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La pena di morte è un deterrente?
di Claudio Giusti

edizione riveduta e aggiornata per il Seminario del 22 ottobre 2005


Testo disponibile in formato PDF - Download [368 KB]


Questo saggio deve molto agli affettuosi incoraggiamenti del Prof. Norberto Bobbio e del Gruppo di Lugo di Amnesty International.
A loro ed alla Biblioteca Ruffilli vanno i miei più sinceri ringraziamenti.

Forlì 11 gennaio 2001
Claudio Giusti

 




La pena di morte è un deterrente?
1.1 La deterrenza negli Stati Uniti
1.2 L’arrivo di Erlich
1.3 La velocità della punizione
1.4 Un quarto di secolo di esperimento americano
1.5 Volontari
1.6 Lo studio del New York Times
1.7 Jeffrey Fagan
1.8 Young guns
1.9 Dulcis in fundo
1.10 Conclusione
Punti di discussione
2.1 L’onere della prova
2.2 Cosa succederebbe se …
2.3 Le esecuzioni pubbliche
2.4 Omicidio di poliziotti e guardie carcerarie
2.5 La pena di morte ed il terrorismo
2.6 La pena di morte e la droga
2.7 La deterrenza e le Nazioni Unite
2.8 La deterrenza nel mondo
- Australia
- Canada
- Nigeria
- Singapore
- Il caso italiano
Aneddotica
3.1 Dell’uso corretto dell’aneddotica
3.2 Il caso Gilmore
3.3 Dottor Jekyll e Mr. Hyde
3.4 Sindrome dell’omicida suicida
3.5 Automobili e pena di morte
3.6 Varie
L’antideterrenza della pena di morte
4.1 La sindrome del giustiziere
4.2 La sindrome del palcoscenico
4.3 La sindrome del suicida omicida
Appendice
- La teoria della deterrenza
- Bibliografia
 

 


La pena di morte e’ un deterrente?

"La domanda da farsi non è se la pena di morte abbia un potere deterrente nei confronti di potenziali assassini, ma se questo potere sia maggiore di quello determinato dalla prigione a vita."
Fattah (1981)

“Le possibilità di essere giustiziati per omicidio sono estremamente remote”
Bohm (1999 - 93)

"La pena capitale è senza giustificazione. E' insufficiente come deterrente e moralmente ripugnante."
Nuova Zelanda, Commissione Ufficiale, 1987
(AI ACT 51/07/89 - 183)


"E' comico che, nonostante la pena di morte non abbia alcun effetto sul crimine [che sia o no capitale] essa continui ad essere il 'proiettile d'argento' favorito dai politici. Una soluzione semplicistica del problema"
Bohm (1999 - 97)

"Il mattino dell'esecuzione cantavano: <Viva i ribelli!>. Cantavano lungo la via che li portava al patibolo. (...)
Non ho mai pensato che fosse un deterrente.
Non hanno paura di morire, come può essere un deterrente. (...)
Onestamente penso che con centinaia di esecuzioni che ho fatto, non ho mai fermato nemmeno un assassino."
Albert Pierrepoint (ultimo boia britannico, intervistato nel video “Quando lo stato uccide” di Amnesty International)



L’esperimento americano.

In questi ultimi 30 anni almeno due paesi l’anno hanno abolito la pena di morte portando il totale dei paesi abolizionisti a 121. Secondo Amnesty International 86 sono abolizionisti totali, 11 parziali e 24 de facto, mentre sono 75 i paesi che continuano ad usarla. In questo periodo Europa e Stati Uniti hanno preso vie divergenti. La prima si vanta di essere una “death penalty free land”, mentre i secondi continuano ad applicarla e si trovano in compagnia dei “soliti sospetti”: Arabia Saudita, Cina, Iran, ecc.
Dal 17 gennaio 1977, quando lo Utah fucilò Gary Gilmore, sono quasi 1.000 i condannati uccisi dalla giustizia americana. Da questo cruento “esperimento” è possibile trarre molte conclusioni. In questo saggio illustro come una delle giustificazioni della pena capitale, la sua presunta deterrenza, non abbia alcun fondamento scientifico. (le altre giustificazioni sono la retribuzione ed il rifiuto di pagare il mantenimento dei criminali in carcere). L'attenzione è concentrata sugli USA perché questi ci forniscono una quantità di dati che non trova confronti, visto anche che la pena di morte è abolita in tutti i Paesi decenti. (Per quanto ne so solo la Nigeria ha prodotto uno studio scientifico sull’argomento). Gli Stati Uniti sono uno splendido laboratorio che ci permette di verificare se la pena di morte sia un deterrente, visto che alcuni Stati hanno la pena di morte mentre Stati loro adiacenti non l'hanno. Purtroppo questo laboratorio usa come cavie degli esseri umani.


La pena di morte è un deterrente?

Non vi è alcun dubbio che la pena di morte sia un deterrente. Il problema sta nello stabilire se essa sia un deterrente maggiore dell'incarcerazione. o se al contrario essa abbia un effetto antideterrente, possa cioè spingere le persone a commettere, o a rendere più gravi, quei crimini che pretende di ridurre. La teoria della deterrenza della pena capitale si basa su di un ragionamento molto semplice: la gente ha paura di morire e perciò non commette i reati che sono puniti con la morte. Quindi per ridurre il crimine basta allargare l’uso della pena capitale. L’esperienza ha dimostrato che non è vero.
Molta gente non ha paura di morire e lo dimostra l'alto numero di omicidi (da un terzo alla metà) che sono seguiti dal suicidio, tentato o attuato, dell'assassino, poi perché la deterrenza prevede che la gente sia sempre razionale (cosa che succede piuttosto di rado) e che il potenziale assassino sappia esattamente quale omicidio è capitale e quale non lo è. Poi è evidente che chi uccide perché travolto dalla gelosia o dall'ira, o perché ha la mente ottenebrata dall’alcool o dalle droghe, non lo fa calcolando razionalmente i possibili effetti delle sue azioni, mentre chi prepara accuratamente il crimine fa affidamento sul fatto di non essere scoperto. Inoltre un motivo razionale che gioca contro la deterrenza è che le probabilità che un assassino sia catturato, condannato a morte e ‘giustiziato’ sono estremamente basse. Secondo Thorsen Sellin infatti è molto più facile essere uccisi mentre si compie il delitto o immediatamente dopo:


“a Chicago, durante il periodo 1934 – 1954, la polizia uccise (…) criminali o persone sospette (…) per un totale di 350. Durante lo stesso periodo, nella prigione di Cook County, ci sono state 45 persone giustiziate per assassinio. In altre parole ci sono stati circa otto volte più rei di omicidio uccisi ufficiosamente, per così dire, di quelli giustiziati sulla sedia elettrica. Durante questo periodo di tempo si sono avuti, conosciuti dalla polizia, 5.132 assassinii e omicidi premeditati. Quindi per il 16.45% di questi omicidi un criminale o una persona sospetta venne uccisa dalla polizia o da privati cittadini, mentre lo 0.88% venne mandato sulla sedia elettrica” (Sellin cit. in Fattah 1981)


