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Vergogna
nascosta
di
Debora Di Dio per Peace Reporter
La pena di morte in
Giappone: molti silenzi, pochi diritti
La pena di morte in Giappone è una realtà poco conosciuta. Nella mia
esperienza di attivista per i diritti umani ho incontrato poche persone
al corrente del fatto che il civilissimo Giappone, paese così moderno e
ultratecnologico, ancora prevede nel proprio ordinamento la pena
capitale, oramai abolita di diritto o de facto da 118 paesi. Nel Paese,
il dibattito tra la gente comune e sui media ha ricevuto una certa
attenzione solo negli ultimi anni. Una delle più importanti
organizzazioni al mondo per la tutela dei diritti umani, Amnesty
International, stima che almeno 25 prigionieri con sentenze definitive
siano da oltre dieci anni nel braccio della morte in attesa di
esecuzione.
Come e quando avvengono le esecuzioni.
Le esecuzioni avvengono di regola
per impiccagione e sono eseguite in particolari periodi dell’anno, in
genere nel mese di settembre, approfittando del periodo di sospensione
dei lavori parlamentari, proprio per evitare critiche o la nascita di un
dibattito pubblico. In tutto il paese ci sono sette prigioni attrezzate
con un patibolo. I condannati a morte sono completamente isolati dalla
società, è proibito ogni contatto con giornalisti e l’incontro con il
proprio avvocato viene permesso solo una volta all’anno. In molte
occasioni la corrispondenza, anche quella con l'avvocato difensore,
viene letta e censurata dalle autorità carcerarie. L’esecuzione viene
comunicata al condannato il giorno stesso, e i congiunti vengono
informati del fatto solo quando già accaduto.
Il braccio della morte.
Le condizioni nel braccio della morte sono a dir
poco disumane: ai detenuti non viene assicurata un’assistenza medica
adeguata, vivono in celle di circa 5 metri quadrati, illuminate e tenute
sotto controllo 24 ore su 24 per prevenire il rischio di suicidio. La
maggior parte delle prigioni non ha impianto di riscaldamento e nessuna
è dotata di un sistema di condizionamento dell’aria. Le celle hanno
quindi un’aerazione ridotta di oltre duecento volte e una luminosità
inferiore del 30 per cento rispetto a una cella normale.
Il caso di un prigioniero.
Il 13 dicembre la sezione italiana di Amnesty
International ha rivolto un appello al presidente della Repubblica Carlo
Azeglio Ciampi, perché chieda alle autorità giapponesi di commutare la
condanna a morte di Ishida Tomizo, il condannato a morte più anziano del
Giappone, che quest’anno ha compiuto 84 anni. Gli ultimi trenta li ha
trascorsi nel braccio della morte della prigione di Tokio, in attesa di
un’esecuzione, che può avvenire senza alcun preavviso. Ishida è stato
giudicato colpevole dell’omicidio di due donne, una delle quali era la
sua compagna. Sono reati commessi nel 1973, per i quali lui continua a
proclamarsi innocente. Ha confessato dopo 148 giorni di interrogatorio
svoltosi in una stazione di polizia e senza ricevere il diritto di
assistenza legale.
La politica del governo.
Nonostante la tendenza abolizionista mondiale
il governo giapponese continua a mantenere questa pratica. Non solo.
Benché per due volte, nel 1993 e nel 1998, la Commissione dei diritti
umani delle Nazioni Unite abbia fortemente raccomandato l’abolizione
della pena di morte, criticando peraltro le modalità con cui essa viene
praticata, e benché il Consiglio d’Europa abbia minacciato di privarlo
dello status di osservatore, il governo giapponese continua a ignorare
le pressioni internazionali. E addirittura cerca di influenzare gli
altri paesi perché si pronuncino contro l’abolizione della pena di
morte. Infatti, il Giappone ha votato per cinque volte contro le
risoluzioni della Commissione dei diritti umani delle Nazioni Unite che
chiedevano l’abolizione della pena capitale.
PeaceReporter 22/12/05
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