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La pena di
morte è un deterrente?
di
Claudio Giusti
edizione riveduta e
aggiornata per il Seminario del 22 ottobre 2005
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Questo saggio deve
molto agli affettuosi incoraggiamenti del Prof. Norberto Bobbio e del
Gruppo di Lugo di Amnesty International.
A loro ed alla Biblioteca Ruffilli vanno i miei più sinceri
ringraziamenti.
Forlì 11 gennaio 2001
Claudio Giusti
La pena di
morte è un deterrente?
1.1 La deterrenza negli Stati Uniti
1.2
L’arrivo di Erlich
1.3 La velocità della punizione
1.4 Un quarto di secolo di esperimento americano
1.5 Volontari
1.6 Lo studio del New York Times
1.7 Jeffrey Fagan
1.8 Young
guns
1.9
Dulcis in fundo
1.10
Conclusione
Punti di discussione
2.1 L’onere della prova
2.2 Cosa succederebbe
se …
2.3 Le esecuzioni
pubbliche
2.4 Omicidio di poliziotti e guardie carcerarie
2.5 La pena
di morte ed il terrorismo
2.6 La pena di
morte e la droga
2.7 La
deterrenza e le Nazioni Unite
2.8 La deterrenza nel
mondo
- Australia
- Canada
- Nigeria
- Singapore
- Il caso italiano
Aneddotica
3.1 Dell’uso
corretto dell’aneddotica
3.2 Il caso Gilmore
3.3 Dottor Jekyll e
Mr. Hyde
3.4 Sindrome
dell’omicida suicida
3.5 Automobili e
pena di morte
3.6 Varie
L’antideterrenza
della pena di morte
4.1 La sindrome
del giustiziere
4.2 La sindrome del palcoscenico
4.3 La
sindrome del suicida omicida
Appendice
-
La teoria della
deterrenza
- Bibliografia
La pena di
morte e’ un deterrente?
"La domanda da
farsi non è se la pena di morte abbia un potere deterrente nei confronti
di potenziali assassini, ma se questo potere sia maggiore di quello
determinato dalla prigione a vita."
Fattah (1981)
“Le possibilità di
essere giustiziati per omicidio sono estremamente remote”
Bohm (1999 - 93)
"La pena capitale è
senza giustificazione. E' insufficiente come deterrente e moralmente
ripugnante."
Nuova Zelanda, Commissione Ufficiale, 1987
(AI ACT 51/07/89 - 183)
"E' comico che,
nonostante la pena di morte non abbia alcun effetto sul crimine [che sia
o no capitale] essa continui ad essere il 'proiettile d'argento'
favorito dai politici. Una soluzione semplicistica del problema"
Bohm (1999 - 97)
"Il mattino dell'esecuzione cantavano: <Viva i ribelli!>. Cantavano
lungo la via che li portava al patibolo. (...)
Non ho mai pensato che fosse un deterrente.
Non hanno paura di morire, come può essere un deterrente. (...)
Onestamente penso che con centinaia di esecuzioni che ho fatto, non ho
mai fermato nemmeno un assassino."
Albert Pierrepoint (ultimo boia britannico, intervistato nel video
“Quando lo stato uccide” di Amnesty International)
L’esperimento
americano.
In questi ultimi 30 anni almeno due paesi l’anno hanno abolito la pena
di morte portando il totale dei paesi abolizionisti a 121. Secondo
Amnesty International 86 sono abolizionisti totali, 11 parziali e 24 de
facto, mentre sono 75 i paesi che continuano ad usarla. In questo
periodo Europa e Stati Uniti hanno preso vie divergenti. La prima si
vanta di essere una “death penalty free land”, mentre i secondi
continuano ad applicarla e si trovano in compagnia dei “soliti
sospetti”: Arabia Saudita, Cina, Iran, ecc.
Dal 17 gennaio 1977, quando lo Utah fucilò Gary Gilmore, sono quasi
1.000 i condannati uccisi dalla giustizia americana. Da questo cruento
“esperimento” è possibile trarre molte conclusioni. In questo saggio
illustro come una delle giustificazioni della pena capitale, la sua
presunta deterrenza, non abbia alcun fondamento scientifico. (le altre
giustificazioni sono la retribuzione ed il rifiuto di pagare il
mantenimento dei criminali in carcere). L'attenzione è concentrata sugli
USA perché questi ci forniscono una quantità di dati che non trova
confronti, visto anche che la pena di morte è abolita in tutti i Paesi
decenti. (Per quanto ne so solo la Nigeria ha prodotto uno studio
scientifico sull’argomento). Gli Stati Uniti sono uno splendido
laboratorio che ci permette di verificare se la pena di morte sia un
deterrente, visto che alcuni Stati hanno la pena di morte mentre Stati
loro adiacenti non l'hanno. Purtroppo questo laboratorio usa come cavie
degli esseri umani.
La pena di morte è un deterrente?
Non vi è alcun dubbio che la pena di morte sia un deterrente. Il
problema sta nello stabilire se essa sia un deterrente maggiore
dell'incarcerazione. o se al contrario essa abbia un effetto
antideterrente, possa cioè spingere le persone a commettere, o a rendere
più gravi, quei crimini che pretende di ridurre. La teoria della
deterrenza della pena capitale si basa su di un ragionamento molto
semplice: la gente ha paura di morire e perciò non commette i reati che
sono puniti con la morte. Quindi per ridurre il crimine basta allargare
l’uso della pena capitale. L’esperienza ha dimostrato che non è vero.
Molta gente non ha paura di morire e lo dimostra l'alto numero di
omicidi (da un terzo alla metà) che sono seguiti dal suicidio, tentato o
attuato, dell'assassino, poi perché la deterrenza prevede che la gente
sia sempre razionale (cosa che succede piuttosto di rado) e che il
potenziale assassino sappia esattamente quale omicidio è capitale e
quale non lo è. Poi è evidente che chi uccide perché travolto dalla
gelosia o dall'ira, o perché ha la mente ottenebrata dall’alcool o dalle
droghe, non lo fa calcolando razionalmente i possibili effetti delle sue
azioni, mentre chi prepara accuratamente il crimine fa affidamento sul
fatto di non essere scoperto. Inoltre un motivo razionale che gioca
contro la deterrenza è che le probabilità che un assassino sia
catturato, condannato a morte e ‘giustiziato’ sono estremamente basse.
