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Perché la
sofferenza?
di
Laura
Montanari
Voce ai giovani
La conversazione di un pomeriggio appena trascorso (mercoledì 11
gennaio) ha regalato piena soddisfazione agli adulti che credono nei
giovani, e ha confortato, forse anche un po’ sorpreso, quegli adulti che
invece nutrono diffidenza verso “i giovani di oggi”, denunciandone la
superficialità, l’arroganza, la povertà di valori e ideali, lo sfrenato
edonismo e.. quant’altro.
All’appuntamento pubblico, l’incontro per dialogare sul tema della
sofferenza (Perché la sofferenza?) organizzato dal “Punto d’incontro Ai
Cappuccini” presso la saletta del nuovo Centro Missionario di via
Oberdan 3, hanno infatti brillantemente partecipato come “attori”
protagonisti tre giovani studenti del Liceo Scientifico “ A.Oriani” di
Ravenna.
Pier Paolo Cecchi, Enrico
Agostinelli, Luca Cassarini sono intervenuti come portavoce dei loro
compagni, rispettivamente delle classi III e IV E, V A a conclusione di
laboratori di riflessione e confronto scaturiti dalla lettura della
rivista “Messaggero Cappuccino” (n. 5 anno 2005) e di altri testi a
tema, svolti a scuola nel corso dei mesi precedenti sotto la guida degli
insegnanti di Religione, Prof.ssa Stefania Capucci, don Francesco Furlan,
e della Prof. ssa di Lettere Rosa Rita Baldini.
Gli organizzatori hanno valutato l’iniziativa ben riuscita, soprattutto
perché è stato raggiunto il primo obiettivo, cioè quello di dare voce
pubblica ai giovani, dopo averli sollecitati a misurarsi con una
tematica delicata e impegnativa, in quanto fiduciosi nella loro capacità
di elaborare e presentare un contributo di pensiero significativo, se
opportunamente coinvolti e guidati nel contesto formativo della scuola.
E così è stato.
Si è potuto garantire ai presenti una buona prova di “padronanza di
scena”, da parte di giovani preparati, ma anche capaci di esporre
considerazioni personali estemporanee, tranquilli e disinvolti , chiari
e appropriati nella comunicazione, come e forse anche meglio di certi
relatori adulti.
Anche il secondo obiettivo, mettere in relazione diversità, opinioni
cattoliche con opinioni laiche, opinioni di adulti e di giovani,
opinioni di oggi con quelle degli Antichi (ad introduzione, la
programmata rubrica “Le parole degli Antichi”), si è attuato mettendo
sul tavolo la sofferenza, doloroso marchio dell’esistenza umana, per
tutti male da evitare, possibilmente da eliminare. Anche per i
Cristiani, per i quali “portare la croce”, come ha chiarito padre Dino
Dozzi, significa, sull’esempio di Cristo sofferente per “la salute”
dell’umanità, fare la scelta della solidarietà e della condivisione del
dolore del nostro prossimo, impegnarsi per “liberare” dal dolore. Ossia
non è la sofferenza salvifica in sé, ma l’amore. Resta distintivo
dell’essere credenti accettare la sofferenza come “enigma”, per cui solo
la Rivelazione può fornire risposte.
La partenza, centrata sul “perché”, ha proposto la riflessione sul
concetto di “castigo divino”, che dai testi dei poeti tragici della
Grecia classica (Se qualcuno per orgoglio insuperbisce… come può
sperare di difendere il suo animo dagli strali della collera di Zeus?
Sofocle) passa ai Libri del Vecchio Testamento, e poi sul concetto
di “prova” . Il cristiano attraverso la prova del dolore saggia il suo
animo, se mantiene la fiducia in Dio, invisibile e incomprensibile,
diventa più adulto nella fede, cresce. Evidente la corrispondenza con la
maturazione che a livello psicoaffettivo, comportamentale,
intellettuale, spesso conosce l’uomo laico, reagendo all’esperienza del
dolore. Già lo affermò l’antico Eschilo (Le vie della saggezza Zeus
aprì ai mortali, avendo fissato una legge: conoscenza attraverso il
dolore).
