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Un premio
scandaloso
di
Ettore Masina
1
La prima sera
di San Silvestro che trascorsi a Roma, quarantadue anni fa, ero solo e
andai a brindare da amici che abitavano a poche centinaia di metri dalla
mia nuova residenza. Poco dopo mezzanotte, tornavo a casa quando fui
quasi investito da un oggetto voluminoso che, piombato dall’alto, seminò
di schegge il marciapiedi sul quale camminavo. Era un water gettato da
una finestra o da un balcone, e certamente mi avrebbe ucciso se ne fossi
stato colpito. Il fatto che si trattasse di un rito antichissimo
(liberarsi di un vecchio oggetto, all’inizio di un anno “nuovo”, per
liberarsi simbolicamente di condizioni o ricordi sgradevoli) non mi
consolò. Continuai a tremare per una decina di minuti.
Ripenso spesso, ogni anno, alla fine dei dicembre, a quella sgradevole
esperienza perché capita anche a me di pensare che l’anno “vecchio” -
insieme a tanti lieti giorni dei quali sono un attento collezionista –
ci ha fatto vivere occasioni sgradevoli di cui sarebbe bello poter
distruggere il ricordo: ma poi, ripensandoci, mi rendo conto che quelle
occasioni, se già non lo si è fatto, è meglio esaminarle con calma per
valutarne la gravità o l’inconsistenza.
2
La consegna
di un premio per benemerenze culturali fatta dal presidente Ciampi a
Oriana Fallaci è la più recente delle sgradevolezze dell’anno 2005. È
stato un atto vergognoso a cui il presidente della Repubblica non
avrebbe dovuto prestarsi.
La parola cultura può avere molte declinazioni ma esprime sempre e
comunque la caratteristica di un processo intellettivo ed etico che
spinge le persone e gli stati a migliorare le proprie convivenze, a
rendere più chiara e protetta la dignità della persona umana, a
penetrare con rinnovata sensibilità i problemi che travagliano la Terra.
Perciò non si può certo negare che esista una cultura di destra:
Giovanni Gentile, Zeffirelli e Longanesi (tanto per fare qualche nome
che mi viene in mente), Kipling e Waugh, Cèline e Juenger, Claudel e
Maurois, nonostante le loro ideologie, hanno aiutato i loro lettori a
porsi interrogativi, a comprendere meglio se stessi e gli altri, hanno
inquietato e provocato. Anche loro, dunque, possono essere considerati
benemeriti della cultura, Non negherò che anche Oriana Fallaci possa
essere inserita nella categoria: anche se, a mio avviso, il suo bagaglio
di idee e di dati è rozzo ed elementare, scrive bene, ha intuito, e il
suo immenso narcisismo giunge talvolta ai confini della poesia. Ha
lavorato a lungo e in molte parti del modo, in situazoni rischiose, e se
anche certi sue caratteristiche (come un radicale anti-islamismo e un
filoamericanismo acritico altrettanto raicale) fossero già presenti da
decenni nei suoi scritti, ha illustrato con bravura fatti e persone, la
desolazione di una materità mancata, l’assassinio di una persona amata…
3
In che cosa
sta allora la vergogna dell’assenso di Ciampi al conferimento del
premio? Nel fatto, secondo me, che quel premio (proposto da quella fine
intellettuale che è la signora Brichetto Moratti, ricostruttrice della
Scuola italiana, e sodale della “cultura” padana) sia stato porto dalle
mani del presidente della Repubblica. Ciampi non può ignorare che la
Fallaci incarna oggi una ideologia razzista, fondamentalista,
isolazionista e guerriera che è l’esatto contrario della cultura della
nostra Costituzione. Qui sta, secondo me, lo scandalo: non che la
Fallaci sia premiata ma che sia premiata in Quirinale. Il presidente ha
spesso levato la sua voce a ricordare i valori della Resistenza: non può
dimenticare che i partigiani cantavano “Non più confini, non più
barriere”, che molti antifascisti furono costretti all’esilio e vollero
poi, nel ricordo di tante sofferenze, porre nella Carta fondamentale
dello Stato, il dovere di accogliere i perseguitati politici; che gli
estensori della Costituzione – da De Gasperi a La Pira, da Pertini ad
Amendola, da Calamandrei a Scalfaro - perseguirono il sogno di una Terra
pacificata in cui le guerre di religione e di civiltà fossero confinate
nel passato. La battaglia della Fallaci è il tentativo di annullare
questa cultura: la premi chi vuole, non si vergogni un direttore di
giornale, benché ebreo, di pubblicare i suoi deliri protonazisti, questi
sono fatti, tutto sommato, marginali. Ma l’”alloro” in Quirinale
significa convalida, ufficialità, dignità nazionale.
