paesaggio.
Annota l’11 maggio: “Ravenna. Chianti. Tutti dicono di lei che è bella.
La chiamano ‘Signora’. Da solo…Mistero. Notte a Ravenna”. Il viaggio
infatti giova alla salute di Ljuba. Negli appunti che tiene quasi
quotidianamente, Blok accenna spesso al viso di lei che riprende colore,
al corpo che si fa più elastico. Sembra rifiorire la giovinezza.
Tuttavia la compagnia della moglie non lo appaga. Vengono registrate
notti solitarie, lungo vie silenziose, invase dal buio, dove a volte
ammicca la lanterna di una bettola.
Il 12 visita la Tomba di S. Apollinare in Classe e ne ricopia le
iscrizioni: “12 Maggio. Ravenna. Sepolcro di S. Apollinare in mezzo alla
Basilica in Classe. Iscrizione: “S. Romualdo di Ravenna, pregando di
notte vicino al beato martire Apollinare, ebbe due volte una visione ed
ebbe la vocazione di entrare in monastero nel 927”. Sull’altro lato:
“Nel sangue del martire è il seme della tua fede, Ravenna” E ancora:
“Dedicato alla regina dei martiri”.
La nota successiva porta la data del 14 maggio. È già a Firenze,
passeggia alle Cascine. Osserva la moglie ringiovanita e imbellita. La
gente la chiama signorina (in italiano) e c’è chi esclama ‘Que bella!’
Fuggono attraverso un orribile, rumorosa via ‘Galzaioli’ e vanno a
sedersi in una tranquilla pensione fra Arno e Cascine.
Proprio da Firenze, il giorno precedente, aveva scritto alla madre a
proposito del soggiorno ravennate: “A Ravenna siamo rimasti due giorni.
È profonda provincia…La piccola città dorme duramente, e dappertutto,
chiese e immagini dei primi secoli del cristianesimo. Ravenna ha
conservato, meglio di tutte le altre città, l’arte primitiva, il
passaggio da Roma a Bisanzio. E sono molto contento che Brjusov ci abbia
mandati qui; abbiamo visto la tomba di Dante, gli antichi sarcofaghi,
mosaici sorprendenti, il Palazzo di Teodorico. Dall’altra parte, una
chiesa antichissima, nella quale, in nostra presenza, hanno
dissotterrato un pavimento di mosaico…Umido; c’è lo stesso odore che
nelle gallerie della ferrovia, e dappertutto sepolcri. Uno io l’ho
trovato sotto l’altare…La luce di una finestrina cade su di esso; vi son
sopra delle lastre di pietra di un colore lilla tenero, e una muffa di
un verde tenero. E intorno un silenzio terribile”
Una lettera in cui stanno tutti gli elementi che il poeta inserirà nella
poesia “Ravenna”, una delle più belle e interessanti della citata
raccolta “Versi italiani”: la provincia immersa nel sonno, chiese,
mosaici, sarcofagi, la tomba di Teodorico, ormai ricoperti da una tenera
muffa che la penombra sbiadisce. E poi Dante, il silenzio dei secoli,
gli sguardi femminili.
Blok non poteva non recarsi sulla tomba di Dante, il più amato dai poeti
russi, da lui più volte evocato nei versi. Ma non la vide nella forma
attuale, che risale al 1921. Tuttavia la lampada, opera dell’orefice
Lusini di Firenze, era stata collocata poco prima del suo arrivo.
Ravenna, come del resto tutta l’Italia, viene percepita da Blok come un
luogo ormai spento, in cui naufragano i relitti di un passato
immemorabile: “Un viaggio in un paese ricco di passato e povero di
presente, è come una discesa nell’inferno dantesco. Dalla profondità
delle gole nude della storia sorgono immagini infinitamente pallide…La
storia sbalordisce e opprime. L’Italia è tragica per questo: per il
leggero alito sotterraneo della storia che è passato rumorosamente e
irrevocabilmente…” scrive nella prosa ‘I testimoni muti’, pezzo di un
progettato libro sull’Italia rimasto poi incompiuto.
In realtà Blok, dopo la rivoluzione fallita del 1905, con lo shok che
aveva provocato nella società russa e pietroburghese in particolare,
aveva maturato un sentimento apocalittico della storia. Ciò che lo
circonda sta per crollare, una terribile catastrofe, che egli stesso
invocherà, incombe sulla patria. Così come Roma è crollata, allo stesso
modo qualcosa di profondamente diverso prenderà il posto di quella
terribile Russia, che comunque riconosce quale unico paese in cui voglia
e riesca a vivere.