Secondo Thorsen Sellin infatti è molto più facile essere uccisi mentre
si compie il delitto o immediatamente dopo:
“a Chicago,
durante il periodo 1934 – 1954, la polizia uccise (…) criminali o
persone sospette (…) per un totale di 350. Durante lo stesso periodo,
nella prigione di Cook County, ci sono state 45 persone giustiziate per
assassinio. In altre parole ci sono stati circa otto volte più rei di
omicidio uccisi ufficiosamente, per così dire, di quelli giustiziati
sulla sedia elettrica. Durante questo periodo di tempo si sono avuti,
conosciuti dalla polizia, 5.132 assassinii e omicidi premeditati. Quindi
per il 16.45% di questi omicidi un criminale o una persona sospetta
venne uccisa dalla polizia o da privati cittadini, mentre lo 0.88% venne
mandato sulla sedia elettrica” (Sellin cit. in Fattah 1981)
Sempre a Chicago
“Secondo uno
studio di Sara Dike ‘nel periodo 1918-1968 ci furono 1004 omicidi
collegati al mondo del crimine, per questi si ottennero 23 condanne di
cui 4 all’ergastolo e nessuna a morte’ “ (BOHM 1999-93)
In definitiva
"Indipendentemente dalle statistiche che vengono impiegate, l'
inevitabile conclusione è che il rischio obbiettivo e statistico, per un
potenziale assassino, di essere incriminato, condannato a morte e
giustiziato (...) è bassissimo. Infatti il potenziale omicida corre un
rischio molto maggiore di essere ucciso mentre commette il suo crimine o
mentre sta scappando dalla scena del delitto," (Fattah 1983-193)
1.1 La
deterrenza negli Stati Uniti
Di recente, di fronte ai numerosi casi di innocenti condannati a morte,
abbiamo visto crescere nel pubblico americano la fiducia nella pena di
morte quale deterrente. La ragione è che la teoria della deterrenza
fornisce un alibi intellettualmente rispettabile al desiderio di
vendetta e di sangue dell’americano medio. Non per nulla i due candidati
alla presidenza, Bush e Gore, hanno affermato all’unisono la loro
fiducia nella pena di morte come deterrente per l’omicidio (WASHINGTON
TIMES 27.11.2000). Messi di fronte agli errori della loro giustizia, gli
americani si rifugiano dietro Van Den Haag per il quale l’uccisione di
innocenti è giustificata dal fatto che tante altre vittime potenziali
sono salvate dalla paura che suscita la forca.
Anche per la Corte Suprema Americana la deterrenza sembra essere una
valida giustificazione della pena capitale. Per essa:
“La pena di morte serve a due principali scopi sociali, la retribuzione
e la deterrenza (per i delitti capitali) nei confronti dei possibili
criminali.” Gregg contro Georgia 1976 (Hodginson 1996c-38)
e
“A meno che la pena di morte non contribuisca in modo misurabile ad uno
di questi due obbiettivi, essa altro non è se non l’imposizione, inutile
e senza scopo, di sofferenze e dolori, e quindi una punizione
incostituzionale” Emmund contro Florida 1982 (Hodginson 1996c-38)
Purtroppo la Corte non si è preoccupata di documentarsi sulla lunga
tradizione di studi ed opinioni del mondo anglosassone sulla non
deterrenza della pena capitale.
Senza scomodare Guglielmo il Conquistatore, che già 1000 anni fa
riteneva che la pena di morte dovesse essere abolita in tempo di pace,
l’abolizionismo, o almeno la richiesta di ridurre il numero dei reati
capitali, era un tema già caro ad alcuni dei Padri Fondatori come
Jefferson e Franklin, senza contare poi che l’abolizione fu proposta da
Rush durante la stesura della Costituzione. In ogni caso il primo studio
scientifico sulla presunta deterrenza della pena di morte fu compiuto
dal deputato del Massachusetts Robert Rantoul che, nel 1846, analizzò i
dati provenienti dai paesi che avevano abolito la pena di morte o che ne
avevano ridotto l’utilizzo e fu forse il primo a dimostrare
l’irrazionalità della pena capitale come deterrente per il crimine. Più
di recente (negli anni 60) il sociologo Thorsten Sellin, utilizzando i
dati degli anni dal 1925 al 1955, mise a confronto alcuni Stati
americani confinanti e scoprì che:
“ il Nord Dakota, uno Stato senza la pena di morte, aveva un tasso di
omicidio più basso di quello dei due Stati simili, il Sud Dakota ed il
Nebraska, che invece l’avevano. Il Michigan, uno Stato abolizionista,
aveva il tasso uguale a quello dell’Indiana e più basso di quello
dell’Ohio, entrambi con la pena capitale. Il Rhode Island, che aveva
solo l’ergastolo, venne paragonato a due Stati con la pena di morte,
Massachusetts e Connecticut. Il tasso di omicidio del Rhode Island era
più basso di quello del Connecticut e uguale a quello del Massachusetts.
A essere sinceri un paio di Stati senza la pena di morte (Maine) avevano
un tasso di omicidio più alto di quello di Stati comparabili (New
Hampshire), ma in generale gli Stati con il boia avevano tassi di
omicidio significativamente più alti di quegli Stati che non uccidevano
gli assassini.” (Costanzo1998 - 97) e (Bohm 1999 - 86)
Anche la rivista Time giunse, anni dopo, alle medesime conclusioni:
"Il Michigan, che abolì la pena capitale nel 1847 aveva un tasso di
omicidi identico a quello degli adiacenti Ohio e Indiana che avevano
esecuzioni, Allo stesso modo Minnesota e Rhode Island, Stati senza pena
di morte, avevano in proporzione tanti omicidi quanti i loro rispettivi
vicini Iowa e Massachusetts che avevano la pena capitale. Nel 1939 il
Sud Dakota adottò ed usò la pena capitale, ed il suo tasso di omicidi
scese del 20% nel decennio successivo; il Nord Dakota, che negli stessi
10 anni continuò senza pena capitale, vide il suo tasso di omicidi
diminuire del 40%" (Time 24.01.1983)
Lo stesso risultato venne raggiunto dagli studi di Peterson e Bailey, di
Lempert, di Archer e Gartner e le comparazioni fra i vari stati del
Canada e dell’Australia prima che la pena di morte venisse abolita
completamente in entrambe le federazioni.
Visto che non dimostra la deterrenza della pena capitale questo tipo di
comparazione fra Stati confinanti è considerata troppo grossolana, ma
non lo sarebbe se desse il risultato contrario. (In compenso il solito
Van Den Haag ha affermato, non si sa su quali basi statistiche, che la
pena di morte consente a Singapore e Arabia Saudita di avere un basso
tasso di crimini). Così si sono fatti studi sempre più raffinati e
complessi come quello che il professor Baldus ha compiuto nel 1975. Egli
“aveva tenuto conto di numerosi fatti che notoriamente influenzano il
tasso di omicidio: disoccupazione, possibilità di arresto e condanna,
popolazione fra i 15 ed i 24 anni, spesa pro capite per la polizia,
ecc.” (COSTANZO 1998- 99) ma nemmeno lui trovò un effetto deterrente
della pena di morte.
1.2 L’arrivo di Erlich
Tutto questo non poteva, ovviamente, soddisfare i fautori della forca;
così saltò fuori, come il coniglio dal cilindro del prestigiatore, il
saggio dell'economista Isaac Erlich (“The Deterrence Effect of Capital
Punishment”). In questo studio costui non solo "dimostrava" che la pena
di morte era un deterrente, ma che, cosa mai tentata prima, era
addirittura possibile calcolare che ogni esecuzione aveva evitato
setto/otto omicidi. Lo studio di Erlich trovò un pubblico entusiasta e
venne abbondantemente citato dai sostenitori della pena di morte durante
il dibattito che precedette la sentenza GREGG. Sfortunatamente, per
Erlich, la sua analisi faceva acqua da tutte le parti e i criminologi
non vollero privarsi del piacere di colarla a picco.