4
Accanto a
questo scandalo ce n’è un altro che addolora chi si sforza di essere
cristiano. La Fallaci non è venuta a ritirare il premio, per lei lo ha
ritirato monsignor Fisichella, rettore della Pontificia università
lateranense e braccio destro del cardinale Ruini. Chi ritira un premio,
ovviamente, accetta di farlo per amicizia e consentaneità con il
premiato. “Consentaneo”, il monsignore, con Oriana Fallaci? Leggo il
messaggio di Benedetto XVI per la Giornata della Pace: " Tutti gli
uomini appartengono ad un'unica e medesima famiglia. L'esaltazione
esasperata delle proprie differenze contrasta con questa verità di
fondo. Occorre recuperare la consapevolezza di essere accomunati da uno
stesso destino, in ultima istanza trascendente, per poter valorizzare al
meglio le proprie differenze storiche e culturali, senza contrapporsi ma
coordinandosi con gli appartenenti alle altre culture. Sono queste
semplici verità a rendere possibile la pace; esse diventano facilmente
comprensibili ascoltando il proprio cuore con purezza di intenzioni. La
pace appare allora in modo nuovo: non come semplice assenza di guerra,
ma come convivenza dei singoli cittadini in una società governata dalla
giustizia, nella quale si realizza in quanto possibile il bene anche per
ognuno di loro. La verità della pace chiama tutti a coltivare relazioni
feconde e sincere, stimola a ricercare ed a percorrere le strade del
perdono e della riconciliazione, ad essere trasparenti nelle trattazioni
e fedeli alla parola data". Monsignor Fisichella ha letto certamente
queste parole. Come le concilia con gli scritti pubblici della Fallaci?
Conosco abbastanza l’ambiente ecclesiastico per sapere che cosa egli
potrebbe rispondere a chi gli ponesse la domanda: “La Fallaci è malata,
è un’anima alla ricerca di se stessa, ha chiesto e ottenuto di essere
ricevuta dal Papa, la Chiesa è madre di misericordia. La giornalista mi
ha chiesto questo favore, non potevo negarmi, il Signore si serve di
molte occasioni” eccetera eccetera. Ma anche una risposta del genere non
cancella la gravità del gesto. Se monsignor Fisichella dedicasse il
resto dei suoi giorni a sostenere Oriana Fallaci nella sua malattia con
la generosità che fu ed è propria di certe persone religiose votate alla
carità per i sofferenti o dedicasse gran parte del proprio tempo a
discutere con lei nel tentativo di addolcirne l’amarezza feroce e lo
smisurato orgoglio, di percorrere con lei i sentieri ideali della
Palestina di Gesù, certo non potremmo che rimanerne ammirati. Ma quella
mano tesa pubblicamente a ricevere un premio per una controtestimonianza
evangelica la dice lunga sul tempo che viviamo. Sarei tentato di dire: è
la dimostrazione di un nuovo Concordato, che non è quello preteso con
inutile velleitarismo dalla Rosa nel Pugno, ma un altro, sotterraneo (ma
neppure troppo) fra Alte Gerarchie Ecclesiastiche e Destre che
elargiscono privilegi mentre collaborano diligentemente con le loro
televisioni e le loro devastazioni giuridiche al degrado della
sensibilità cristiana nell’Italia d’oggi.
5
Così, ecco:
senza pensarci ho già proiettato il nostro sguardo verso il 2006.
Persino a un vecchio come me, che ha visto tanti anni drammatici, questo
appare di fatale importanza; e dunque l’augurio è quello di un coraggio
e di un’onestà che ci aiuti a fare chiarezza sulla ragione e sui torti:
e ci ridiano la nostalgia delle grandi utopie. Non riesco a dimenticare
che Paolo VI disse una volta. “Vi sono tempi in cui l’unico vero
realismo è quello delle utopie”.
6
L’utopia come
sogno irraggiungibile? Nella mia immensa ignoranza musicale (della quale
mi vergogno grandemente, anche perché i miei bisnonni Masina erano
cantanti lirici) non avevo mai sentito parlare di Thomas Quastoff. Ed
eccolo nel mio piccolo schermo, ieri, nel concerto della Scala
registrato la vigilia di Natale. Canta nel finale della Nona Sinfonia di
Beethoven con una intensità commovente. C’è qualcosa, tuttavia, nelle
inquadrature del regista, che mi lascia perplesso e risveglia in me
l’interesse dell’ex autore televisivo. Finalmente, la spiegazione:
Quastoff è un nano e per di più focomelico. Mi ritrovo con le lacrime
agli occhi, immaginando la lunga, dolorosa, anzi apparentemente
disperata, storia di una vocazione che poteva sembrare follìa. Come ha
fatto quell’uomo a trarre dal suo handicap tanta forza? Chi gli è stato
vicino, riconoscendogli doti che il suo aspetto sembrava negare? Chi ha
creduto in noi, nella nostra capacità di lasciarci incantare dalla
musica tanto da superare non dico il ribrezzo (perché questa è la parola
vera) per quel corpicino da coboldo, ma la stessa pietà, cosicchè
soltanto la sua voce ci importa? Temerarietà, ottimismo eroico, forza
morale; e quell’uomo canta per noi l’Inno alla gioia, le parole con le
quali Schiller descrisse il sogno di tutti i popoli della Terra uniti in
un abbraccio collettivo.
Buon Anno!
Ettore Masina
Roma, 27 dicembre
2005
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