Sempre a Chicago

“Secondo uno studio di Sara Dike ‘nel periodo 1918-1968 ci furono 1004 omicidi collegati al mondo del crimine, per questi si ottennero 23 condanne di cui 4 all’ergastolo e nessuna a morte’ “ (BOHM 1999-93)

In definitiva

"Indipendentemente dalle statistiche che vengono impiegate, l' inevitabile conclusione è che il rischio obbiettivo e statistico, per un potenziale assassino, di essere incriminato, condannato a morte e giustiziato (...) è bassissimo. Infatti il potenziale omicida corre un rischio molto maggiore di essere ucciso mentre commette il suo crimine o mentre sta scappando dalla scena del delitto," (Fattah 1983-193)


1.1 La deterrenza negli Stati Uniti
Di recente, di fronte ai numerosi casi di innocenti condannati a morte, abbiamo visto crescere nel pubblico americano la fiducia nella pena di morte quale deterrente. La ragione è che la teoria della deterrenza fornisce un alibi intellettualmente rispettabile al desiderio di vendetta e di sangue dell’americano medio. Non per nulla i due candidati alla presidenza, Bush e Gore, hanno affermato all’unisono la loro fiducia nella pena di morte come deterrente per l’omicidio (WASHINGTON TIMES 27.11.2000). Messi di fronte agli errori della loro giustizia, gli americani si rifugiano dietro Van Den Haag per il quale l’uccisione di innocenti è giustificata dal fatto che tante altre vittime potenziali sono salvate dalla paura che suscita la forca.
Anche per la Corte Suprema Americana la deterrenza sembra essere una valida giustificazione della pena capitale. Per essa:

“La pena di morte serve a due principali scopi sociali, la retribuzione e la deterrenza (per i delitti capitali) nei confronti dei possibili criminali.” Gregg contro Georgia 1976 (Hodginson 1996c-38)
e
“A meno che la pena di morte non contribuisca in modo misurabile ad uno di questi due obbiettivi, essa altro non è se non l’imposizione, inutile e senza scopo, di sofferenze e dolori, e quindi una punizione incostituzionale” Emmund contro Florida 1982 (Hodginson 1996c-38)

Purtroppo la Corte non si è preoccupata di documentarsi sulla lunga tradizione di studi ed opinioni del mondo anglosassone sulla non deterrenza della pena capitale.
Senza scomodare Guglielmo il Conquistatore, che già 1000 anni fa riteneva che la pena di morte dovesse essere abolita in tempo di pace, l’abolizionismo, o almeno la richiesta di ridurre il numero dei reati capitali, era un tema già caro ad alcuni dei Padri Fondatori come Jefferson e Franklin, senza contare poi che l’abolizione fu proposta da Rush durante la stesura della Costituzione. In ogni caso il primo studio scientifico sulla presunta deterrenza della pena di morte fu compiuto dal deputato del Massachusetts Robert Rantoul che, nel 1846, analizzò i dati provenienti dai paesi che avevano abolito la pena di morte o che ne avevano ridotto l’utilizzo e fu forse il primo a dimostrare l’irrazionalità della pena capitale come deterrente per il crimine. Più di recente (negli anni 60) il sociologo Thorsten Sellin, utilizzando i dati degli anni dal 1925 al 1955, mise a confronto alcuni Stati americani confinanti e scoprì che:

“ il Nord Dakota, uno Stato senza la pena di morte, aveva un tasso di omicidio più basso di quello dei due Stati simili, il Sud Dakota ed il Nebraska, che invece l’avevano. Il Michigan, uno Stato abolizionista, aveva il tasso uguale a quello dell’Indiana e più basso di quello dell’Ohio, entrambi con la pena capitale. Il Rhode Island, che aveva solo l’ergastolo, venne paragonato a due Stati con la pena di morte, Massachusetts e Connecticut. Il tasso di omicidio del Rhode Island era più basso di quello del Connecticut e uguale a quello del Massachusetts. A essere sinceri un paio di Stati senza la pena di morte (Maine) avevano un tasso di omicidio più alto di quello di Stati comparabili (New Hampshire), ma in generale gli Stati con il boia avevano tassi di omicidio significativamente più alti di quegli Stati che non uccidevano gli assassini.” (Costanzo1998 - 97) e (Bohm 1999 - 86)

Anche la rivista Time giunse, anni dopo, alle medesime conclusioni:

"Il Michigan, che abolì la pena capitale nel 1847 aveva un tasso di omicidi identico a quello degli adiacenti Ohio e Indiana che avevano esecuzioni, Allo stesso modo Minnesota e Rhode Island, Stati senza pena di morte, avevano in proporzione tanti omicidi quanti i loro rispettivi vicini Iowa e Massachusetts che avevano la pena capitale. Nel 1939 il Sud Dakota adottò ed usò la pena capitale, ed il suo tasso di omicidi scese del 20% nel decennio successivo; il Nord Dakota, che negli stessi 10 anni continuò senza pena capitale, vide il suo tasso di omicidi diminuire del 40%" (Time 24.01.1983)

Lo stesso risultato venne raggiunto dagli studi di Peterson e Bailey, di Lempert, di Archer e Gartner e le comparazioni fra i vari stati del Canada e dell’Australia prima che la pena di morte venisse abolita completamente in entrambe le federazioni.
Visto che non dimostra la deterrenza della pena capitale questo tipo di comparazione fra Stati confinanti è considerata troppo grossolana, ma non lo sarebbe se desse il risultato contrario. (In compenso il solito Van Den Haag ha affermato, non si sa su quali basi statistiche, che la pena di morte consente a Singapore e Arabia Saudita di avere un basso tasso di crimini). Così si sono fatti studi sempre più raffinati e complessi come quello che il professor Baldus ha compiuto nel 1975. Egli “aveva tenuto conto di numerosi fatti che notoriamente influenzano il tasso di omicidio: disoccupazione, possibilità di arresto e condanna, popolazione fra i 15 ed i 24 anni, spesa pro capite per la polizia, ecc.” (COSTANZO 1998- 99) ma nemmeno lui trovò un effetto deterrente della pena di morte.



