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I problemi di immagine frenano le mire americane all’estero

di Howard LaFranchi, The Christian Science Monitor
(libera traduzione di Arianna Ballotta)


La percezione di passi falsi nella politica estera ed interna ostacolano l’opera diplomatica nel nuovo anno

30 dicembre 2005

WASHINGTON – Fermare il programma nucleare iraniano. Limitare la crescente influenza di una Russia sempre più autoritaria rispetto all’ex impero sovietico. Creare più amicizie anziché inimicizie nel mondo arabo. Queste sono soltanto alcune delle più importanti sfide che l’amministrazione Bush si troverà ad affrontare nel campo della politica estera nel corso del nuovo anno. Ma per poterle affrontare, secondo gli esperti, l’Amministrazione dovrà scrollarsi di dosso l’eredità del 2005, anno in cui la diplomazia americana, contrariamente a quanto accaduto, avrebbe dovuto lavorare di più per ricostruire i ponti di collegamento col resto del mondo.

Evidenti, secondo gli esperti, due delusioni. La prima: nonostante l’ottimismo dell’inizio dell’anno, gli alleati americani hanno ancora dei dubbi in merito ai modi unilateralisti degli Stati Uniti. La seconda: gli eventi interni - a partire dalla lenta risposta federale all’uragano Katrina, fino ad arrivare al controverso spionaggio di cittadini americani – che influenzano i legami degli Stati Uniti col resto del mondo tanto quanto le questioni internazionali.

Secondo Nicholas Gvosdev, editore di National Interest, una rivista di politica estera, “l’Amministrazione non ha fatto un buon lavoro in termini di ricostruzione dei ponti [col resto del mondo] e di riallacciamento delle alleanze, come invece suggerito dalla retorica dei primi mesi dell’anno, e questo avrà un impatto diretto sulle questioni che andremo ad affrontare nel 2006. [I partner e gli alleati americani ] hanno la sensazione che l’amministrazione Bush non abbia mantenuto le promesse di rinnovata cooperazione e consultazione fatte all’inizio dell’anno”.

L’amministrazione Bush ha registrato un discreto numero di successi diplomatici, dalla cooperazione con l’Unione Europea sull’Iran ed il nuovo dialogo con la Corea del Nord, alla pressione sulla Siria, in tandem con la Francia, all’influenza in Libano. Ma le recenti rivelazioni sulle prigioni clandestine per le persone sospettate di terrorismo e sulle altre operazioni segrete antiterrorismo […] con molta probabilità avranno una profonda influenza sulle questioni di cui gli Stati Uniti d’America hanno intenzione di discutere con i partner internazionali.

Secondo Gvosdev, gli europei hanno la forte sensazione che gli Stati Uniti li aggirino, semplicemente, quando ritengono che non sia conveniente collaborare con loro. “Questa sensazione potrebbe con molta facilità ripercuotersi sull’Amministrazione proprio nel momento in cui cercherà di sviluppare collaborazioni su altre questioni”. Sulla questione Iran, ad esempio, Gvosdev sostiene che “i rinnovati sospetti nei confronti degli USA” [da parte degli europei] stanno a significare che questi ultimi si sono tirati indietro dal tacito accordo USA-Europa per andare oltre le negoziazioni ad un livello di Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e forse ancora più in là, se le trattative europee con Teheran dovessero fallire. Un altro banco di prova per le relazioni degli USA con l’Europa potrebbero essere le elezioni in Bielorussia, previste in marzo. All’inizio dell’anno il Segretario di Stato Condoleezza Rice ha detto che la Bielorussia è “l’ultima vera dittatura” d’Europa e il Ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha ribattuto che certe riforme non possono essere imposte dall’esterno. Secondo molti esperti le elezioni in Bielorussia non saranno né libere né eque, così gli osservatori avranno modo di verificare come la Russia – e l’Europa occidentale – risponderà alle potenziali controversie post-elettorali.

Un altro test simile potrebbe verificarsi nell’Asia sud-orientale, dove l’amministrazione Bush sta incoraggiando i suoi partner locali a fare pressioni sul regime militare del Myanmar (Burma) affinché ponga in essere riforme. Si prevede che Stati Uniti presentino già all’inizio dell’anno una Risoluzione in questo senso al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e che chiedano l’appoggio di alcuni Paesi asiatici, fra cui India, Giappone, Filippine e Tailandia.

Che l’amministrazione Bush consideri ora una priorità il miglioramento della propria immagine all’estero è stato sottolineato dalla nomina a capo del Dipartimento di Stato per le Relazioni Diplomatiche di uno dei consiglieri più vicini a Bush, la signora Karen Hughes, la quale ha deciso in autunno di accettare il compito con molta serietà. Tuttavia, secondo gli esperti, il comportamento tenuto dagli Stati Uniti in relazione agli ideali che dicono di voler difendere, minerà gli sforzi per migliori relazioni con altri Paesi. “Quanto è emerso in seguito all’uragano Katrina, la questione delle ‘rendition’ [l’arresto extraterritoriale e la consegna di sospetti terroristi ad altri Governi, N.d.T.] e delle torture inflitte a sospetti terroristi, ed ora la controversa questione dello spionaggio ai danni di cittadini americani, tutto questo ha davvero danneggiato la nostra immagine nel resto del mondo”, dice Lawrence Korb, già funzionario del Ministero della Difesa durante l’amministrazione Reagan ed ora al Centro per il Progresso Americano a Washington. La signora Hughes ha ammesso che il compito di promuovere gli ideali americani all’estero è più difficile di quanto si aspettasse. Gli sforzi per di discutere di democrazia e diritti umani all’estero, sono spesso offuscati da altre argomentazioni, come i rapporti interrazziali, la pena di morte e lo spionaggio interno. […] “Mi trovavo in Europa quando scoppiò il pasticcio sull’autorizzazione concessa da Bush allo spionaggio interno e ciò che mi sentivo ripetere continuamente era ‘voi, ragazzi, siete come l’Unione Sovietica durante la Guerra Fredda’”, riferisce Korb. Gli Stati Uniti hanno guadagnato qualche punto quando hanno aiutato le popolazioni colpite dallo Tsunami e dal terremoto in Pakistan. “Ma per bilanciare le cose, direi che ce ne vuole ancora”, sostiene Korb, che aggiunge: “Sfortunatamente le altre questioni hanno portato all’accusa di ipocrisia nei confronti degli USA”.

Nel 2006, l’Iraq ed il successo o il fallimento della sua evoluzione politica continueranno a giocare un ruolo di assoluta importanza ed influenza su come gli altri Paesi risponderanno alle iniziative americane. Ma la questione Iraq potrà comunque restare causa di dissapori fra gli Stati Uniti ed i suoi partner, svigorendo il loro entusiasmo e la loro voglia di unirsi agli USA per diffondere la democrazia [nel mondo], cosa che secondo alcuni leader può essere destabilizzante.

La speranza risposta in Washington nel 2005 era che l’Iraq sarebbe stato messo diplomaticamente dietro di noi, ma non è successo. Ed è probabile che non accadrà neanche nell’anno nuovo”, conclude Gvosdev.


Fonte : The Christian Science Monitor 30 dicembre 2005


 

 
 

 

 
 


agli incroci dei venti, 15 gennaio 2006

 

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