|
La lettera
di
Ettore Masina
1
Imprevedibilmente, avendo riletto alcuni appunti di viaggio, mi capita
di pensare a Brasilia, una delle più "moderne" città della Terra, come a
una metafora del mondo in cui viviamo. Brasilia ha una storia che
rimarrà negli annali. Per evitare che la popolazione continuasse ad
ammassarsi sulle coste, il presidente Juscelino Kubitschek, all'inizio
degli anni '50 del XX secolo, decise di dar vita a un antico sogno
brasiliano: la costruzione di una nuova capitale nell'interno
dell'immenso paese. Fu una grandiosa epopea: identificata un'enorme area
del Planalto - l'altipiano o Massiccio centrale-, vi furono paracadutati
uomini e bulldozers che costruirono a tempo di record un'aeroporto;
decine di velivoli vi atterrarono per mesi e mesi, giorno dopo giorno,
portando migliaia di operai e tutto il materiale necessario al più
grande cantiere della storia, marmo di Carrara compreso. In soli tre
anni, fra il 1957 e il 1960 , la città fu edificata. Oggi vi abitano 2
milioni di persone.
Clotilde ed io vi giungemmo nell'agosto del 1985. Molto più del
desiderio di vedere gli straordinari edifici progettati da Oscar
Niemeyer, uno dei migliori architetti del secolo, sentivamo la necessità
di una visita da compiere. Dovevamo andare a trovare Luís Medeiros, un
crocifisso vivente, se mi è permessa un'immagine che può sembrare
retorica. Nel 1973, durante la feroce dittatura militare, Luís, vent'anni,
studente, comunista, era stato imprigionato e seviziato per ore e ore.
Il secondo giorno del suo supplizio, in un momento di disattenzione dei
suoi carnefici , era riuscito a buttarsi da una finestra. Era rimasto
tetraplegico, che vuol dire paralizzato in tutti gli arti. Don Renzo
Rossi, un eroico prete fiorentino divenuto una specie di cappellano
itinerante dei prigionieri politici brasiliani, lo aveva segnalato alla
Rete Radiè Resch: da quel momento gli passavamo un piccolo aiuto
mensile.
Ricordo (ricordiamo, con Clotilde) quella visita come un momento
terribile. Nel volto scavato di Luís gli occhi bruciavano. Ci dicemmo
poche parole: sembrava assorto in un suo sogno terribile. Parlò, quando
uscimmo dalla stanzetta in cui il figlio giaceva, sua madre, Dona
Juliana. "È accaduto perché era troppo coraggioso disse. - Anche due mie
nipotine erano troppo coraggiose e sono morte, annegate in un fiume. Mio
padre, invece, a 85 anni, è ancora vivo: lui ha sempre avuto paura". Non
c'era ombra di ironia, nella piccola donna del tutto simile alle
tragiche Addolorate venerate nelle chiese barocche del Brasile. La sua
quieta disperazione esprimeva il capolavoro culturale dei Potenti:
convincere i poveri che la libertà è rischiosa - e la paura doverosa
saggezza. Nel cuore di un'orgogliosa città era nascosto questo grumo di
dolore e di resa.
2
L'epopea di
Brasilia non fu tutta luminosa. La costruzione della città fu occasione
di colossali ruberie di politici e di imprenditori. Costò la svendita di
buona parte della sovranità nazionale alla Volkswagen, la quale pagò
miliardi e miliardi perché Brasilia non avesse collegamenti ferroviari
con il resto del Paese, ma soltanto autostrade; fu teatro di sprechi che
dovettero sconvolgere nell'oltretomba gli spiriti dei Faraoni.
3
Vi fu anche
un risvolto magico-cattolico. Si sapeva che il glorioso San Giovanni
Bosco aveva sognato una volta un'immensa città brasiliana sulle rive di
un lago. Si poteva contrastare il sogno di un santo? Un grande lago
artificiale fu rapidamente scavato.
4
Il "creatore"
di Brasilia, l'urbanista Lúcio Costa, aveva progettato per la sua città
una forma d'ala. In quegli anni una canzone commoveva il Brasile. Si
intitolava "Asa branca", ala bianca: è il nome della colomba selvatica
che abitava il Nordeste: "Persino l'asa branca se n'è andata dal sertâo
- diceva la canzone, alludendo alla terribile siccità che sconvolgeva la
regione. - Allora ho detto: "Addio, Rosina, tieni con te il mio cuore…".
L'ala di Lúcio Costa forse doveva ricordare quella umana tragedia oppure
un angelo della storia, in volo verso il progresso, ma in una megalopoli
in cui tutto era stato previsto (persino la forma dei taxi, le divise
dei conducenti degli autobus e i fiori da piantare nell'una o nell'altra
aiuola) accadde un guaio. Gli operai che avevano costruito la città non
se ne tornarono nell'aridità delle terre dalle quali erano venuti e
neppure nella miseria delle periferie delle città "spontanee";
preferirono costruire l'infamia delle loro favelas accanto alla
perfezione di Brasilia. Moltissimi altri vi arrivarono da tutto il
Brasile. I poveri non hanno rispetto per gli intellettuali, i poveri
sono, inevitabilmente, creatori di disordine; e l'ala di Lúcio Costa, a
vederla dall'alto, pare adesso disegnata da un bambino molto piccolo:
oppure l'ala di un angelo malato di cancro o d'un uccello le cui piume
sono gonfie di piogge velenose.
Debbo dunque spiegarvi perché Brasilia mi sembra l'icona del mondo in
cui viviamo?