1.2 L’arrivo di Erlich
Tutto questo non poteva, ovviamente, soddisfare i fautori della forca; così saltò fuori, come il coniglio dal cilindro del prestigiatore, il saggio dell'economista Isaac Erlich (“The Deterrence Effect of Capital Punishment”). In questo studio costui non solo "dimostrava" che la pena di morte era un deterrente, ma che, cosa mai tentata prima, era addirittura possibile calcolare che ogni esecuzione aveva evitato setto/otto omicidi. Lo studio di Erlich trovò un pubblico entusiasta e venne abbondantemente citato dai sostenitori della pena di morte durante il dibattito che precedette la sentenza GREGG. Sfortunatamente, per Erlich, la sua analisi faceva acqua da tutte le parti e i criminologi non vollero privarsi del piacere di colarla a picco.
Il suo errore più clamoroso è quello di considerare sempre l’intera popolazione americana, mentre nel periodo da lui considerato (1933 - 1969) si sono avuti Stati abolizionisti e Stati con la pena di morte, e altri che l'hanno abolita o reintrodotta. Ma Erlich non modifica la somma degli abitanti e fa i suoi calcoli come se gli americani fossero stati tutti sotto la minaccia dell'esecuzione. Da notare che per tutto il periodo considerato i tassi di omicidio furono più alti negli stati con la pena di morte rispetto a quelli abolizionisti (PETERSON 1999-165). Inoltre, se si tolgono dalle sue statistiche gli ultimissimi anni (1963 - 1969), quelli in cui vi erano state pochissime esecuzioni, tutto l'effetto deterrente della pena di morte scompare. (Bailey/Peterson 1994 -142)
Questo significa che se si considerano solo gli anni in cui la pena capitale era largamente usata si scopre che questa non aveva alcun effetto deterrente.
La stessa Corte Suprema, in Gregg, si dimostrò scettica sullo studio: “Tentativi di valutare statisticamente gli effetti deterrenti della pena di morte (…) si sono rivelati inconcludenti” (COSTANZO 1998-100), mentre l’Accademia Americana delle Scienze si prese il disturbo di costituire un’apposita commissione, guidata dal Nobel per l’economia L. R. Klein che non trovò alcun effetto deterrente nello studio di Erlich. Ma il mito della deterrenza della pena di morte è duro a morire e il nostro Erilch ha trovato dei continuatori come Stack e Layson che hanno prodotto risultati ancor più mirabolanti dei suoi. Le vite salvate dalle esecuzioni sono diventate prima 19 e poi addirittura 30; ma anche questi studi hanno le fragili fondamenta del precedente. (Bailey/Peterson 1994-143)



1.3 La velocità della punizione
Visto che gli studi “scientifici” sulla deterrenza sono stati tutti screditati i fautori della pena di morte hanno trovato una nuova scusa a favore della loro tesi: cioè che la pena di morte perderebbe il suo potere deterrente a causa del tempo che passa fra il delitto e l’esecuzione (in media una decina d’anni, ma a volte venti e più). Una maggiore velocità nel processo e negli appelli consentirebbe di uccidere l’assassino pochi anni (cinque?) dopo il crimine e restituirebbe alla pena capitale il suo effetto deterrente.
Ovviamente non si tiene in considerazione che questa velocizzazione ridurrebbe ulteriormente le già scarse garanzie di cui gode l’imputato di un reato capitale e che, se questa velocità ci fosse stata nei passati 30 anni, buona parte delle 121 persone tornate in libertà sarebbe stata uccisa, visto che ci sono voluti molti anni, anche venti, perché la loro innocenza venisse riconosciuta.
Ma anche questa “teoria” è fasulla, perché la velocità di uccisione non influenza minimamente la volontà dei criminali. In proposito Stephen Bright ha dato la migliore risposta che io conosca:

“Avevamo un sistema veloce e senza spese: si chiamava linciaggio. Era un fatto assolutamente noto che in Alabama, negli anni venti e trenta, se un certo tipo di crimine veniva commesso contro un bianco, specialmente se da un nero, chi lo aveva commesso sarebbe stato impiccato all’albero più vicino. Ma non esistono prove che questo funzionasse da deterrente” (…) “Negli anni trenta e quaranta non c’erano gli appelli federali che abbiamo oggi e le esecuzioni, senza contare i linciaggi, arrivavano velocemente, ma non c’era alcun effetto deterrente (Bright 1995)

Inoltre secondo Bohm:

“Durante gli anni Trenta ci furono 1676 esecuzioni negli Stati Uniti. Una media di 167 esecuzioni l’anno e di 14 al mese (…) di cui 199 nel [solo] 1935 (…), il tempo medio fra condanna ed esecuzione era di 14,4 mesi mentre la media del 1996 era di 125 mesi. Se la pena capitale avesse un effetto deterrente, e la frequenza e la celerità delle esecuzioni fossero importanti, ci si dovrebbe aspettare un tasso di omicidio, per quel decennio, relativamente basso. Invece i dati dimostrano che i tassi di omicidio erano più alti negli anni Trenta che negli anni Quaranta, Cinquanta e Sessanta, decadi che ebbero un numero di esecuzioni minore.” (Bohm 1999-92)


1.4 Un quarto di secolo di esperimento americano
In questi ultimi anni di “esperimento americano” con la pena di morte gli studi sulla sua supposta deterrenza sono continuati senza tregua spaccando il capello in quattro. Gli studi che ne “dimostravano” la deterrenza sono stati sezionati e screditati. Si sono analizzati i dati relativi agli Stati che hanno abolito o reintrodotto la pena capitale, quelli relativi agli omicidi di poliziotti e ai felony murders. Si è controllato il livello degli omicidi dopo le prime, altamente pubblicizzate esecuzioni (Gilmore e Spenkelnik). Si sono introdotte nelle equazioni tutte le varianti possibili ed immaginabili, ma il risultato è sempre lo stesso: non si trova uno straccio di prova che dimostri che la pena di morte sia un deterrente.
Nel 1980 una commissione del Senato americano scrisse che la deterrenza della pena di morte non è dimostrata sia per l'inaffidabilità degli studi, che per l'opinione contraria di chi sul campo fa applicare la legge, che per la logica inerente alla minaccia di morte. (BOHM 1999-90)
Nel 1989 la Società Americana di Criminologia intervistò 67 presidenti ed ex presidenti di associazioni di criminologi e scoprì che il 90 per cento di questi riteneva che la pena di morte "non è mai stata, non è e non potrà mai essere un deterrente per l'omicidio maggiore di una lunga detenzione." (BOHM 1999-90)
Radelet e Dieter hanno compiuto degli studi empirici intervistando gli esperti del settore: capi di polizia e noti criminologi. Anche questi ritengono che il problema stia da altre parti (consumo di droghe, troppe armi in circolazione, ecc.) e che la pena di morte non risolva nulla. (Radelet/Akers 1996)
Il ritorno delle esecuzioni in Oklahoma è stato analizzato senza che venisse rilevato un aumento nel numero totale degli omicidi nel periodo successivo alla prima esecuzione, anche se si è osservato un notevole aumento degli omicidi avvenuto fra persone che non si conoscevano. (Cochran 1994 e Bailey1998)
Nel 1999 Jon Sorensen e altri hanno esaminato i dati provenienti dallo Stato Campione delle esecuzioni: il Texas di George Bush Jr. Nemmeno loro hanno trovato prove a sostegno della teoria della deterrenza, che è come dire che più di trecento persone sono state uccise inutilmente. (Sorensen/Wrinkle 1999)


1.5 Volontari
Non ci si sofferma mai abbastanza sul fatto che più del 10% delle vittime della pena capitale americana si è consegnata volontariamente al boia.
Alcuni, come Cristina Riggs, non hanno nemmeno interposto appello, altri, come McVeight, volevano dimostrare che erano “padroni del loro destino”, altri ancora erano semplicemente distrutti dal vivere chiusi dentro una scatola di metallo. Tutti erano meno spaventati dalla morte che dall’idea di passare un lunghissimo periodo in carcere. Questo dimostra ancora una volta che le lunghe detenzioni sono un deterrente ben più valido di una improbabile sentenza capitale.


