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Guerra e
Democrazia.
Uninomade -
AA.VV. (a cura di Marcello Tarì)
Guerra e democrazia non
solo convivono in una drammatica attualità ma costituiscono anche i due
aspetti di un problema decisivo: le possibilità stesse di una nuova
democrazia che sia espressione del comune, una democrazia che sia il
governo di tutti, si devono confrontare con lo stato permanente di
guerra – che produce continuamente nemici esterni ed interni – nel quale
ci troviamo immersi. Un folto gruppo di studiosi impegnati nel
rinnovamento del pensiero e delle pratiche politiche si cimentano, in
questo volume collettivo, con la crisi della democrazia rappresentativa,
con le trasformazioni della sovranità nel mondo contemporaneo, con i
soggetti conflittuali generati dalla globalizzazione e dalle nuove forme
dello sfruttamento e della guerra come strumento dell’ordine globale.
Alla ricerca di una nuova definizione di democrazia che tenga presenti
le trasformazioni del lavoro e delle relazioni sociali in una società
caratterizzata dalla centralità dell’informazione e del sapere.
L'autore
L’indice
La prefazione
L'autore
Uninomade
è una rete europea di ricercatori e di studenti che dal 2004 ha iniziato
un percorso possibile di ricomposizione delle intelligenze critiche
attorno a un desiderio comune, quello di costruire un dispositivo di
autoformazione e di dibattito pubblico mettendo a tema i concetti, i
linguaggi e le categorie che le esperienze teoriche e pratiche dei
movimenti hanno espresso in questi ultimi anni. Il problema che
collettivamente ci si è posti è stato il come trasformare l’accumulo di
esperienze in un dispositivo produttivo e costante di conoscenza e di
saperi, ovvero come dare vita a una Università Nomade che sia capace di
attraversare e contaminare sia l’università ufficiale che i luoghi e i
territori di conflitto. Uninomade è una avventura dell’intelligenza
collettiva che cerca di rispondere a quella che è stata ritenuta una
necessità: sottoporre a verifica gli elementi di ricerca politica
acquisiti nelle lotte attraverso il metodo del confronto diretto e la
messa in relazione delle conoscenze. Uninomade ha lo scopo di creare dei
nuovi nomi comuni per costruire una Enciclopedia postsocialista della
scienza della sovversione.
L’indice
PARTE I - GENEALOGIA E CRITICA DELLA DEMOCRAZIA
»
Per la critica della
democrazia politica
Mario Tronti
»
Critica della
democrazia come forma del governo
Sandro Chignola
»
Critica della
democrazia rappresentativa
Alessandro Pandolfi
»
Politica e filosofia
attraverso Spinoza
Filippo Del Lucchese
PARTE II - IL PARADIGMA AMERICANO E LA DEMOCRAZIA APERTA
»
La democrazia in
America: finanziarizzazione e comunismo del capitale
Christian Marazzi
»
New Deal e democrazia
conflittuale
Adelino Zanini
»
Democrazia e mobilità
globale
Sandro Mezzadra
»
Municipalismo e
rappresentanza
Giuseppe Caccia
PARTE III - LA GUERRA COME FORMA DELLA POLITICA
»
I padroni della
costituzione
Michele Surdi
»
Stato di emergenza
globale: quando la guerra diventa pratica di polizia
Roberto Ciccarelli
»
La guerra come
pedagogia politica
Marco Bascetta
PARTE IV - IL DIRITTO COSTITUENTE DEL COMUNE
»
Nuovi diritti e
potere costituente
Toni Negri
»
Prima dei diritti
Ida Dominijanni
»
Lapsus della
democrazia
Pierangelo Di Vittorio
»
Precariato, diritti
ed esercizio del Comune
Marcello Tarì
La prefazione
Uninomade poteva scegliere di cominciare la sua attività pubblica
discutendo di costituzione ed Europa oppure di saperi ed università, di
reddito di cittadinanza oppure di differenza e produzione di
soggettività – temi che poi, in parte, sono stati affrontati o sono in
via di esserlo – e però la scelta cadde in maniera inequivocabile sul
nodo Guerra/Democrazia. I motivi che possono essere elencati come
altrettanti stimoli a favore di questa scelta sono numerosi, non ultimo
quello di fare i conti con la fine di un eccezionale ciclo di lotte no
war. Abbiamo perso? Abbiamo vinto? Oppure questa logica binaria, tipica
del pensiero-di-guerra, non è adeguata alla descrizione del rapporto di
forza tra movimenti e impero?
In realtà credo che la motivazione principale fosse allo stesso tempo
essenziale e di superficie. Essenziale perché solo lo scioglimento, o
meglio, il taglio di quel nodo permetterà ai movimenti di dislocare
tutta la loro potenza di sovversione e allo stesso tempo di costituzione
di un nuovo mondo il quale stenta troppo a venir fuori dalla categoria
del «possibile»; di superficie perché il tema di una ridefinizione dal
basso della democrazia è divenuto un tema comune, nel senso di una
questione impiantata ormai nella vita quotidiana di tutti.
