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Abbasso le
armi: la pena di morte e’ una barbarie
libera
traduzione di Arianna Ballotta
16 febbraio 2006
L’azione calcolata e senza scrupoli di sinistri ed avidi trafficanti di
droga e’ profondamente malvagia; quella calcolata e legittimata da un
Parlamento si dice legale. Ma entrambe sono estremamente sbagliate.
Rendere legale la pena capitale non e’ la cosa giusta da fare.
L’introduzione illegale di eroina in Australia, dove senza ombra di
dubbio finisce ad alimentare il triste mercato di morte nelle nostre
strade, e’ fra i crimini piu’ gravi che esistano su questa terra e che
portano alla crudelta’ e alla morte di tanti giovani. Non si puo’ essere
clementi con i responsabili di questi traffici, ma neanche tali orrendi
crimini possono giustificare la pena di morte, perche’ nessuno Governo
ha il diritto di togliere la vita a chicchessia.
Niente – niente – puo’ giustificare un Governo per l’emissione di una
condanna a morte da parte dei suoi tribunali. La pena capitale e’ una
forma di pena brutale ed arcaica. E’ la forma piu’ ripugnante di
vendetta collettiva. Ci facciamo piccoli per la paura al solo pensiero
della ghigliottina e delle decapitazioni dei lealisti francesi. Ci viene
la nausea pensando alle streghe messe al rogo. Inorridiamo di fronte
alla barbara crudelta’ della lapidazione di uno stupratore. Eppure,
molte persone sono disposte ad accettare (e persino ad applaudire!) il
fatto che un trafficante di droga venga legato ad una palo,
incappucciato, spogliato fino alla vita e fucilato.
Tutto questo non ha alcun senso. La pena di morte, in ogni sua forma, e’
sbagliata. Non e’ una cosa che si puo’ misurare per gradi. […] Nella
maggior parte delle culture del mondo la salvaguardia della vita e’ di
somma importanza, mentre l’omicidio viene disprezzato. Eppure, quasi
come a voler enfatizzare la futilita’ dell’omicidio, molti Paesi ancora
oggi puniscono con la morte chi ha dato la morte. E’ una follia priva di
ogni logica.
La decisione presa da un tribunale indonesiano di condannare a morte per
fucilazione due trafficanti di droga australiani non puo’ essere in
alcun modo appoggiata. Il Governo australiano ha il dovere di protestare
in modo fermo ed inflessibile. Non dobbiamo avere paura di offendere
l’Indonesia, ne’ di vedere respinti nostri tentativi di approccio.
Il dibattito internazionale sulla futilita’ e sulla crudelta’ della pena
di morte portera’ dei cambiamenti e l’Australia deve essere fra coloro
che si battono in prima fila affinche’ tali cambiamenti si verifichino.
La decisione di condannare a morte due dei cosiddetti “I 9 di Bali” ha
creato due tragedie. Per quanto triste possa essere per i loro
famigliari, e’ difficile provare compassione per quei ragazzi e quella
ragazza che hanno attaccato al loro corpo dell’eroina nella speranza di
ricevere migliaia di dollari in cambio del trasporto. Ma sono stati
condannati all’ergastolo. Sono stati stupidi ed avidi. Se tutto avesse
funzionato come previsto, centinaia, forse migliaia di persone avrebbero
utilizzato quella droga mortale, forse anche per la prima volta. Ma se i
cosiddetti “muli”, cioe’ i corrieri, vengono condannati a morte, quale
altra forma di punizione piu’ severa puo’ mai essere inflitta agli
organizzatori e ai fornitori? Secondo l’Indonesia, la risposta e’: il
plotone di esecuzione. Ma l’Australia, tramite il suo Parlamento e,
auguriamocelo, anche tramite la maggioranza dei suoi cittadini, non e’
d’accordo.
E’ stato sorprendente, persino toccante, vedere il Primo Ministro John
Howard, solitamente freddo ed apparentemente privo di emozioni, che
cercava di trattenere le lacrime mentre criticava la pena di morte e
pregava i giovani australiani di non lasciarsi coinvolgere nel traffico
di droga.
La cosa piu’ tristemente ironica di tutta la storia e’ che i ventenni
del gruppo “I 9 di Bali” che trascorreranno una cinquantina di anni
circa in una squallida prigione indonesiana saranno, alla fine, puniti
molto piu’ duramente di quelli che, molto probabilmente, verranno
eliminati dal plotone d’esecuzione.
Non c’e’ dubbio che cio’ che dovranno sopportare sara’ peggiore della
morte.
Fonte:
The Advertiser (Australia)
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