1.6 Lo studio del New York Times
Le due tabelle allegate allo studio sulla deterrenza fatto dal New York Times il 22 settembre 2000 (vedi allegati) dovrebbero mettere fine a tutte le elucubrazioni sulla deterrenza della pena di morte.
Nella prima vediamo come l’andamento del tasso di omicidio negli stati abolizionisti si muova in perfetta sintonia con quello degli stati che hanno la pena capitale, con l’unica significativa differenza che i primi hanno un tasso medio più basso di quello dei secondi.
La seconda tabella è ancora più illuminante della prima. In essa vengono confrontati i tassi di omicidio di quattro stati: il Texas che ha fatto più di un terzo di tutte le esecuzioni, la California che, pur avendo un braccio della morte strapieno, ne ha fatte pochissime, lo stato di New York che, pur avendo la pena di morte, non ne ha fatte e il glorioso Michigan che è abolizionista dal 1847. E’ impressionate vedere come le curve dei tassi di omicidio si muovano all’unisono, dimostrando visivamente che tutte le storie sulla deterrenza della pena di morte non sono altro che “bufale”.


1.7 La testimonianza di Jeffrey Fagan
Nella sua devastante testimonianza Jeffrey Fagan (come del resto Berk e Goertzel) fa letteralmente a pezzi gli studi dei forcaioli. Infatti “Questi nuovi studi sono pieni di errori tecnici e concettuali” quali la mancanza di dati fondamentali provenienti da stati chiave come la Florida. Gli emuli di Erlcih ammucchiano senza discernimento tutti i tipi di omicidio. Anche quelli causati da passione o gelosia, per i quali l’applicazione della teoria della deterrenza è ridicolo.
“E’ improbabile, statisticamente e concettualmente, che eventi estremamente rari come le esecuzioni possano influenzare tendenze che sono così pesantemente influenzate dalla loro stessa storia” e nello stesso tempo “E’ difficile valutare l’effetto deterrente delle esecuzioni se non si conosce il tasso di soluzione degli omicidi” visto che si sa benissimo che è questa ad avere una forte deterrenza.
Gli studi sul preteso effetto deterrente della pena di morte non sono in grado di chiarire se i potenziali omicidi conoscono il rischio che stanno per correre, sono cioè edotti sull’esistenza e l’applicazione della pena di morte nello stato in cui stanno per commettere il loro crimine. Alcuni studi hanno fatto riferimento alle notizie di esecuzioni riportate dai quotidiani, ma nessuno è stato in grado di misurare la propensione alla lettura dei potenziali assassini.
Ma quello che colpisce di più nella testimonianza di Fagan è scoprire che, dalle statistiche normalmente utilizzate, mancano, per quattro degli anni ottanta e altri quattro nel decennio successivo, i dati degli omicidi commessi in Florida.
Secondo Fagan il più forte deterrente all’omicidio è l’ergastolo senza possibilità di rilascio anticipato (LWOP) che viene imposto molto più di frequente della pena capitale e di cui fa più paura. Fagan afferma che l’omissione di questa spiegazione alternativa alla diminuzione dell’omicidio è “irresponsible and borders on incompetence”.


1.8 Young guns
La testimonianza di Fagan ha messo in evidenza lo stretto rapporto che esiste fra l’andamento del tasso di omicidio e le armi da fuoco, in particolare quelle in mano ai giovani, e le tabelle che il governo americano così gentilmente fornisce non potrebbero essere più chiare.
Nella prima vediamo come, al costante diminuire degli omicidi commessi con vari metodi, corrisponda un alto numero di uccisioni avvenute utilizzando le pistole e come questo spieghi l’aumento degli anni ottanta e la successiva diminuzione del tasso di omicidio. Il secondo gruppo di tabelle ci fa vedere come siano i giovani a uccidere, e a essere uccisi, dalle armi da fuoco. Non si può fare a meno di chiedersi come sia possibile, di fronte a fatti cosi evidenti, continuare a parlare di deterrenza della pena capitale, quando si sa benissimo che la minaccia di morte non ha alcun effetto sui giovani e men che meno sui giovanissimi.


1.9 Dulcis in fundo
La Signora Janet Reno è stata l’Attorney General degli Stati Uniti durante la presidenza Clinton, ma è contraria alla pena di morte, forse perché, in tutta la sua lunga carriera di Procuratore non ha mai trovato una prova che la pena di morte sia un deterrente per il crimine. (Boston Globe, 16/06/2000)


1.10 Conclusione
Delle 53 giurisdizioni americane 13 non hanno la pena di morte. Il Distretto di Columbia non ha esecuzioni dal 1957, Alaska, Hawaii, Iowa, Massachusetts. Vermont e West Virginia sono abolizionisti da mezzo secolo. Nord Dakota e Rhode Island non hanno esecuzioni dal 1930, il Minnesota dal 1885, il Maine dal 1887, il Wisconsin dal 1851 e il Michigan dal 1837. Sempre il Michigan divenne nel 1847 la prima giurisdizione al mondo ad abolire stabilmente la pena capitale.
Delle quaranta restanti sono state 33 ad avere almeno una esecuzione, ma il grosso è stato fatto nel Sud, con il Texas in testa (un terzo del totale). Se si vanno a vedere le statistiche fornite dal Death Penalty Information Centre si scopre che fra i dieci stati con il tasso di omicidio più basso otto non hanno la pena di morte, mentre dei due restanti il New Hampshire non ha condannati a morte e il Sud Dakota non ha ancora fatto esecuzioni.
Questa messe di dati e l’esperienza a volte secolare di dozzine di paesi abolizionisti avrebbe dovuto convincere i forcaioli, ma la loro posizione è ottusa quanto quella di Sir Patrick Spens che diceva:

“Sono assolutamente convinto, so per certo, che la paura di una morte violenta è un deterrente, e nessuna statistica e nessun discorso mi convinceranno del contrario.” (Fattah 1983-198)

Come dire “Sono sicuro che la terra è piatta. Non lo posso dimostrare, ma non crederò mai ad alcuna prova contraria”.
Il fascino della deterrenza sta nel suo fornire una giustificazione razionale e scientifica alla pena di morte, anche se più di duecento studi scientifici e una dozzina di commissioni ufficiali (Ceylon 1958, Florida 1963-65, Massachusetts 1959, Pennsylvania 1961, ecc.) sono giunti alla medesima conclusione cui giunse la Commissione Reale Britannica sulla pena di morte (1949-53) che scriveva:

