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Io sono stato a
Falluja
Intervista
di Gennaro Carotenuto
Javier Couso, fratello
di José, il cameraman di Tele5 assassinato a Baghdad dagli statunitensi,
ha visitato Falluja. Ha raccolto eccezionali testimonianze sull’uso di
armi chimiche e sulla sistematica violazione di diritti umani nella
città martire dove 50.000 civili avrebbero trovato la morte sotto le
bombe e i rastrellamenti statunitensi
Javier è nato a El Ferrol, in Galizia, la brutta città portuale dove è
nato Francisco Franco, da una famiglia di tradizioni militari. È una
frequentazione che lo aiuta nella straordinaria precisione con la quale
descrive armamenti e fatti bellici. E la guerra, quella d’Iraq, ha
cambiato la vita di Javier stroncando quella di suo fratello José,
assassinato deliberatamente il giorno prima della presa di Baghdad
mentre lavorava all’interno dell’Hotel Palestina. Sui fatti del
Palestina dove trovarono la morte José Couso e Taras Protsyuk, Javier è
in grado di esibire documentazioni inoppugnabili che testimoniano come
un plotone dell’esercito statunitense quella mattina ebbe l’ordine “di
andare a giornalisti”, colpendo prima Al Jazeera, quindi Al Arabija e
quindi l’Hotel Palestina.
Il documentario di RaiNews24 conferma visivamente quello che Javier
racconta da mesi a chi lo vuole ascoltare. È tra i pochissimi
occidentali ad avere visitato la Guernica irachena e considera
pienamente credibile il numero di 50.000 civili morti in una città che
prima della guerra contava 350.000 abitanti.
“Non è stato facile entrare –la sua visita risale allo scorso aprile- ma
eravamo talmente determinati che ci siamo riusciti. Portavamo materiale
sanitario. Ancora oggi si combatte in città e anche in nostra presenza
cadde un marine. Tutte le case, tutte le moschee sono distrutte”,
racconta. Durante tutte le guerre il rispetto dei luoghi di culto è
stato garantito ed ogni volta che è stato violato, la violazione è stata
considerata un sintomo di barbarie. “In Iraq invece fin dall’inizio le
moschee sono state considerate bersagli legittimi e secondo me è stata
una scelta precisa, un modo deliberato di provocare la guerra civile nel
paese”.
È difficile pensare ad un gruppo di sette spagnoli attraversare l’Iraq.
“Ma gli iracheni, nonostante tutto sanno distinguere tra gli
occidentali. Il nostro gruppo è stato accolto con baci ed abbracci e
ringraziandoci per il ritiro delle truppe spagnole”. Nel quartiere di
Adamilla di Baghdad, considerato “100% resistente”, “in un primo momento
ci furono gesti minacciosi, ma sapevano perfettamente chi era mio
fratello e quindi anche lì siamo stati accolti bene”. Non è l’esperienza
di altri occidentali, incluso sequestrati come Giuliana Sgrena del
Manifesto: “e chi lo sa chi ha sequestrato Giuliana e a quali interessi
rispondevano?” risponde Javier.
“Abbiamo prove di famiglie intere assassinate, che le donne sono state
tutte stuprate in maniera sistematica dalle truppe statunitensi, di
bambini crivellati di colpi nelle loro culle, di persone assassinate
mentre esibivano stracci bianchi in segno di resa, di cani mangiando i
cadaveri che gli invasori per giorni e giorni hanno impedito di
seppellire”. I fatti narrati dalla testimonianza diretta di Javier sono
comparabili ai racconti sull’occupazione nazista in Europa Orientale.
Dappertutto Javier Couso ha raccolto testimonianze sull’evidenza
dell’uso di armi chimiche, napalm, fosforo e sulle strane malattie che
stanno dilagando nella città: “Il quartiere di Jolan è distrutto al 95%.
Ma non è distrutto in maniera normale. La pietra si è sbriciolata,
trasformandosi non in macerie ma in sabbia. Non so che tipo di esplosivo
di enorme potenza possa essere stato usato. Tutti parlano di armi
chimiche, di persone praticamente consumate e soprattutto delle malattie
che colpiscono i sopravvissuti”.
Il supplizio per Javier non è finito, le umiliazioni dei sopravvissuti
sono costanti: “Una scuola elementare è rimasta intatta e quindi
occupata. Ho visto i bambini fare lezione proprio di fronte, sotto un
telo di plastica e bruciati dal sole”. Tutti i servizi sanitari sono
stati colpiti e oggi sono di fatto inesistenti: “L’esperienza più
terribile che ho vissuto direttamente è stata vedere morire davanti ai
miei occhi un ragazzo di 22 anni per una crisi respiratoria leggera.
Abbiamo condiviso la disperazione dei medici. Se solo avessero avuto un
po’ di ossigeno si sarebbe salvato”.
L’invasione, secondo Couso è cominciata proprio dall’ospedale: “I
racconti dicono che sono entrati picchiando e rubando sistematicamente,
i gringos hanno rubato tutto quello che hanno potuto. Hanno riunito
medici e infermieri, li hanno ammanettati e lasciati inginocchiati con
la testa per terra tutta la notte”. Qui la testimonianza di Javier Couso
si fa se possibile più cruda: “Per almeno otto giorni, mentre la città
veniva coventrizzata, in nessun ospedale, in nessun ambulatorio, in
nessun centro medico è stato permesso che affluisse un solo ferito.
Questo testimonia che tutti i feriti hanno ricevuto il colpo di grazia o
sono stati lasciati morire dissanguati”. Le immagini che hanno fatto il
giro del mondo e che sono state rapidamente silenziate, confermano la
testimonianza di Couso. “È che loro –gli statunitensi- non lo negano.
Semplicemente rivendicano di avere fatto un uso adeguato della forza,
secondo le loro regole di combattimento. Suppongo che siano le stesse
regole di combattimento dei nazisti”.
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