Ravenna, la città per cui è passato “tutto ciò che balena un solo
istante/ e perisce” è il luogo dove la storia è malinconicamente
naufragata, annegata ne “i lenti baci dell’umidità”, la città in cui
“già si spengono le dorature”. Trasfigurazione e specchio di una
Pietroburgo che ha esaurito la propria forza vitale, che confusa nelle
nebbie e assediata dalle paludi, come già ipotizzava a suo tempo lo
stesso Dostoevskij, avrebbe potuto, un giorno, dissolversi. Così come
l’antica città bizantina dorme nei secoli, anche Pietroburgo attende il
suo letargo.
Già nella poesia “Violetta notturna” del 1906 aveva espresso il
sentimento di questa lunga dissolvenza, di una città abbandonata dietro
le spalle, in cui il cielo, stanco di ricoprirla, si getta nella palude
formando un’unica materia indistinta, segnato appena da una striscia di
luce. Fuori dal tempo, in un sonno che attraversa i secoli.
Pietroburgo è la città russa che più di ogni altra aspira a farsi
europea, che tradendo l’anima russa pagherà con la distruzione questa
sua ambigua natura. Un tema che attraversa tutta la cultura
ottocentesca, da Gogol a Dostoevskij, ripresa in una visione ancora più
misticheggiante da Blok, profeta di una nuova Russia che avrebbe
annientato l’europeismo, aborrita incarnazione dello spirito borghese e
della società di massa, e l’intelligencija, che si ostina nel riproporre
una sorta di ‘neoumanesimo’ ormai storicamente morto. Ed è proprio nell’
“orda bolscevica” che Blok penserà, per un breve periodo, di ravvisare i
creatori di un mondo in cui risorgerà lo spirito della musica e in cui
si fonderanno l’anima apollinea e quella dionisiaca.
Alla fine il viaggio in Italia lascerà in Blok, nonostante le attese e
forse proprio in virtù di esse, un’impressione amara: “Indubbiamente una
parte del carattere cupo delle mie impressioni sono da attribuire a me
stesso: perché gli incubi russi non si possono affogare neppure nel sole
italiano” scrive ne ‘I testimoni muti’.
Andarsene è una liberazione.
Riparte in treno da Milano il 21 giugno. Il giorno prima, avevo scritto
sugli appunti: “Domani mattina lasciamo Milano. Grazie a Dio!”
Aleksandr Blok muore a Pietrogrado il 7 agosto 1921, dopo aver chiesto a
lungo al governo sovietico, inutilmente, di potersi curare all’estero.
In febbraio, nella Casa degli scrittori, durante una serata in memoria
di Puškin, aveva pronunciato uno storico discorso in cui rivendicava il
bisogno assoluto, per il poeta, della libertà. “La quiete e la libertà
ci vengono tolte” aveva gridato.
Il passaporto gli arriva il 6 agosto, ma già da qualche giorno è a
letto, ormai in coma. “La rivoluzione russa è morta con la morte di Blok”
dichiara Artùr Lur’è, musicista noto nell’ambiente culturale dell’epoca.
Alla cerimonia funebre presenzia anche la poetessa Anna Achmatova, il
viso impietrito, sulle spalle uno scialle azzurro che le ha regalato
Marina Cvetaeva. Suo marito Gumilëv è stato appena arrestato. Sarà
fucilato il 25 dello stesso mese. Nei giorni successivi circolano i
versi che ha scritto per l’occasione:
“…
recammo alla Santa Madre di Dio
sulle braccia in un’argentea bara
il nostro sole spento nel martirio,
Alessandro, il puro cigno”
Bibliografia
A. Blok - Zapisnye
knižki (Libretti di appunti) . Mosca, 1965.
Nina Berberova - Un figlio degli anni terribili. Guanda, 2004
Michaela Böhmig - A. Blok in Italia. Ricerche slavistiche
A. Blok - Ital’janskie stichi (Versi italiani). Mosca, 1991
A. Blok - Nočnaja fjalka (Violetta notturna). Mosca, 1991
A. Blok - I dodici. Torino 1965
E. Lo Gatto - Russi in Italia. Roma. 1971
D. B. Gregor - Il poema Ravenna di A. Blok. La Piè, 1984
G. Nivat - A. Blok in ‘Storia della letteratura russa’. Einaudi
S. Volkov - San Pietroburgo. Milano
La Piè. Anno LXXIV n. 5.
Imola, settembre - ottobre 2005.
|
|