Il suo errore più clamoroso è quello di considerare sempre l’intera
popolazione americana, mentre nel periodo da lui considerato (1933 -
1969) si sono avuti Stati abolizionisti e Stati con la pena di morte, e
altri che l'hanno abolita o reintrodotta. Ma Erlich non modifica la
somma degli abitanti e fa i suoi calcoli come se gli americani fossero
stati tutti sotto la minaccia dell'esecuzione. Da notare che per tutto
il periodo considerato i tassi di omicidio furono più alti negli stati
con la pena di morte rispetto a quelli abolizionisti (PETERSON
1999-165). Inoltre, se si tolgono dalle sue statistiche gli ultimissimi
anni (1963 - 1969), quelli in cui vi erano state pochissime esecuzioni,
tutto l'effetto deterrente della pena di morte scompare. (Bailey/Peterson
1994 -142)
Questo significa che se si considerano solo gli anni in cui la pena
capitale era largamente usata si scopre che questa non aveva alcun
effetto deterrente.
La stessa Corte Suprema, in Gregg, si dimostrò scettica sullo studio:
“Tentativi di valutare statisticamente gli effetti deterrenti della pena
di morte (…) si sono rivelati inconcludenti” (COSTANZO 1998-100), mentre
l’Accademia Americana delle Scienze si prese il disturbo di costituire
un’apposita commissione, guidata dal Nobel per l’economia L. R. Klein
che non trovò alcun effetto deterrente nello studio di Erlich. Ma il
mito della deterrenza della pena di morte è duro a morire e il nostro
Erilch ha trovato dei continuatori come Stack e Layson che hanno
prodotto risultati ancor più mirabolanti dei suoi. Le vite salvate dalle
esecuzioni sono diventate prima 19 e poi addirittura 30; ma anche questi
studi hanno le fragili fondamenta del precedente. (Bailey/Peterson
1994-143)
1.3 La velocità
della punizione
Visto che gli studi “scientifici” sulla deterrenza sono stati tutti
screditati i fautori della pena di morte hanno trovato una nuova scusa a
favore della loro tesi: cioè che la pena di morte perderebbe il suo
potere deterrente a causa del tempo che passa fra il delitto e
l’esecuzione (in media una decina d’anni, ma a volte venti e più). Una
maggiore velocità nel processo e negli appelli consentirebbe di uccidere
l’assassino pochi anni (cinque?) dopo il crimine e restituirebbe alla
pena capitale il suo effetto deterrente.
Ovviamente non si tiene in considerazione che questa velocizzazione
ridurrebbe ulteriormente le già scarse garanzie di cui gode l’imputato
di un reato capitale e che, se questa velocità ci fosse stata nei
passati 30 anni, buona parte delle 121 persone tornate in libertà
sarebbe stata uccisa, visto che ci sono voluti molti anni, anche venti,
perché la loro innocenza venisse riconosciuta.
Ma anche questa “teoria” è fasulla, perché la velocità di uccisione non
influenza minimamente la volontà dei criminali. In proposito Stephen
Bright ha dato la migliore risposta che io conosca:
“Avevamo un sistema veloce e senza spese: si chiamava linciaggio. Era un
fatto assolutamente noto che in Alabama, negli anni venti e trenta, se
un certo tipo di crimine veniva commesso contro un bianco, specialmente
se da un nero, chi lo aveva commesso sarebbe stato impiccato all’albero
più vicino. Ma non esistono prove che questo funzionasse da deterrente”
(…) “Negli anni trenta e quaranta non c’erano gli appelli federali che
abbiamo oggi e le esecuzioni, senza contare i linciaggi, arrivavano
velocemente, ma non c’era alcun effetto deterrente (Bright 1995)
Inoltre secondo Bohm:
“Durante gli anni Trenta ci furono 1676 esecuzioni negli Stati Uniti.
Una media di 167 esecuzioni l’anno e di 14 al mese (…) di cui 199 nel
[solo] 1935 (…), il tempo medio fra condanna ed esecuzione era di 14,4
mesi mentre la media del 1996 era di 125 mesi. Se la pena capitale
avesse un effetto deterrente, e la frequenza e la celerità delle
esecuzioni fossero importanti, ci si dovrebbe aspettare un tasso di
omicidio, per quel decennio, relativamente basso. Invece i dati
dimostrano che i tassi di omicidio erano più alti negli anni Trenta che
negli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta, decadi che ebbero un numero
di esecuzioni minore.” (Bohm 1999-92)
1.4 Un quarto di secolo di esperimento americano
In questi ultimi anni di “esperimento americano” con la pena di morte
gli studi sulla sua supposta deterrenza sono continuati senza tregua
spaccando il capello in quattro. Gli studi che ne “dimostravano” la
deterrenza sono stati sezionati e screditati. Si sono analizzati i dati
relativi agli Stati che hanno abolito o reintrodotto la pena capitale,
quelli relativi agli omicidi di poliziotti e ai felony murders. Si è
controllato il livello degli omicidi dopo le prime, altamente
pubblicizzate esecuzioni (Gilmore e Spenkelnik). Si sono introdotte
nelle equazioni tutte le varianti possibili ed immaginabili, ma il
risultato è sempre lo stesso: non si trova uno straccio di prova che
dimostri che la pena di morte sia un deterrente.
Nel 1980 una commissione del Senato americano scrisse che la deterrenza
della pena di morte non è dimostrata sia per l'inaffidabilità degli
studi, che per l'opinione contraria di chi sul campo fa applicare la
legge, che per la logica inerente alla minaccia di morte. (BOHM 1999-90)
Nel 1989 la Società Americana di Criminologia intervistò 67 presidenti
ed ex presidenti di associazioni di criminologi e scoprì che il 90 per
cento di questi riteneva che la pena di morte "non è mai stata, non è e
non potrà mai essere un deterrente per l'omicidio maggiore di una lunga
detenzione." (BOHM 1999-90)
Radelet e Dieter hanno compiuto degli studi empirici intervistando gli
esperti del settore: capi di polizia e noti criminologi. Anche questi
ritengono che il problema stia da altre parti (consumo di droghe, troppe
armi in circolazione, ecc.) e che la pena di morte non risolva nulla. (Radelet/Akers
1996)
Il ritorno delle esecuzioni in Oklahoma è stato analizzato senza che
venisse rilevato un aumento nel numero totale degli omicidi nel periodo
successivo alla prima esecuzione, anche se si è osservato un notevole
aumento degli omicidi avvenuto fra persone che non si conoscevano. (Cochran
1994 e Bailey1998)
Nel 1999 Jon Sorensen e altri hanno esaminato i dati provenienti dallo
Stato Campione delle esecuzioni: il Texas di George Bush Jr. Nemmeno
loro hanno trovato prove a sostegno della teoria della deterrenza, che è
come dire che più di trecento persone sono state uccise inutilmente. (Sorensen/Wrinkle
1999)
1.5 Volontari
Non ci si sofferma mai abbastanza sul fatto che più del 10% delle
vittime della pena capitale americana si è consegnata volontariamente al
boia.