"Non c'è alcuna chiara prova (…) che l'abolizione della pena capitale abbia portato ad un aumento del tasso di omicidi, o che la sua reintroduzione l’abbia abbassato.”
(Fattah 1983-199 )




Punti di discussione

2.1 L’onere della prova
Vorrei fosse chiaro che nel dibattito sulla presunta deterrenza della pena capitale non sono gli abolizionisti a dovere dimostrare la sua non deterrenza. Al contrario, come ha chiesto la commissione speciale del Massachusetts per la ricerca e lo studio sull'abolizione della pena di morte per i reati capitali (1958), sono quelli che la invocano che dovranno fornire ampie prove del suo supposto valore deterrente rispetto ad altre pene, perché:

"L'unica motivazione di tipo morale che potrebbe in qualche modo giustificare il possesso da parte dello Stato di un diritto alla distruzione della vita umana, potrebbe aversi allorché ciò sia indispensabile per proteggere o preservare la vita di altri. Questo comporta che l'onere della prova sia a carico di chi ritiene che la punizione capitale eserciti un potere deterrente sul potenziale criminale. Finché costoro non potranno dimostrare che effettivamente la pena di morte protegge le vite di altri al costo di una sola non vi è alcuna giustificazione morale per lo Stato che privi qualcuno della vita." (Fattah 1981)

e in ogni caso:

“Se si deve accettare l’ipotesi della deterrenza, se dobbiamo votare per la pena capitale quale deterrente dobbiamo essere sicuri che essa lo sia. Se dobbiamo impiccare donne e uomini per il collo fino a quando non muoiano dobbiamo avere qualcosa di più solido di una sensazione, di una superstizione, di una vaga impressione.”
Deputato Hatter Sley, dibattito del Parlamento Britannico del 1983 (AI ACT 51/07/89-9)


2.2 Cosa succederebbe se …
Cosa succederebbe se si dimostrasse che la pena di morte è un deterrente efficace? se si dimostrasse che vi è un vantaggio per la società ad uccidere il criminale?
Nulla!
La nostra posizione non cambierebbe di un millimetro, come non cambierebbe se si dimostrasse che la reintroduzione della tortura o della schiavitù sia un vantaggio per la società. La nostra opposizione alla pena di morte è un fatto etico. L’incontestabile dimostrazione che questa pena non è un deterrente più efficace del carcere è solo una delle molte buone ragioni pratiche che usiamo per rafforzare il nostro ragionamento. Del resto è noto che i fautori della forca non modificherebbero la loro posizione anche quando fosse loro dimostrato che questa pena non è un deterrente. (Ellsworth/ Gross 1994-27)


2.3 Le esecuzioni pubbliche
Se la pena di morte è un deterrente perché le esecuzioni pubbliche sono state da tempo bandite in tutto il mondo civilizzato? [NOTA sono pubbliche in paesi poco raccomandabili come Guatemala, Arabia Saudita, Cina, Iran, ecc.] Alle esecuzioni, che si tengono nelle carceri nel cuore della notte, non sono ammessi né i bambini né gli altri carcerati; eppure queste sono le categorie che di più dovrebbero imparare da questo spettacolo. Probabilmente la ragione sta nel clima da sabba satanico che contornava le esecuzioni pubbliche. La violenza dello spettacolo scatenava delle "vere e proprie esplosioni di follia collettiva" che come successe a Londra nel 1807, lasciavano sul terreno dozzine di spettatori morti (Camus/Koestler 1979-36) In ogni caso il loro effetto deterrente è quanto meno dubbio:

"Nel 1866, quando le esecuzioni pubbliche erano normali in molte parti del mondo, una Commissione Reale che stava studiando la pena capitale nel Regno Unito scoprì che di 167 prigionieri condannati a morte 164 avevano assistito ad una esecuzione pubblica." (AI AFR 01/01/91)

Nello stesso periodo si notava che uno dei luoghi preferiti dai borsaioli per esercitare la loro arte erano appunto le folle che assistevano alle impiccagioni, magari proprio di qualche loro sfortunato complice. (Camus/Koestler 1979-36)


2.4 Omicidio di poliziotti e guardie carcerarie
I fautori della pena di morte sono soliti affermare che questa fornisce una grande difesa alle forze di polizia e renderebbe meno pericoloso il loro lavoro. Gli studi fatti da Sellin, da Bailey e Peterson e da altri hanno dimostrato che non è vero, anzi! Secondo il Death Penalty Information Centre, (che utilizza i dati dell’FBI Uniform Crime Report) fare il poliziotto è più pericoloso negli Stati del Sud, dove avviene l’80-90 per cento delle esecuzioni. Guidano la classifica delle uccisioni di poliziotti in servizio la California (che ha la più vasta popolazione carceraria degli USA e quindi del mondo), il Texas (che ha fatto un terzo di tutte le esecuzioni) e la Florida.
Lo stesso vale per le guardie carcerarie ed i prigionieri. Delle 124 uccisioni (di cui 11 di guardie) avvenute nelle carceri americane dal 1973 ben più del 95% è avvenuto in Stati con la pena di morte (BOHM 1999-86/87)

"Nel complesso sembra (...) che gli Stati abolizionisti abbiano meno omicidi nella polizia" (Fattah 1981)


2.5 La pena di morte e il terrorismo

"Coloro i quali realmente pensano che la reintroduzione della pena capitale metterà fine o ridurrà il numero di atti terroristici sono o estremamente ingenui o vittime di una illusione" (Fattah 1983-207)

"Si sostiene che solo eliminando fisicamente il colpevole di terrorismo si può evitare il rischio che i suoi compagni commettano ulteriori atti di terrorismo allo scopo di imporre col ricatto alle autorità di rilasciarlo. (...) Anzitutto, a meno che si passi all'esecuzione dei terroristi sospetti nel momento in cui sono catturati (...), le procedure legali forniranno tempo in abbondanza per mettere in atto le azioni terroristiche. (...) gli stadi finali del processo costituirebbero un invito ad altri atti terroristici; un'esecuzione capitale sarebbe senza dubbio seguita dal taglione. In secondo luogo, un'applicazione consistente della proposta significherebbe che sarebbero soggetti all'esecuzione tutti i terroristi condannati la cui detenzione potrebbe essere motivo di atti di terrorismo da parte dei loro compagni, (...) si porterebbero all'esecuzione capitale delle persone non per un delitto da loro commesso, ma per altri delitti che altri potrebbero commettere." (Korff 1983- 228)

Durante il Mandato Britannico in Palestina parecchi membri dell'organizzazione estremistica ebraica Irgun furono condannati a morte e “giustiziati” per reati di terrorismo. Successivamente il loro capo Menachem Begin (che poi fu anche Primo Ministro di Israele) ebbe a dire che il suo gruppo era stato "galvanizzato" dalle esecuzioni, perché per ritorsione impiccò alcuni soldati inglesi prigionieri.

"Non eravate voi a condannare a morte i nostri, voi condannavate un sacco della vostra gente, ed eravamo noi a decidere quanti" (AI ACT 51/07/89-19)

Inoltre in diverse occasioni militanti sionisti condannati a morte si suicidarono in carcere prima dell'esecuzione.