5
Avendo
parlato del Brasile, non posso non dire la commozione con la quale ho
seguito la vicenda del referendum brasiliano contro il commercio delle
armi, oltre a tutto il primo referendum nella storia del Paese. 38 mila
brasiliani vengono uccisi ogni anno da armi da fuoco. All'uso delle
rivoltelle (quando non dei fucili) sono legati, non soltanto decine di
migliaia di delinquenti "qualificati" ma anche centinaia di migliaia di
"lavoratori": poliziotti, naturalmente, e vigilantes, ma anche
pistoleiros a servizio dei grandi proprietari terrieri e, non raramente,
delle multinazionali; e quasi mai è possibile tracciare un esatto
confine fra l'una e l'altra professione. Dopo gli incidenti stradali, le
armi da fuoco sono la seconda causale di morte degli adolescenti
brasiliani. Recentemente, in alcune zone, sono comparse bande armate di
bambini sotto i 15 anni…
Benché, nel mio piccolissimo, abbia cercato di fare qualcosa anch'io per
propagandare il Sì, e nonostante alcuni sondaggi lasciassero prevedere
una possibile vittoria dei nonviolenti, ho sempre temuto che il
referendum fosse un'iniziativa avventata, soprattutto quando ho visto
che il governo, i partiti di sinistra e le Chiese, spendevano le loro
forze con grande avarizia, mentre i mass-media, gli industriali, i
terratenientes e molti borghesi hanno levato il vessillo "democratico"
del diritto assoluto e fondamentale a provvedere personalmente alla
propria difesa.
Avevo purtroppo visto giusto: i referendari sono stati sconfitti. E
tuttavia i Sì all'abolizione del commercio delle armi sono stati 32
milioni: ecco una forza di pace difficile da immaginare, la quale mostra
come grandi appelli possano essere accolti almeno da una minoranza
nient'affatto marginale. Perciò bisognerà non dimenticare il problema,
preparare una crescita di sensibilità, dimostrando anche una semplice
verità: che fra un delinquente e un galantuomo armati quasi sempre è il
criminale ad essere più veloce ed efficace.
Com'è avvenuto altre volte, il Brasile si è rivelato anche questa volta
uno straordinario laboratorio politico in cui si confrontano duramente
opposte scelte di civiltà su problemi che sono anche del Nord e
dell'Occidente, ma ancora non evidenti fra noi. Infatti, scarsa
attenzione ha suscitato fra noi il fatto che, negli stessi mesi in cui
si svolgeva la battaglia referendaria brasiliana, negli Stati Uniti
l'industria delle armi - con il sostegno di un Congresso di cui molti
parlamentari devono l'elezione ai fondi da essa ricevuti - riusciva a
imporre una giurisprudenza secondo la quale nessuna responsabilità può
esserle imputata per l'uso dei suoi prodotti, ormai di vastissima
diffusione, come mostrano certi terribili episodi di cui (ne portiamo
tutti nel cuore l'orribile ricordo) sono protagonisti ragazzi delle
scuole medie; e in Italia andava (e va) crescendo a vista d'occhio,
soprattutto nelle zone più agiate, la simpatia, talvolta tradotta in
vere e proprie manifestazioni pubbliche di sostegno, per chi, minacciato
nella "roba", non esita a sparare su rapinatori e su ladri. Che la
"roba" possa valere più di una vita umana non è convinzione soltanto di
criminali ma anche di onesti cittadini: e difatti anche in Brasile la
difesa delle armi "private" ha corrisposto in misura nettissima al
reddito medio dei singoli stati.
Essere attenti a quanto accade nel mondo e confrontarlo attentamente con
quanto accade da noi, ecco un dovere da non dimenticare. La Terra si è
fatta piccola e non esistono più mari e montagne capaci di separare
popolo da popolo. I ghiacciai si ritirano sulle Alpi e le calotte polari
si assottigliano mentre - è allarme di questi giorni - svaniscono i
laghi africani. Così avviene della nostra civiltà e dignità e rispetto
delle generazioni future: tutto si tiene e una condanna a morte negli
States, un attentato terroristico in Israele, la negazione dei diritti
umani in Birmania, tanto per citare alcuni fenomeni che straziano il
nostro tempo, fanno parte di un unico sistema di violenza. Ma questo
vale anche per il bene. I nonviolenti brasiliani si saldano, senza
saperlo, ai nonviolenti italiani o tedeschi, alle Nonne di Piazza di
Maggio, alle madri dei soldati morti per una guerra senza onore. Troppo
spesso noi non siamo consapevoli che quando allarghiamo generosamente i
confini delle nostre responsabilità, ci leghiamo a un immenso popolo che
lentamente, a fatica e con dolore, cerca di costruire un futuro migliore
del presente. Siamo inseriti, che lo sapiano o no, in un grandioso
disegno. Mi ha raccontato una volta Leonardo Boff che mentre Brasilia
andava nascendo, il presidente Kubitschek si recava spesso a ispezionare
i lavori e amava parlare con i muratori. Domandava: che cosa state
facendo? E uno rispondeva: sto lavorando a una scala, e un altro: sto
ponendo dei tubi, e un altro ancora: sto verniciando un muro. Ma un
anziano operaio, in ginocchio sui bordi di un canaletto fognario nel
cantiere della basilica arcivescovile, alla domanda del presidente si
levò in piedi, raddrizzò a fatica la schiena, si guardò in giro, e
rispose. "Cosa faccio io? Io, signor presidente, sto costruendo una
cattedrale".
www.ettoremasina.it ottobre 2005
|
|