Alcuni, come Cristina Riggs, non hanno nemmeno interposto appello,
altri, come McVeight, volevano dimostrare che erano “padroni del loro
destino”, altri ancora erano semplicemente distrutti dal vivere chiusi
dentro una scatola di metallo. Tutti erano meno spaventati dalla morte
che dall’idea di passare un lunghissimo periodo in carcere. Questo
dimostra ancora una volta che le lunghe detenzioni sono un deterrente
ben più valido di una improbabile sentenza capitale.
1.6 Lo studio del
New York Times
Le due tabelle allegate allo studio sulla deterrenza fatto dal New York
Times il 22 settembre 2000 (vedi allegati) dovrebbero mettere fine a
tutte le elucubrazioni sulla deterrenza della pena di morte.
Nella prima vediamo come l’andamento del tasso di omicidio negli stati
abolizionisti si muova in perfetta sintonia con quello degli stati che
hanno la pena capitale, con l’unica significativa differenza che i primi
hanno un tasso medio più basso di quello dei secondi.
La seconda tabella è ancora più illuminante della prima. In essa vengono
confrontati i tassi di omicidio di quattro stati: il Texas che ha fatto
più di un terzo di tutte le esecuzioni, la California che, pur avendo un
braccio della morte strapieno, ne ha fatte pochissime, lo stato di New
York che, pur avendo la pena di morte, non ne ha fatte e il glorioso
Michigan che è abolizionista dal 1847. E’ impressionate vedere come le
curve dei tassi di omicidio si muovano all’unisono, dimostrando
visivamente che tutte le storie sulla deterrenza della pena di morte non
sono altro che “bufale”.
1.7 La
testimonianza di Jeffrey Fagan
Nella sua devastante testimonianza Jeffrey Fagan (come del resto Berk e
Goertzel) fa letteralmente a pezzi gli studi dei forcaioli. Infatti
“Questi nuovi studi sono pieni di errori tecnici e concettuali” quali la
mancanza di dati fondamentali provenienti da stati chiave come la
Florida. Gli emuli di Erlcih ammucchiano senza discernimento tutti i
tipi di omicidio. Anche quelli causati da passione o gelosia, per i
quali l’applicazione della teoria della deterrenza è ridicolo.
“E’ improbabile, statisticamente e concettualmente, che eventi
estremamente rari come le esecuzioni possano influenzare tendenze che
sono così pesantemente influenzate dalla loro stessa storia” e nello
stesso tempo “E’ difficile valutare l’effetto deterrente delle
esecuzioni se non si conosce il tasso di soluzione degli omicidi” visto
che si sa benissimo che è questa ad avere una forte deterrenza.
Gli studi sul preteso effetto deterrente della pena di morte non sono in
grado di chiarire se i potenziali omicidi conoscono il rischio che
stanno per correre, sono cioè edotti sull’esistenza e l’applicazione
della pena di morte nello stato in cui stanno per commettere il loro
crimine. Alcuni studi hanno fatto riferimento alle notizie di esecuzioni
riportate dai quotidiani, ma nessuno è stato in grado di misurare la
propensione alla lettura dei potenziali assassini.
Ma quello che colpisce di più nella testimonianza di Fagan è scoprire
che, dalle statistiche normalmente utilizzate, mancano, per quattro
degli anni ottanta e altri quattro nel decennio successivo, i dati degli
omicidi commessi in Florida.
Secondo Fagan il più forte deterrente all’omicidio è l’ergastolo senza
possibilità di rilascio anticipato (LWOP) che viene imposto molto più di
frequente della pena capitale e di cui fa più paura. Fagan afferma che
l’omissione di questa spiegazione alternativa alla diminuzione
dell’omicidio è “irresponsible and borders on incompetence”.
1.8 Young guns
La testimonianza di Fagan ha messo in evidenza lo stretto rapporto che
esiste fra l’andamento del tasso di omicidio e le armi da fuoco, in
particolare quelle in mano ai giovani, e le tabelle che il governo
americano così gentilmente fornisce non potrebbero essere più chiare.
Nella prima vediamo come, al costante diminuire degli omicidi commessi
con vari metodi, corrisponda un alto numero di uccisioni avvenute
utilizzando le pistole e come questo spieghi l’aumento degli anni
ottanta e la successiva diminuzione del tasso di omicidio. Il secondo
gruppo di tabelle ci fa vedere come siano i giovani a uccidere, e a
essere uccisi, dalle armi da fuoco. Non si può fare a meno di chiedersi
come sia possibile, di fronte a fatti cosi evidenti, continuare a
parlare di deterrenza della pena capitale, quando si sa benissimo che la
minaccia di morte non ha alcun effetto sui giovani e men che meno sui
giovanissimi.
1.9 Dulcis in fundo
La Signora Janet Reno è stata l’Attorney General degli Stati Uniti
durante la presidenza Clinton, ma è contraria alla pena di morte, forse
perché, in tutta la sua lunga carriera di Procuratore non ha mai trovato
una prova che la pena di morte sia un deterrente per il crimine. (Boston
Globe, 16/06/2000)
1.10 Conclusione
Delle 53 giurisdizioni americane 13 non hanno la pena di morte. Il
Distretto di Columbia non ha esecuzioni dal 1957, Alaska, Hawaii, Iowa,
Massachusetts. Vermont e West Virginia sono abolizionisti da mezzo
secolo. Nord Dakota e Rhode Island non hanno esecuzioni dal 1930, il
Minnesota dal 1885, il Maine dal 1887, il Wisconsin dal 1851 e il
Michigan dal 1837. Sempre il Michigan divenne nel 1847 la prima
giurisdizione al mondo ad abolire stabilmente la pena capitale.
Delle quaranta restanti sono state 33 ad avere almeno una esecuzione, ma
il grosso è stato fatto nel Sud, con il Texas in testa (un terzo del
totale). Se si vanno a vedere le statistiche fornite dal Death Penalty
Information Centre si scopre che fra i dieci stati con il tasso di
omicidio più basso otto non hanno la pena di morte, mentre dei due
restanti il New Hampshire non ha condannati a morte e il Sud Dakota non
ha ancora fatto esecuzioni.
Questa messe di dati e l’esperienza a volte secolare di dozzine di paesi
abolizionisti avrebbe dovuto convincere i forcaioli, ma la loro
posizione è ottusa quanto quella di Sir Patrick Spens che diceva:
“Sono assolutamente convinto, so per certo, che la paura di una morte
violenta è un deterrente, e nessuna statistica e nessun discorso mi
convinceranno del contrario.” (Fattah 1983-198)
Come dire “Sono sicuro che la terra è piatta. Non lo posso dimostrare,
ma non crederò mai ad alcuna prova contraria”.
Il fascino della deterrenza sta nel suo fornire una giustificazione
razionale e scientifica alla pena di morte, anche se più di duecento
studi scientifici e una dozzina di commissioni ufficiali (Ceylon 1958,
Florida 1963-65, Massachusetts 1959, Pennsylvania 1961, ecc.) sono
giunti alla medesima conclusione cui giunse la Commissione Reale
Britannica sulla pena di morte (1949-53) che scriveva:
"Non c'è alcuna chiara prova (…) che l'abolizione della pena capitale
abbia portato ad un aumento del tasso di omicidi, o che la sua
reintroduzione l’abbia abbassato.”