In Irlanda uno dei momenti di maggiore prestigio dell'IRA fu quando, nel 1980, una decina di suoi militanti (il primo fu Bobby Sands) si lasciarono morire di fame nel carcere nord irlandese di Maze. Le simpatie ed i finanziamenti al terrorismo cattolico raggiunsero l'apice, mentre sentimenti anti-inglesi prendevano piede in tutto il mondo. Infine: cosa distingue un crimine di terrorismo da un crimine di diritto comune?
 


2.6 La pena di morte e la droga
La richiesta di pena di morte per reati collegati alla droga è una costante in tutto il mondo. In alcuni paesi (Birmania, Cina, Iran, Iraq, Malaysia, Singapore, ecc.) la pena capitale viene applicata per lo spaccio e il commercio di droga. La morte non ha dimostrato di avere alcun effetto deterrente né sul consumo, né sullo spaccio ed i drogati continuano ad aumentare. L'unico risultato concreto è stato un notevole aumento della pericolosità del lavoro della polizia: perché anche un piccolo spacciatore si opporrà con ogni mezzo ad un arresto che potrebbe portarlo sulla forca. (AI ACT 05/39/86)
Inoltre: quali sono le droghe il cui possesso porta alla morte ed in che quantità bisogna possederle per finire sulla forca?


2.7 La deterrenza e le Nazioni Unite
Il primo rapporto delle Nazioni Unite sulla pena di morte affermava, nel 1962, che:

"Tutte le informazioni disponibili confermano che l'abolizione [della pena capitale] non è mai stata seguita da una crescita dei crimini che non erano più punibili con la morte."
(AI ACT 51/07/89-11)

Nel 1988 un loro comitato ha concluso che:

"Questa ricerca non è riuscita a fornire prove che le esecuzioni abbiano un effetto deterrente maggiore dell'ergastolo. E' improbabile che questa prova venga trovata in futuro."
(AI ACT 51/07/89-5)


2.8 La deterrenza nel mondo
Se la pena di morte fosse un deterrente ci sarebbe stato qualche evento misurabile nei 108 paesi che, al momento in cui scrivo, sono abolizionisti. Ma questo non è avvenuto. Può accadere che dopo l'abolizione della pena di morte aumentino gli omicidi o le condanne a morte per omicidio di primo grado (quelle per cui si sarebbe finiti sulla forca). Questo fenomeno non ha nulla a che fare con l'abolizione della pena capitale. In Inghilterra si è riscontrato un aumento degli omicidi nei dieci anni che seguirono la fine della pena di morte ma questo aumento è stato decisamente inferiore a quello che della contemporanea crescita dei delitti violenti, crescita che come ben sappiamo è da collegarsi ai cambiamenti sociali. (il tasso di omicidio inglese rimane un decimo di quello americano). In Australia abbiamo invece assistito all'aumento delle condanne per omicidio di primo grado (un tempo delitto capitale). Questo è dovuto alla maggiore tranquillità con cui giudici e giurie potevano emettere condanne, visto che non rischiavano più di fare uccidere un innocente.(Fattah 1983 210-212) (Hood 1996 -188)

Australia
Una commissione dello Stato dell'Australia del Sud affermò che nei cinque anni seguenti all'abolizione questa "Non aveva avuto effetto sul tasso di omicidio di quello Stato"
(AI ACT 51/07/89-11)

Canada
Le recenti statistiche Canadesi sono un'ulteriore conferma delle nostre tesi. In quel Paese il tasso di omicidio è passato dal 3.02 per 100.000 del 1975 (anno dell'abolizione della pena di morte) all'1.73 del 2003. Questo tasso è un terzo di quello americano.
(AI Death Penalty News June 2000 e June 2005).

Nigeria
L'unico studio scientifico recente fatto al di fuori degli USA è quello del nigeriano Adeyemi che ha analizzato il rapporto esistente fra il numero delle esecuzioni e quello degli omicidi e delle rapine a mano armata, che nel suo Paese sono punite con la fucilazione anche se non provocano vittime. Il Prof. Adeyemi ha scoperto che in certi periodi i crimini crescevano ed in altri diminuivano senza che fosse possibile individuare un nesso fra pena di morte e delitti. (HOOD 1996a-190)

Singapore
Singapore è sempre alla testa dei paesi più liberisti: è sempre la prima in quelle classifiche sulla libertà d’impresa che ogni tanto ci vengono propinate. Singapore è l’unico paese totalitario di successo ed è anche la prima della classe in quelle liste dove noi siamo invece al trentesimo posto con la Svezia. Ma Singapore è anche la capitale mondiale della pena di morte.
Nel periodo 1991 - 2003 Singapore ha ucciso, secondo Amnesty International,
http://web.amnesty.org/library/Index/ENGASA360012004?open&of=ENG-SGP
408 persone (di cui 76 nel solo 1994). Considerando la differenza nel numero di abitanti è come se gli Stati Uniti ne avessero ammazzate (400 x 60) 24.000, invece delle 740 effettivamente uccise, e la Cina comunista ne avesse accoppate (400 x 260) 104.000. Nessuno sa quanta gente viene effettivamente uccisa in Cina, ma quando si ipotizzò la cifra di 18.000 esecuzioni in 10 anni il sentimento di repulsione fu unanime.
Secondo le Nazioni Unite Singapore ha fatto, nel periodo 1999 - 2003, 138 impiccagioni, che equivalgono a (138 x 60) 8.280 esecuzioni americane e a (138 x 260) 35,800 cinesi)
http://daccessdds.un.org/doc/UNDOC/GEN/V05/819/20/PDF/V0581920.pdf?OpenElement 
Secondo lo stesso governo di Singapore, fra il 1991 e il 2000, ci sono state 340 esecuzioni, che equivalgono a 20.400 americane e 88.000 cinesi.
Ma se invece ipotizziamo l’esecuzione di 70 - 80 persone l’anno (cifre considerate più realistiche) passiamo ad un equivalente di 4.200 - 4.800 esecuzioni l’anno per gli Usa e a 18,200 – 20.800 per la Cina.
Ovviamente questo massacro non produce alcun effetto deterrente. Singapore ha un tasso d’omicidio di 3 per 100.000 mentre Hong Kong, l’altra città stato cinese, infinitamente più democratica e senza la pena di morte, ha un tasso di 1 per 100.000.
Abitanti in milioni, Singapore circa 5, Usa circa 300 (60 volte quella di Singapore), Cina circa 1.300 (260 volte)