Lo ha sostenuto anche il dottor Francesco Medri (“voce laica” di ruolo
in questo incontro) affermando di non avere argomenti per spiegare dei
perché, ma pronto a dire “come” a suo avviso può essere intesa la
sofferenza, una volta accettata realisticamente la sua presenza quasi
costante nel nostro vivere, in tutta la varia gamma delle tipologie. La
sofferenza come “opportunità”: per indagare su se stessi, per vedere le
cose da un altro punto di vista, per ”rinascere” diversi, migliori. Ecco
perché non è bene eliminare le “sane” sofferenze dal percorso di
sviluppo di una persona, nemmeno di un bambino, bisognoso di crescere
mettendosi alla prova.
I giovani studenti hanno accennato al troppo arduo dilemma del Dio
giusto-ingiusto su cui non si sono sentiti di cimentarsi “per non
smarrirsi”. Riconosciuto che la fede aiuta comunque ad affrontare il
dolore, hanno riferito di essersi posti innanzitutto tante domande,
parlando a scuola della sofferenza, a partire dai loro casi personali,
sino a classificare ed analizzare le varie forme, per concludere che
esse interagiscono fortemente . Hanno poi considerato le strategie messe
in atto e possibili, per far fronte al dolore, soprattutto al dolore
“innocente”.
Dopo l’intervento del Dottor Medri, i giovani hanno confermato la
fragilità diffusa fra i coetanei, denunciando che in questa “società del
piacere continuo”, concentrata sulla ricerca spasmodica di beni
materiali, è difficile “riconoscere il vero scopo della vita, saper
vedere le cose importanti”, capire “quando finisce la legittima
aspirazione alla realizzazione di sé”. Facile quindi cadere nella
sofferenza, all’impatto con la realtà; comodo evitare di relazionarsi
con la sofferenza altrui, soprattutto se spazialmente lontana;
conveniente, bandire il pensiero della morte dalla vita, per non
soffrire prima del tempo.
Eppure… vivere è anche morire. Le parole di Euripide rincuorano Admeto
in lutto con “Fatti ragione che il morire è cosa che da ognuno è
dovuto in questo mondo”; l’invocazione di Francesco d’Assisi è per
“Sorella Morte”, ha ricordato padre Dozzi; il dottor Medri ha spiegato
che nella nostra cultura occidentale “è stato costruito” il senso
drammatico della morte, mentre nelle culture orientali è vissuta con
serena accettazione.
Una delle più chiare testimonianze dell’essere cristiani è la
“condivisione” amorosa della sofferenza, con la persona malata, morente,
vecchia; nella versione laica, è “l’empatia”, la “cura” nel senso di
accudimento, compassione, comunicazione, che il dott. Medri ha auspicato
come requisito fondamentale del medico e di chi è vicino al malato. Al
punto che non si dovrebbe definire una malattia “incurabile”, ma se mai
inguaribile. Mentre la voce dei tragici greci giunge desolata e
desolante ( Sofocle: sopraggiunge l’impotente vecchiezza, aspra,
deserta, sola…; Euripide: sopporta nobilmente il tuo dolore, e
poiché non puoi nulla e da nessuno hai speranza di aiuto….), pur
lamentando l’indifferenza e la falsa compassione di molti, i giovani
hanno rivendicato la potenza della speranza, come risorsa per affrontare
il dolore, e il “diritto di chiedere aiuto”, per chi è nel bisogno e
nella disperazione.
Senza negare affatto la necessità dell’intervento medico-scientifico
oggi all’avanguardia, anche sulle sofferenze psichiche e psicosomatiche,
le riflessioni del sacerdote e del medico sono state concordi nel
riconoscere salvifico, in ogni circostanza di dolore, l’atto di amore e
di solidarietà, al centro anche della pratica della medicina palliativa
sui malati terminali. A prevenzione della sofferenza, la raccomandazione
del laico che segue i dettami della medicina olistica è stata quella di
preoccuparsi della “centratura” della propria persona, dell’armonia in
noi stessi di mente, cuore e pancia. A sostegno della sofferenza la
citazione delle parole di un credente handicappato ha dato lezione di
fiducia nella vita. I giovani hanno colto i suggerimenti derivanti da
una riflessione in positivo sul dolore, per cercare di farne
un’occasione di crescita.
A conclusione, si può dire che la millenaria esperienza del dolore e la
riflessione conseguente a livello etico-religioso e filosofico ha
sortito l’effetto di ”illuminare” in qualche modo la disperazione degli
uomini. Le parole desolatamente tragiche di Eschilo, Sofocle, Euripide
ci danno prova del faticoso cammino compiuto verso la luce.
La responsabile
del Gruppo cultura del “Punto d’incontro Ai Cappuccini”
Laura
Montanari
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