(Fattah 1983-199 )
Punti di discussione
2.1 L’onere della prova
Vorrei fosse chiaro che nel dibattito sulla presunta deterrenza della
pena capitale non sono gli abolizionisti a dovere dimostrare la sua non
deterrenza. Al contrario, come ha chiesto la commissione speciale del
Massachusetts per la ricerca e lo studio sull'abolizione della pena di
morte per i reati capitali (1958), sono quelli che la invocano che
dovranno fornire ampie prove del suo supposto valore deterrente rispetto
ad altre pene, perché:
"L'unica motivazione di tipo morale che potrebbe in qualche modo
giustificare il possesso da parte dello Stato di un diritto alla
distruzione della vita umana, potrebbe aversi allorché ciò sia
indispensabile per proteggere o preservare la vita di altri. Questo
comporta che l'onere della prova sia a carico di chi ritiene che la
punizione capitale eserciti un potere deterrente sul potenziale
criminale. Finché costoro non potranno dimostrare che effettivamente la
pena di morte protegge le vite di altri al costo di una sola non vi è
alcuna giustificazione morale per lo Stato che privi qualcuno della
vita." (Fattah 1981)
e in ogni caso:
“Se si deve accettare l’ipotesi della deterrenza, se dobbiamo votare per
la pena capitale quale deterrente dobbiamo essere sicuri che essa lo
sia. Se dobbiamo impiccare donne e uomini per il collo fino a quando non
muoiano dobbiamo avere qualcosa di più solido di una sensazione, di una
superstizione, di una vaga impressione.”
Deputato Hatter Sley, dibattito del Parlamento Britannico del 1983 (AI
ACT 51/07/89-9)
2.2 Cosa succederebbe
se …
Cosa succederebbe se si dimostrasse che la pena di morte è un deterrente
efficace? se si dimostrasse che vi è un vantaggio per la società ad
uccidere il criminale?
Nulla!
La nostra posizione non cambierebbe di un millimetro, come non
cambierebbe se si dimostrasse che la reintroduzione della tortura o
della schiavitù sia un vantaggio per la società. La nostra opposizione
alla pena di morte è un fatto etico. L’incontestabile dimostrazione che
questa pena non è un deterrente più efficace del carcere è solo una
delle molte buone ragioni pratiche che usiamo per rafforzare il nostro
ragionamento. Del resto è noto che i fautori della forca non
modificherebbero la loro posizione anche quando fosse loro dimostrato
che questa pena non è un deterrente. (Ellsworth/ Gross 1994-27)
2.3 Le esecuzioni
pubbliche
Se la pena di morte è un deterrente perché le esecuzioni pubbliche sono
state da tempo bandite in tutto il mondo civilizzato? [NOTA sono
pubbliche in paesi poco raccomandabili come Guatemala, Arabia Saudita,
Cina, Iran, ecc.] Alle esecuzioni, che si tengono nelle carceri nel
cuore della notte, non sono ammessi né i bambini né gli altri carcerati;
eppure queste sono le categorie che di più dovrebbero imparare da questo
spettacolo. Probabilmente la ragione sta nel clima da sabba satanico che
contornava le esecuzioni pubbliche. La violenza dello spettacolo
scatenava delle "vere e proprie esplosioni di follia collettiva" che
come successe a Londra nel 1807, lasciavano sul terreno dozzine di
spettatori morti (Camus/Koestler 1979-36) In ogni caso il loro effetto
deterrente è quanto meno dubbio:
"Nel 1866, quando le esecuzioni pubbliche erano normali in molte parti
del mondo, una Commissione Reale che stava studiando la pena capitale
nel Regno Unito scoprì che di 167 prigionieri condannati a morte 164
avevano assistito ad una esecuzione pubblica." (AI AFR 01/01/91)
Nello stesso periodo si notava che uno dei luoghi preferiti dai
borsaioli per esercitare la loro arte erano appunto le folle che
assistevano alle impiccagioni, magari proprio di qualche loro sfortunato
complice. (Camus/Koestler 1979-36)
2.4 Omicidio di poliziotti e guardie carcerarie
I fautori della pena di morte sono soliti affermare che questa fornisce
una grande difesa alle forze di polizia e renderebbe meno pericoloso il
loro lavoro. Gli studi fatti da Sellin, da Bailey e Peterson e da altri
hanno dimostrato che non è vero, anzi! Secondo il Death Penalty
Information Centre, (che utilizza i dati dell’FBI Uniform Crime Report)
fare il poliziotto è più pericoloso negli Stati del Sud, dove avviene
l’80-90 per cento delle esecuzioni. Guidano la classifica delle
uccisioni di poliziotti in servizio la California (che ha la più vasta
popolazione carceraria degli USA e quindi del mondo), il Texas (che ha
fatto un terzo di tutte le esecuzioni) e la Florida.
Lo stesso vale per le guardie carcerarie ed i prigionieri. Delle 124
uccisioni (di cui 11 di guardie) avvenute nelle carceri americane dal
1973 ben più del 95% è avvenuto in Stati con la pena di morte (BOHM
1999-86/87)
"Nel complesso sembra (...) che gli Stati abolizionisti abbiano meno
omicidi nella polizia" (Fattah 1981)
2.5 La pena
di morte e il terrorismo
"Coloro i quali realmente pensano che la reintroduzione della pena
capitale metterà fine o ridurrà il numero di atti terroristici sono o
estremamente ingenui o vittime di una illusione" (Fattah 1983-207)
"Si sostiene che solo eliminando fisicamente il colpevole di terrorismo
si può evitare il rischio che i suoi compagni commettano ulteriori atti
di terrorismo allo scopo di imporre col ricatto alle autorità di
rilasciarlo. (...) Anzitutto, a meno che si passi all'esecuzione dei
terroristi sospetti nel momento in cui sono catturati (...), le
procedure legali forniranno tempo in abbondanza per mettere in atto le
azioni terroristiche. (...) gli stadi finali del processo
costituirebbero un invito ad altri atti terroristici; un'esecuzione
capitale sarebbe senza dubbio seguita dal taglione. In secondo luogo,
un'applicazione consistente della proposta significherebbe che sarebbero
soggetti all'esecuzione tutti i terroristi condannati la cui detenzione
potrebbe essere motivo di atti di terrorismo da parte dei loro compagni,
(...) si porterebbero all'esecuzione capitale delle persone non per un
delitto da loro commesso, ma per altri delitti che altri potrebbero
commettere." (Korff 1983- 228)
Durante il Mandato Britannico in Palestina parecchi membri
dell'organizzazione estremistica ebraica Irgun furono condannati a morte
e “giustiziati” per reati di terrorismo. Successivamente il loro capo
Menachem Begin (che poi fu anche Primo Ministro di Israele) ebbe a dire
che il suo gruppo era stato "galvanizzato" dalle esecuzioni, perché per
ritorsione impiccò alcuni soldati inglesi prigionieri.