Il caso italiano
L’Italia democratica abolì la pena di morte con la Costituzione del 1948. Gli ultimi fucilati furono “Quelli di Villarbasse” il 17 aprile 1947. (Abolita nel 1888 la pena di morte è stata reintrodotta dal fascismo nel 1926). Quello che avvenne nei successivi vent’anni dimostra che questa pena non è un deterrente, ma che il tasso d’omicidio è strettamente collegato alla situazione sociale. L’Italia passò da un tasso del 5 per 100.000 nel 1950 all’1,4 del 1968. (ISTAT Statistiche giudiziarie e penali 1993). Questo calo vertiginoso degli omicidi contraddice platealmente la teoria della deterrenza secondo cui gli omicidi dovevano aumentare e non diminuire. La ragione di questo drammatico calo va attribuita alla situazione generale del Paese. Gli anni che vanno dal 1948 al 1968 sono stati i migliori di tutti i tempi sia per l’economia italiana che per quella mondiale. Ogni italiano era convinto che il futuro suo e dei suoi figli sarebbe stato migliore. Questo ottimismo cambiò sia la violenza verso gli altri che quella verso se stessi. Contrariamente a quello che è normale in una situazione di urbanizzazione e di sviluppo economico e all’esperienza storica che vede calare gli omicidi e aumentare i suicidi, anche questi ultimi subirono una diminuzione.
Più di recente, proprio mentre l’Italia diventava un paese abolizionista totale, abbiamo assistito ad uno spettacolare calo nel numero di omicidi arrivati ad essere, nel 2001, 638, cioè meno della metà di quelli del 1994.



Aneddotica


3.1 Dell’uso corretto dell’aneddotica
I fautori della pena di morte sono soliti citare raccontini del tipo:

“un tizio condannato all’ergastolo per l’omicidio della moglie ha detto che se ci fosse stata la pena di morte non l’avrebbe uccisa”.

L’aneddotica abolizionista è infinitamente più ricca e divertente.
Ma gli aneddoti devono servire a rendere più divertente una conferenza, non devono essere confusi con l’insieme dei fatti, Non dovete mai permettere a chi vi contraddice di sfuggire alla tirannia dei numeri.

3.2 Il caso Gilmore
Il 17 gennaio 1977 vi fu in Utah la prima esecuzione post-Furman. Gary Gilmore aveva rinunciato ad appellarsi e si era volontariamente consegnato nelle mani del boia. Dopo la sua fucilazione venne notato un brusco calo nel numero degli omicidi, come se la morte di Gilmore avesse ottenuto il famoso effetto deterrente di cui parlano i fautori della pena di morte. Una successiva analisi dimostrò che gli omicidi non erano calati nello Utah e nemmeno negli Stati Occidentali, ma solo in quelli Orientali. Si scoprì così che il calo non era dovuto all’effetto deterrente dell’esecuzione, ma al maltempo che aveva flagellato la costa atlantica con una serie di tempeste di neve particolarmente violente. Gli americani di quegli Stati erano troppo occupati a ripararsi dal freddo per avere il tempo e la voglia di ammazzarsi l'un l'altro. Invece gli americani che vivevano negli Stati non raggiunti dal maltempo continuarono la loro vita di tutti i giorni, omicidi compresi. (Hood 1996 - 195)

3.3 Dottor Jekyll e Mr. Hyde
Se visitate Edimburgo passate dal vecchio pub posto all’angolo fra il Royal Mile e lo Strand. Sulle sue pareti esterne troverete dipinta la storia del Diacono Brodie che ispirò il famoso racconto del concittadino Stevenson. Brodie era uno dei maggiorenti della città di giorno e un furfante di notte. Finì appeso alla forca che lui stesso aveva contribuito a progettare.

3.4 Sindrome dell'omicida suicida
Abbiamo visto come un gran numero di omicidi sia seguito dal suicidio o dal tentato suicidio dell'assassino. Il caso di Christina Riggs è emblematico. Durante una grave depressione uccise i suoi due bambini e si avvelenò. Purtroppo non morì, così lo Stato dell’Arkansas la condannò a morte. Christina non fece appello, non chiese la grazia e attese tranquillamente che lo Stato, il 2 maggio 2000, finisse quel lavoro che a lei non era riuscito.

3.5 Automobili e pena di morte
Una delle migliori spiegazioni della non deterrenza della pena di morte mi fu data anni fa ad un seminario di Amnesty International. Mi venne fatto notare che la pena prevista per l'eccesso di velocità è la morte. Tutti noi infatti abbiamo almeno un amico, un parente od un conoscente morto in un incidente stradale dovuto alla velocità troppo alta. Eppure la stragrande maggioranza degli automobilisti guida senza badare troppo ai limiti ed alla prudenza, ritenendo che le possibilità di avere un incidente mortale sono piccolissime, oppure perché pensano che "a loro non succederà" perché sono troppo bravi o troppo fortunati. Ovvero: in certe occasioni il normale onesto cittadino applica gli stessi ragionamenti del criminale, e non rispetta la legge e non ha paura delle possibili gravissime conseguenze perché esse sono molto rare e perché pensa che a lui non accadrà.
Tutto questo cambiò drasticamente quando l'allora Ministro Ferri impose il rispetto dei limiti di velocità attraverso uno strumento elettronico noto come autovelox (attrezzo diabolico che consente alla Polizia di infliggere multe salate agli automobilisti troppo veloci). All'improvviso gli automobilisti italiani, minacciati da una sanzione piccola - in proporzione alla morte - ma certa, divennero rispettosissimi del Codice della strada. Questo momento di grazia durò poco, ma dimostrò oltre ogni dubbio che la gente ha più paura di una lieve sanzione certa (le poche migliaia di lire della multa) che di una sanzione gravissima ma improbabile (la morte in un incidente stradale causato dalla velocità eccessiva).

3.6 Varie
E’ noto che la maggior parte dei condannati a morte ha una gran paura del patibolo. Questo viene spesso utilizzato come dimostrazione del potere deterrente della pena di morte. Niente di più falso! La paura di questa pena non ha impedito al criminale di commettere il delitto per cui ora viene ucciso.
A San Quintino il detenuto Alfred Welles lavorò alla costruzione della camera a gas. La paura che aveva di questo attrezzo non gli impedì, una volta rilasciato, di commettere l’omicidio che lo portò a morire proprio in quella camera. (Fattah 1981)


L'antideterrenza della pena di morte


"Questa pena sembra esercitare un effetto contagioso attraverso «l'esempio selvaggio» che offre ed attraverso il suo impatto suggestivo ed imitativo." Fattah (1983-203)

“La lezione dell’esecuzione (…) può essere quella di togliere valore alla vita” Bowers

Contrariamente a quanto ritengono i fautori della pena di morte questa può avere un forte potere antideterrente, ovvero spingere al crimine, e ciò per due motivi.
Il primo è razionale: se puniamo un delitto come lo stupro, il rapimento o la rapina a mano armata con la morte, il criminale sarà indotto ad uccidere le sue vittime ed ogni testimone, perché una volta preso verrà condannato a morte in ogni caso. (Se ne rende conto persino quel garrulo forcaiolo di Van Den Haag 1999-144)
L'altro motivo è irrazionale: in una popolazione abbastanza vasta le esecuzioni ampiamente pubblicizzate colpiranno le persone dalla psiche instabile e le spingeranno verso il delitto. Un fenomeno simile all' "epidemia di suicidi" di cui già parlava Karl Marx [NOTA filosofo tedesco un tempo molto noto ora spesso confuso con i famosi fratelli americani]
Clarence Darrow disse nel 1922 che:

"Esecuzioni frequenti offuscano la sensibilità dinanzi alla soppressione della vita. Ciò rende più facile per gli uomini assassinare e aumenta gli omicidi" (Fattah 1983-202)

La stessa opinione fu ribadita dalla commissione speciale del Massachusetts per la ricerca e lo studio sull'abolizione della pena di morte per i reati capitali (1958) quando dichiarò:

"L'esistenza della pena capitale tende a svalutare la vita umana. Tende a incoraggiare sia negli adulti che nei bambini la credenza che la violenza fisica, la cui forma estrema consiste nel mettere a morte un individuo, sia un giusto mezzo per risolvere i conflitti personali e sociali." (Fattah 1983-202)

Già nel 1935 Robert Dunn controllò il numero di omicidi avvenuti nei sessanta giorni che precedettero e nei sessanta che seguirono cinque altamente pubblicizzate esecuzioni. Sia lui che King mezzo secolo dopo scoprirono che gli omicidi non solo non diminuivano dopo le esecuzioni, ma anzi aumentavano. Stesse conclusioni ottenne un'analisi sul numero mensile di omicidi nello Stato di New York dal 1906 al 1963 concluse che in media avevano luogo 3 omicidi in più nei nove mesi che seguivano un'esecuzione. (Bowers/Pierce cit. Bohm 1999-95)

4.1 La sindrome del giustiziere
Secondo Bowers la deterrenza funziona se il potenziale assassino si identifica con il "giustiziato" [NOTA a meno che non sia un potenziale suicida-omicida], se avviene il contrario, se cioè il potenziale assassino si identifica con il boia, l'effetto deterrenza si trasforma nel suo contrario in quella che possiamo chiamare "sindrome del giustiziere".

"Il potenziale omicida non si identificherà con il criminale che viene giustiziato, ma al contrario identificherà con questo qualcuno che lo ha grandemente offeso, qualcuno che egli teme e/o odia. (...) egli si può identificare con lo Stato boia e quindi giustificare il suo desiderio di vendetta." (Bower cit. Bohm 199-95)

4.2 La sindrome del palcoscenico
Per certi potenziali omicidi il patibolo fornisce un palcoscenico unico per mettere in scena la propria morte. Palcoscenico che sarebbe ben difficile ottenere in altre circostanze. Qualcosa di simile a quelli che si suicidano lanciandosi da un posto alto, ma solo dopo che si è radunata una grande folla. L'uccisione da parte dello Stato gli da quel quarto d'ora di notorietà cui, secondo Andy Warhol, tutti abbiamo diritto.

4.3 La sindrome del suicida-omicida
Sappiamo con certezza che un certo numero di persone vorrebbero suicidarsi e che, non riuscendovi, delegano la cosa, attraverso un assassinio, allo Stato. Famoso è il caso della babysitter Pamela Watkins che in California strangolò due bambini pur di essere giustiziata.(BOHM 1999-94) Casi più recenti sono quelli di Jeremy Vargas Sagastegui e di Daniel Colwell (AI AMR51/03/00). Sagastegui disse, delle sue vittime, prima di essere ucciso nello Stato di Washington il 13/10/98:

"se lo stato non avesse avuto la pena di morte, quelle persone sarebbero ancora vive."

Al processo si era difeso da solo e aveva chiesto alla giuria di condannarlo a morte.
Al suo processo Colwell affermò che aveva commesso omicidio per farsi giustiziare, e minacciò i giurati di tortura se questi non lo avessero condannato a morte.
Questa sindrome era già conosciuta in Danimarca nel 1767, quando la pena di morte venne vietata per le persone che "a causa di malinconia o di altra malattia commettono omicidio al solo scopo di perdere la propria vita." (Sellin cit. Bohm 1999-101 nota 77)



Appendice


La teoria della deterrenza
La teoria della deterrenza si basa sul presupposto che gli individui valutino i costi ed i benefici di possibili alternative e che scelgano quelle che promettono i maggiori guadagni al minor costo. Quindi i crimini vengono commessi quando le azioni illegali sono ritenute più profittevoli o comunque meno costose delle alternative legali. Dal punto di vista della deterrenza la prevenzione del crimine è raggiunta attraverso un sistema di sanzioni che 1) convincano i possibili criminali che il crimine non paga o che i comportamenti legali pagano di più (deterrenza generale) e 2) prevengono comportamenti recidivi dando una lezione a quelli che hanno già commesso dei crimini (deterrenza speciale). Per raggiungere il massimo della deterrenza le sanzioni devono essere abbastanza severe da superare i benefici generati dal crimine, amministrate con certezza e prontamente e fatte conoscere ai potenziali criminali. (Peterson/Bailey1998- 159)



Bibliografia


Vengono citate solo le fonti utilizzate.

La dichiarazione di Albert Pierrepoint è tratta dal video "Quando lo stato uccide" di Amnesty International 1989


AMNESTY INTERNATIONAL
ACT 05/39/86 Death Penalty for Drug Offences

ACT 51/07/89 When the States Kills... The Death Penalty vs. Human Rights,

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Links

» Questo è il sito del Death Penalty Information Centre
» questo è il famoso intervento di Fattah al convegno bolognese di AI (incompleto)
Deterrence and the Death Penalty: The Views of the Experts di Michael L. Radelet and Ronald L. Akers
» questo è lo studio di Berk (pdf)
 

la testimonianza di Fagan sulla pochezza scientifica degli studi sulla presunte deterrenza della pena di morte è, a dir poco, sconvolgente.
» Deterrence and the Death Penalty, A Critical Review of New Evidence (pdf)

altrettanto devastanti sono gli articoli di Ted Goertzel
»  Capital Punishment and Homicide, Skeptical Inquirer Magazine, July 2004
» questo è il famoso studio di Sorensen

il più garrulo dei forcaioli è il solito Van Den Haag
» The Ultimate Punishment: A Defense

mentre questi sono i solito sprovveduti provenienti da una facoltà di economia:
» http://www.cjlf.org/deathpenalty/DezRubShepDeterFinal.pdf 
» http://econ.cudenver.edu/mocan/papers/GettingOffDeathRow.pdf 
» http://people.clemson.edu/%7Ejshephe/DPpaper_fin.pdf
» http://people.clemson.edu/%7Ejshephe/CaPuJLE_submit.pdf
» http://www.thevrwc.org/JohnLott.pdf


Gli articoli del New York Times del 22 settembre 2000:
» States With No Death Penalty Share Lower Homicide Rates

» http://www.janda.org/c10/statisticsnews/NoDeathPenalty.htm

» Deadly Statistics: A Survey of Crime and Punishment

Le tabelle del governo americano

 

 

 

 

 

 

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agli incroci dei venti, 17 ottobre 2005