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Tullio Terni
di
Silvia Golfera
Curiosare fra gli scarti
della storia è un poco come aggirarsi in una vecchia soffita. Fra tanta
paccottiglia inservibile può emergere a volte, magari celata sotto
strati di polvere, qualche oggetto curioso e sorprendente, qualche
‘tesoro’ d’epoca.
Come, per esempio, la vicenda stupefacente di Tullio Terni.
Tullio Terni, un nome che ai più non rievoca assolutamente nulla, non
avendo costui lasciato particolari tracce di sé, se non forse nella
ricerca medica. Eppure il suo è un curiosissimo caso di docente espulso
dalla scuola fascista perché ebreo e da quella dell’Italia democratica
perché fascista.
La sua vicenda è stata ricostruita dallo storico Paolo Simoncelli sulla
rivista “Nuova storia contemporanea” e riportata, tempo fa, su alcuni
quotidiani.
Vediamo di che si tratta.
Terni era nato nel 1888 a Livorno. Laureatosi in medicina si era
dedicato ad importanti ricerche di embriologia presso l’università di
Padova. Membro dell’Accademia dei Lincei aveva partecipato a progetti
scientifici negli Stati Uniti. Fu amico e collega di Giuseppe Levi,
professore di anatomia presso l’università di Torino. Anche lui
probabilmente sottratto oggi alla memoria dei più, se la figlia Natalia
Ginzburg non l’avesse immortalato nell’indimenticabile ritratto che ne
fa in Lessico famigliare.
E proprio nell stesso “Lessico famigliare” compaiono ripetutamente Terni
e la sua famiglia: la moglie Mary, i figli Cucco e Lullina, la bambinaia
Assunta. Grande lettore di romanzi, Terni porta nell’austera casa dei
Levi a Torino, il gusto per la letteratura europea e in particolare per
Proust.
“Terni era un biologo e mio padre ne aveva, riguardo agli studi, una
grande stima. Usava però dire «Quel sempio di Terni», perché trovava che
era, nel vivere, un poseur…Quando Terni veniva a trovarci, si fermava in
genere…a parlare di romanzi; era colto, aveva letto tutti i romanzi
moderni”.
“Terni viveva in modo perfettamente normale, nella sua casa, con la
moglie Mary, la bambinaia Assunta e i suoi figli, Cucco e Lullina, che
lui e la moglie viziavano, e davanti ai quali usavano, entrambi,
estasiarsi.”
Una tranquilla vita borghese, dunque, fatta di agi, successi
professionali, cultura, affetti.
I guai, per il professor Terni arrivano, come per molti altri, con le
leggi razziali del 1938. Nel documento “La dichiarazione sulla razza”
approvato dal Gran Consiglio del Fascismo il 6 ottobre 1938 si ricorda
che: “l’ebraismo mondiale…è stato l’animatore dell’antifascismo in tutti
i campi e che l’ebraismo estero o italiano fuoriuscito è
stato…unanimemente ostile al fascismo.” Ben lo sapevano Carlo e Nello
Rosselli, uccisi da sicari fascisti a Bagnoles sur l’Orne, in Francia,
nel 1937.
Le leggi razziali comportano la perdita della professione, delle
proprietà, dello status sociale, in poche parole, della condizione di
cittadino.
Ma alcune categorie di ebrei possono sottrarsi a tali discriminazioni.
In particolare:
-chi ha in famiglia caduti nelle guerre libica, mondiale, etiopica,
spagnola.
-chi in queste guerre è partito volontari
-chi è stato insignito della croce al merito di guerra
-chi si sia iscritto al Partito fra il 1919/22 o nel secondo semestre
del 1924….
In questo spazio va ad incunearsi la tragedia di Terni, perché la sua
vicenda che sembra avere un esordio comico, quasi da operetta, si
conclude in maniera estremamente drammatica.
Terni infatti ingaggia un duello titanico con la burocrazia italiana nel
tentativo di salvarsi dalla vigente legislazione: ricorda i propri
meriti nella Prima guerra mondiale, i successi scientifici, la militanza
fascista, di cui amplifica per ovvi motivi la portata. Era stato sì
fascista, ma un fascista, potremmo dire ‘passivo’, come molti altri. Si
risolve addirittura al battesimo per cercare di sottrarre sé e la
propria famiglia prima alla degradazione sociale, poi, durante
l’occupazione tedesca, al rischio della deportazione e della morte.
La sua lotta non approda a nulla perché tutti i ‘privilegi’ accordati ad
ebrei particolarmente benemeriti, non valgono per coloro che lavorano in
ambito scolastico, che devono essere in toto, senza eccezione, espulsi,
essendo “la scuola, il luogo nel quale si vengono formando le anime e le
menti…una istituzione sacra. Come tale essa deve essere gelosamente
custodita e controllata…e immunizzata da qualsiasi elemento
perturbatore…della sua italianità”, come recita il disegno di legge del
1938.
E si sa che dalla scuola furono rigettati in blocco, insegnanti,
allievi, bidelli, impiegati di segreteria e pure testi scritti da ebrei,
in un timore panico di contaminazione.
La salvezza di Terni non giunse certo dallo Stato italiano, che non
riconobbe alcuna delle sue istanze, ma dal fatto di trovare un
nascondiglio sicuro nella campagna toscana, da cui riemerse, dopo la
ritirata dei tedeschi, nel 1944. Ma nel nuovo stato che si va formando,
tutti gli incartamenti da lui prodotti nel tentativo di salvarsi,
diventeranno prova inconfutabile del suo legame col fascismo. Una
commissione preposta all’epurazione di chi si era compromesso col
passato regime, di cui fa parte lo stesso Giuseppe Levi, radia Terni
dalla Accademia dei Lincei, mentre gli viene impedito di riottenere la
sua cattedra a Padova. Nello stesso momento in cui la classe dirigente
fascista, l’apparato statale e poliziesco transita quasi indenne nel
nuovo stato democratico, il rigore censorio si esercita sul povero
Terni, che aveva lottato per la propria vita senza aver mai recato danno
ad alcuno. Così nel 1946 Terni si toglie la vita, ingoiando del cianuro.
In “Lessico famigliare” dove le vicende dei vari personaggi sono spesso
narrate con grande ricchezza di particolari, la scomparsa di Terni è
chiosata in questo modo:
“…Anche Terni era morto, a Firenze”. Nessuna altra parola. E la ragione
di tanto riserbo facilmente intuibile.
golferasi@yahoo.it
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