"Non eravate voi a condannare a morte i nostri, voi condannavate un
sacco della vostra gente, ed eravamo noi a decidere quanti" (AI ACT
51/07/89-19)
Inoltre in diverse occasioni militanti sionisti condannati a morte si
suicidarono in carcere prima dell'esecuzione.
In Irlanda uno dei momenti di maggiore prestigio dell'IRA fu quando, nel
1980, una decina di suoi militanti (il primo fu Bobby Sands) si
lasciarono morire di fame nel carcere nord irlandese di Maze. Le
simpatie ed i finanziamenti al terrorismo cattolico raggiunsero l'apice,
mentre sentimenti anti-inglesi prendevano piede in tutto il mondo.
Infine: cosa distingue un crimine di terrorismo da un crimine di diritto
comune?
2.6 La pena di
morte e la droga
La richiesta di pena di morte per reati collegati alla droga è una
costante in tutto il mondo. In alcuni paesi (Birmania, Cina, Iran, Iraq,
Malaysia, Singapore, ecc.) la pena capitale viene applicata per lo
spaccio e il commercio di droga. La morte non ha dimostrato di avere
alcun effetto deterrente né sul consumo, né sullo spaccio ed i drogati
continuano ad aumentare. L'unico risultato concreto è stato un notevole
aumento della pericolosità del lavoro della polizia: perché anche un
piccolo spacciatore si opporrà con ogni mezzo ad un arresto che potrebbe
portarlo sulla forca. (AI ACT 05/39/86)
Inoltre: quali sono le droghe il cui possesso porta alla morte ed in che
quantità bisogna possederle per finire sulla forca?
2.7 La
deterrenza e le Nazioni Unite
Il primo rapporto delle Nazioni Unite sulla pena di morte affermava, nel
1962, che:
"Tutte le informazioni disponibili confermano che l'abolizione [della
pena capitale] non è mai stata seguita da una crescita dei crimini che
non erano più punibili con la morte."
(AI ACT 51/07/89-11)
Nel 1988 un loro comitato ha concluso che:
"Questa ricerca non è riuscita a fornire prove che le esecuzioni abbiano
un effetto deterrente maggiore dell'ergastolo. E' improbabile che questa
prova venga trovata in futuro."
(AI ACT 51/07/89-5)
2.8 La deterrenza nel
mondo
Se la pena di morte fosse un deterrente ci sarebbe stato qualche evento
misurabile nei 108 paesi che, al momento in cui scrivo, sono
abolizionisti. Ma questo non è avvenuto. Può accadere che dopo
l'abolizione della pena di morte aumentino gli omicidi o le condanne a
morte per omicidio di primo grado (quelle per cui si sarebbe finiti
sulla forca). Questo fenomeno non ha nulla a che fare con l'abolizione
della pena capitale. In Inghilterra si è riscontrato un aumento degli
omicidi nei dieci anni che seguirono la fine della pena di morte ma
questo aumento è stato decisamente inferiore a quello che della
contemporanea crescita dei delitti violenti, crescita che come ben
sappiamo è da collegarsi ai cambiamenti sociali. (il tasso di omicidio
inglese rimane un decimo di quello americano). In Australia abbiamo
invece assistito all'aumento delle condanne per omicidio di primo grado
(un tempo delitto capitale). Questo è dovuto alla maggiore tranquillità
con cui giudici e giurie potevano emettere condanne, visto che non
rischiavano più di fare uccidere un innocente.(Fattah 1983 210-212) (Hood
1996 -188)
Australia
Una commissione dello Stato dell'Australia del Sud affermò che nei
cinque anni seguenti all'abolizione questa "Non aveva avuto effetto sul
tasso di omicidio di quello Stato"
(AI ACT 51/07/89-11)
Canada
Le recenti statistiche Canadesi sono un'ulteriore conferma delle nostre
tesi. In quel Paese il tasso di omicidio è passato dal 3.02 per 100.000
del 1975 (anno dell'abolizione della pena di morte) all'1.73 del 2003.
Questo tasso è un terzo di quello americano.
(AI Death Penalty News June 2000 e June 2005).
Nigeria
L'unico studio scientifico recente fatto al di fuori degli USA è quello
del nigeriano Adeyemi che ha analizzato il rapporto esistente fra il
numero delle esecuzioni e quello degli omicidi e delle rapine a mano
armata, che nel suo Paese sono punite con la fucilazione anche se non
provocano vittime. Il Prof. Adeyemi ha scoperto che in certi periodi i
crimini crescevano ed in altri diminuivano senza che fosse possibile
individuare un nesso fra pena di morte e delitti. (HOOD 1996a-190)
Singapore
Singapore è sempre alla testa dei paesi più liberisti: è sempre la prima
in quelle classifiche sulla libertà d’impresa che ogni tanto ci vengono
propinate. Singapore è l’unico paese totalitario di successo ed è anche
la prima della classe in quelle liste dove noi siamo invece al
trentesimo posto con la Svezia. Ma Singapore è anche la capitale
mondiale della pena di morte.
Nel periodo 1991 - 2003 Singapore ha ucciso, secondo Amnesty
International,
http://web.amnesty.org/library/Index/ENGASA360012004?open&of=ENG-SGP
408 persone (di cui 76 nel solo 1994). Considerando la differenza nel
numero di abitanti è come se gli Stati Uniti ne avessero ammazzate (400
x 60) 24.000, invece delle 740 effettivamente uccise, e la Cina
comunista ne avesse accoppate (400 x 260) 104.000. Nessuno sa quanta
gente viene effettivamente uccisa in Cina, ma quando si ipotizzò la
cifra di 18.000 esecuzioni in 10 anni il sentimento di repulsione fu
unanime.
Secondo le Nazioni Unite Singapore ha fatto, nel periodo 1999 - 2003,
138 impiccagioni, che equivalgono a (138 x 60) 8.280 esecuzioni
americane e a (138 x 260) 35,800 cinesi)
http://daccessdds.un.org/doc/UNDOC/GEN/V05/819/20/PDF/V0581920.pdf?OpenElement
Secondo lo stesso governo di Singapore, fra il 1991 e il 2000, ci sono
state 340 esecuzioni, che equivalgono a 20.400 americane e 88.000
cinesi.
Ma se invece ipotizziamo l’esecuzione di 70 - 80 persone l’anno (cifre
considerate più realistiche) passiamo ad un equivalente di 4.200 - 4.800
esecuzioni l’anno per gli Usa e a 18,200 – 20.800 per la Cina.
Ovviamente questo massacro non produce alcun effetto deterrente.
Singapore ha un tasso d’omicidio di 3 per 100.000 mentre Hong Kong,
l’altra città stato cinese, infinitamente più democratica e senza la
pena di morte, ha un tasso di 1 per 100.000.