Ma ciò che appariva e appare più importante è proprio l’avviluppamento
di una questione nell’altra: come si fa a praticare un’altra democrazia
in presenza di una guerra «democratica», onnivora, ontologica, come
sostengono gli autori di Moltitudine, che mira a costituire una nuova
dimensione del comando a misura del mondo intero? Come si può spezzare
il dispositivo di comando della guerra globale e permanente senza
costruire strumenti democratici che abbiano almeno una uguale e
contraria forza e intensità?
Il percorso di costruzione del seminario Guerra e Democrazia (i cui
contributi sono raccolti in questo volume) è stato dunque attraversato
dall’esigenza di aprire, tramite uno sforzo collettivo di elaborazione,
uno spazio pubblico di discussione che evidenzi fin dalle sue prime
battute lo stato di crisi irreversibile in cui versa la democrazia, o
meglio, il sistema della democrazia così come si è sviluppato nel secolo
scorso. Dunque una delle linee di riflessione che con forza si è imposta
consiste nell’assunzione di questa crisi come dato politico
imprescindibile: senza sconfitta della «democrazia reale», come già è
stato per il socialismo, senza attraversamento positivo della crisi, non
è possibile configurare alcuna vera rottura storica. Laddove oggi per
democrazia reale dobbiamo intendere dominio a mezzo di guerra. Da qui
non si torna più indietro.
Ma la democrazia forse può essere evocata ancora come dinamica assoluta,
come governo di tutti esercitato da tutti, come effettiva potenza che
agisce dal basso e in rete per costruire il comune. Ciò significa
tagliare definitivamente ogni relazione che intercorre tra le due facce
della democrazia, quella del dominio e quella della liberazione. Bisogna
porre termine alla loro mostruosa dialettica e così mettere la parola
fine alla modernità politica.
Dobbiamo evidentemente essere capaci di riconoscere questi processi nel
loro attuale svolgimento; ad esempio nell’approfondimento teorico e
pratico della crisi della new economy, poiché la cattiva dialettica
della democrazia è possibile vederla in azione anche all’interno di
quell’enorme processo di ridislocazione della ricchezza che è stata la
finanziarizzazione dell’economia, ovvero dentro quel dispositivo che
vede contrapposti nuove forme di sovranità e General Intellect,
capitalismo cognitivo e operai del comune. Oppure possiamo vederla
franare attraverso il prisma della mobilità globale del lavoro vivo,
cioè dobbiamo apprendere la fuga come uno di quegli strumenti di
costruzione della democrazia assoluta di cui parlavamo prima: se la
democrazia reale è «imbrigliamento», se non segregazione, l’altra
democrazia è rottura dei confini, siano essi di natura simbolica o
materiale.
Quello che è certo è che abbiamo di fronte un sistema democratico
globale «reale» che ibrida le urne elettorali con i carri armati,
entrambi schierati a difesa della società proprietaria e che Bush, Blair
e Berlusconi scatenano contro la società dei «senza» (senza-diritti,
senza-reddito, senza-casa, senza-permesso di soggiorno, senza-…) a
riprova della vocazione biopolitica imperiale, ovvero un sistema di
produzione di senso, di ordine sociale e di soggettività assolutamente
subordinato alla dinamica della guerra. Una guerra che non è più
possibile distinguere tra esterna e interna; lo abbiamo imparato nelle
strade di Genova e poi quando, nell’ultimo anno, abbiamo assistito ai
«bombardamenti» di Madrid e Londra.
In questo senso non ha davvero alcun motivo, logico quantomeno,
l’acquisizione del «terrorismo» come qualcosa di diverso e addirittura
autonomo dalla guerra: le bombe di Londra sono un atto di guerra
compiuto all’interno dello spazio imperiale così come l’impero devasta
quotidianamente vite umane in Iraq. L’asimmetria non spiega il
terrorismo, o viceversa, bensì definisce la specificità di questa
guerra.
E la moltitudine? Come può la moltitudine agire per opporsi
efficacemente – non solo a livello simbolico oppure di opinione pubblica
– alla guerra?
Se consideriamo il contributo di Michele Surdi dovremmo da un lato
«tornare alle origini», come già i classici ci insegnano, e riprendere
la proposta repubblicana radicale che cerca il punto di rottura tra
«armi, democrazia e proprietà» ma dall’altro dovremmo porci
collettivamente delle domande non solo su cosa può divenire la
democrazia ma anche, ad esempio, su «che cos’è un arma?» o «quali armi
per la moltitudine?» e trovare risposte non scontate. Bisogna andare a
scuola dai e nei movimenti, questa è l’unica strada che riconosciamo
come legittima per trovare questo genere di risposte. Movimenti che, non
a caso, nel sistema integrato dei media rientrano nello spettro dei
«criminali», della «canaglia», perché immediatamente identificati come
corpo estraneo alla democrazia reale. Ma forse è proprio su questa
estraneità che bisognerebbe insistere, o meglio sulla potenza di esodo
che promana dai movimenti.
Ecco, una delle armi della moltitudine può consistere esattamente in
questo: rovesciare l’estraneità in attività di sovvertimento della
guerra, ciò che vuol dire una cosa sola: diserzione.
Disertare la guerra, disertare il lavoro salariato, disertare il potere.
Da qui si va avanti.
Venezia, settembre
2005
Uninomade - AA.VV.
(a cura di Marcello Tarì)
Guerra e
Democrazia.
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