Abitanti in milioni, Singapore circa 5, Usa circa 300 (60 volte quella
di Singapore), Cina circa 1.300 (260 volte)
Il caso italiano
L’Italia democratica abolì la pena di morte con la Costituzione del
1948. Gli ultimi fucilati furono “Quelli di Villarbasse” il 17 aprile
1947. (Abolita nel 1888 la pena di morte è stata reintrodotta dal
fascismo nel 1926). Quello che avvenne nei successivi vent’anni dimostra
che questa pena non è un deterrente, ma che il tasso d’omicidio è
strettamente collegato alla situazione sociale. L’Italia passò da un
tasso del 5 per 100.000 nel 1950 all’1,4 del 1968. (ISTAT Statistiche
giudiziarie e penali 1993). Questo calo vertiginoso degli omicidi
contraddice platealmente la teoria della deterrenza secondo cui gli
omicidi dovevano aumentare e non diminuire. La ragione di questo
drammatico calo va attribuita alla situazione generale del Paese. Gli
anni che vanno dal 1948 al 1968 sono stati i migliori di tutti i tempi
sia per l’economia italiana che per quella mondiale. Ogni italiano era
convinto che il futuro suo e dei suoi figli sarebbe stato migliore.
Questo ottimismo cambiò sia la violenza verso gli altri che quella verso
se stessi. Contrariamente a quello che è normale in una situazione di
urbanizzazione e di sviluppo economico e all’esperienza storica che vede
calare gli omicidi e aumentare i suicidi, anche questi ultimi subirono
una diminuzione.
Più di recente, proprio mentre l’Italia diventava un paese abolizionista
totale, abbiamo assistito ad uno spettacolare calo nel numero di omicidi
arrivati ad essere, nel 2001, 638, cioè meno della metà di quelli del
1994.
Aneddotica
3.1 Dell’uso
corretto dell’aneddotica
I fautori della pena di morte sono soliti citare raccontini del tipo:
“un tizio condannato all’ergastolo per l’omicidio della moglie ha detto
che se ci fosse stata la pena di morte non l’avrebbe uccisa”.
L’aneddotica abolizionista è infinitamente più ricca e divertente.
Ma gli aneddoti devono servire a rendere più divertente una conferenza,
non devono essere confusi con l’insieme dei fatti, Non dovete mai
permettere a chi vi contraddice di sfuggire alla tirannia dei numeri.
3.2 Il caso Gilmore
Il 17 gennaio 1977 vi fu in Utah la prima esecuzione post-Furman. Gary
Gilmore aveva rinunciato ad appellarsi e si era volontariamente
consegnato nelle mani del boia. Dopo la sua fucilazione venne notato un
brusco calo nel numero degli omicidi, come se la morte di Gilmore avesse
ottenuto il famoso effetto deterrente di cui parlano i fautori della
pena di morte. Una successiva analisi dimostrò che gli omicidi non erano
calati nello Utah e nemmeno negli Stati Occidentali, ma solo in quelli
Orientali. Si scoprì così che il calo non era dovuto all’effetto
deterrente dell’esecuzione, ma al maltempo che aveva flagellato la costa
atlantica con una serie di tempeste di neve particolarmente violente.
Gli americani di quegli Stati erano troppo occupati a ripararsi dal
freddo per avere il tempo e la voglia di ammazzarsi l'un l'altro. Invece
gli americani che vivevano negli Stati non raggiunti dal maltempo
continuarono la loro vita di tutti i giorni, omicidi compresi. (Hood
1996 - 195)
3.3 Dottor Jekyll e
Mr. Hyde
Se visitate Edimburgo passate dal vecchio pub posto all’angolo fra il
Royal Mile e lo Strand. Sulle sue pareti esterne troverete dipinta la
storia del Diacono Brodie che ispirò il famoso racconto del concittadino
Stevenson. Brodie era uno dei maggiorenti della città di giorno e un
furfante di notte. Finì appeso alla forca che lui stesso aveva
contribuito a progettare.
3.4 Sindrome
dell'omicida suicida
Abbiamo visto come un gran numero di omicidi sia seguito dal suicidio o
dal tentato suicidio dell'assassino. Il caso di Christina Riggs è
emblematico. Durante una grave depressione uccise i suoi due bambini e
si avvelenò. Purtroppo non morì, così lo Stato dell’Arkansas la condannò
a morte. Christina non fece appello, non chiese la grazia e attese
tranquillamente che lo Stato, il 2 maggio 2000, finisse quel lavoro che
a lei non era riuscito.
3.5 Automobili e
pena di morte
Una delle migliori spiegazioni della non deterrenza della pena di morte
mi fu data anni fa ad un seminario di Amnesty International. Mi venne
fatto notare che la pena prevista per l'eccesso di velocità è la morte.
Tutti noi infatti abbiamo almeno un amico, un parente od un conoscente
morto in un incidente stradale dovuto alla velocità troppo alta. Eppure
la stragrande maggioranza degli automobilisti guida senza badare troppo
ai limiti ed alla prudenza, ritenendo che le possibilità di avere un
incidente mortale sono piccolissime, oppure perché pensano che "a loro
non succederà" perché sono troppo bravi o troppo fortunati. Ovvero: in
certe occasioni il normale onesto cittadino applica gli stessi
ragionamenti del criminale, e non rispetta la legge e non ha paura delle
possibili gravissime conseguenze perché esse sono molto rare e perché
pensa che a lui non accadrà.
Tutto questo cambiò drasticamente quando l'allora Ministro Ferri impose
il rispetto dei limiti di velocità attraverso uno strumento elettronico
noto come autovelox (attrezzo diabolico che consente alla Polizia di
infliggere multe salate agli automobilisti troppo veloci).
All'improvviso gli automobilisti italiani, minacciati da una sanzione
piccola - in proporzione alla morte - ma certa, divennero
rispettosissimi del Codice della strada. Questo momento di grazia durò
poco, ma dimostrò oltre ogni dubbio che la gente ha più paura di una
lieve sanzione certa (le poche migliaia di lire della multa) che di una
sanzione gravissima ma improbabile (la morte in un incidente stradale
causato dalla velocità eccessiva).
3.6 Varie
E’ noto che la maggior parte dei condannati a morte ha una gran paura
del patibolo. Questo viene spesso utilizzato come dimostrazione del
potere deterrente della pena di morte. Niente di più falso! La paura di
questa pena non ha impedito al criminale di commettere il delitto per
cui ora viene ucciso.
A San Quintino il detenuto Alfred Welles lavorò alla costruzione della
camera a gas. La paura che aveva di questo attrezzo non gli impedì, una
volta rilasciato, di commettere l’omicidio che lo portò a morire proprio
in quella camera. (Fattah 1981)
L'antideterrenza
della pena di morte
"Questa pena sembra esercitare un effetto contagioso attraverso
«l'esempio selvaggio» che offre ed attraverso il suo impatto suggestivo
ed imitativo." Fattah (1983-203)
“La lezione dell’esecuzione (…) può essere quella di togliere valore
alla vita” Bowers
Contrariamente a quanto ritengono i fautori della pena di morte questa
può avere un forte potere antideterrente, ovvero spingere al crimine, e
ciò per due motivi.
Il primo è razionale: se puniamo un delitto come lo stupro, il rapimento
o la rapina a mano armata con la morte, il criminale sarà indotto ad
uccidere le sue vittime ed ogni testimone, perché una volta preso verrà
condannato a morte in ogni caso. (Se ne rende conto persino quel garrulo
forcaiolo di Van Den Haag 1999-144)
L'altro motivo è irrazionale: in una popolazione abbastanza vasta le
esecuzioni ampiamente pubblicizzate colpiranno le persone dalla psiche
instabile e le spingeranno verso il delitto. Un fenomeno simile all'
"epidemia di suicidi" di cui già parlava Karl Marx [NOTA filosofo
tedesco un tempo molto noto ora spesso confuso con i famosi fratelli
americani]
Clarence Darrow disse nel 1922 che:
"Esecuzioni frequenti offuscano la sensibilità dinanzi alla soppressione
della vita. Ciò rende più facile per gli uomini assassinare e aumenta
gli omicidi" (Fattah 1983-202)
La stessa opinione fu ribadita dalla commissione speciale del
Massachusetts per la ricerca e lo studio sull'abolizione della pena di
morte per i reati capitali (1958) quando dichiarò:
"L'esistenza della pena capitale tende a svalutare la vita umana. Tende
a incoraggiare sia negli adulti che nei bambini la credenza che la
violenza fisica, la cui forma estrema consiste nel mettere a morte un
individuo, sia un giusto mezzo per risolvere i conflitti personali e
sociali." (Fattah 1983-202)
Già nel 1935 Robert Dunn controllò il numero di omicidi avvenuti nei
sessanta giorni che precedettero e nei sessanta che seguirono cinque
altamente pubblicizzate esecuzioni. Sia lui che King mezzo secolo dopo
scoprirono che gli omicidi non solo non diminuivano dopo le esecuzioni,
ma anzi aumentavano. Stesse conclusioni ottenne un'analisi sul numero
mensile di omicidi nello Stato di New York dal 1906 al 1963 concluse che
in media avevano luogo 3 omicidi in più nei nove mesi che seguivano
un'esecuzione. (Bowers/Pierce cit. Bohm 1999-95)
4.1 La sindrome
del giustiziere
Secondo Bowers la deterrenza funziona se il potenziale assassino si
identifica con il "giustiziato" [NOTA a meno che non sia un potenziale
suicida-omicida], se avviene il contrario, se cioè il potenziale
assassino si identifica con il boia, l'effetto deterrenza si trasforma
nel suo contrario in quella che possiamo chiamare "sindrome del
giustiziere".
"Il potenziale omicida non si identificherà con il criminale che viene
giustiziato, ma al contrario identificherà con questo qualcuno che lo ha
grandemente offeso, qualcuno che egli teme e/o odia. (...) egli si può
identificare con lo Stato boia e quindi giustificare il suo desiderio di
vendetta." (Bower cit. Bohm 199-95)
4.2 La sindrome
del palcoscenico
Per certi potenziali omicidi il patibolo fornisce un palcoscenico unico
per mettere in scena la propria morte. Palcoscenico che sarebbe ben
difficile ottenere in altre circostanze. Qualcosa di simile a quelli che
si suicidano lanciandosi da un posto alto, ma solo dopo che si è
radunata una grande folla. L'uccisione da parte dello Stato gli da quel
quarto d'ora di notorietà cui, secondo Andy Warhol, tutti abbiamo
diritto.
4.3 La
sindrome del suicida-omicida
Sappiamo con certezza che un certo numero di persone vorrebbero
suicidarsi e che, non riuscendovi, delegano la cosa, attraverso un
assassinio, allo Stato. Famoso è il caso della babysitter Pamela Watkins
che in California strangolò due bambini pur di essere giustiziata.(BOHM
1999-94) Casi più recenti sono quelli di Jeremy Vargas Sagastegui e di
Daniel Colwell (AI AMR51/03/00). Sagastegui disse, delle sue vittime,
prima di essere ucciso nello Stato di Washington il 13/10/98:
"se lo stato non avesse avuto la pena di morte, quelle persone sarebbero
ancora vive."
Al processo si era difeso da solo e aveva chiesto alla giuria di
condannarlo a morte.
Al suo processo Colwell affermò che aveva commesso omicidio per farsi
giustiziare, e minacciò i giurati di tortura se questi non lo avessero
condannato a morte.
Questa sindrome era già conosciuta in Danimarca nel 1767, quando la pena
di morte venne vietata per le persone che "a causa di malinconia o di
altra malattia commettono omicidio al solo scopo di perdere la propria
vita." (Sellin cit. Bohm 1999-101 nota 77)
Appendice
La teoria della
deterrenza
La teoria della deterrenza si basa sul presupposto che gli individui
valutino i costi ed i benefici di possibili alternative e che scelgano
quelle che promettono i maggiori guadagni al minor costo. Quindi i
crimini vengono commessi quando le azioni illegali sono ritenute più
profittevoli o comunque meno costose delle alternative legali. Dal punto
di vista della deterrenza la prevenzione del crimine è raggiunta
attraverso un sistema di sanzioni che 1) convincano i possibili
criminali che il crimine non paga o che i comportamenti legali pagano di
più (deterrenza generale) e 2) prevengono comportamenti recidivi dando
una lezione a quelli che hanno già commesso dei crimini (deterrenza
speciale). Per raggiungere il massimo della deterrenza le sanzioni
devono essere abbastanza severe da superare i benefici generati dal
crimine, amministrate con certezza e prontamente e fatte conoscere ai
potenziali criminali. (Peterson/Bailey1998- 159)
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Links
» Questo è il sito del
Death Penalty Information Centre
»
questo è il
famoso intervento di Fattah al convegno bolognese di AI
(incompleto)
Deterrence and the Death Penalty: The Views of the Experts di
Michael L. Radelet and Ronald L. Akers
» questo è lo
studio di Berk (pdf)
la testimonianza di Fagan
sulla pochezza scientifica degli studi sulla presunte deterrenza della
pena di morte è, a dir poco, sconvolgente.
»
Deterrence and the Death Penalty, A Critical Review of New Evidence
(pdf)
altrettanto devastanti sono gli articoli di Ted Goertzel
»
Capital Punishment and Homicide, Skeptical Inquirer Magazine, July
2004
» questo è il famoso
studio di
Sorensen
il più garrulo dei forcaioli è il solito Van Den Haag
»
The Ultimate Punishment: A Defense
mentre questi sono i solito sprovveduti provenienti da una facoltà di
economia:
»
http://www.cjlf.org/deathpenalty/DezRubShepDeterFinal.pdf
»
http://econ.cudenver.edu/mocan/papers/GettingOffDeathRow.pdf
»
http://people.clemson.edu/%7Ejshephe/DPpaper_fin.pdf
»
http://people.clemson.edu/%7Ejshephe/CaPuJLE_submit.pdf
»
http://www.thevrwc.org/JohnLott.pdf
Gli articoli del New York Times del 22 settembre 2000:
»
States With No Death Penalty Share Lower Homicide Rates
»
http://www.janda.org/c10/statisticsnews/NoDeathPenalty.htm
»
Deadly Statistics: A Survey of Crime and Punishment
Le tabelle del governo americano
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