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Trucco, maschera
del viso.
di
Maddalena Giovannelli
(dottoranda in lettere
classiche e attrice)
L’attore tragico, nella
Grecia antica, si presentava in scena completamente trasformato:
indossava un lunghissimo e sfarzoso abito, ai piedi alte scarpe che gli
conferivano una statura innaturale, sul viso, naturalmente, la maschera.
Questa era, probabilmente, innanzi tutto una macchina fonica, che
permetteva di recitare in spazi ampi davanti a 10.000 spettatori. Ma era
anche il mezzo tramite il quale un semplice cittadino ateniese smetteva
di essere tale per divenire un eroe del mito, Eracle, Medea o
Agamennone; o la chiave per uscire dalla vita quotidiana ed entrare in
una dimensione altra, quella del teatro. L’attore sul palco non aveva
aspetto umano: diveniva funzione del racconto o, come ha scritto il
regista
Massimo Castri, un enorme e affascinante burattino; a nessuno
interessava intravedere (seppure in controluce) l’essere umano che si
nascondeva dietro la maschera.
Da Stanislavskij in poi, al contrario, si chiede all’attore di mostrare
se stesso con autenticità e senza veli; di offrire i propri difetti e le
proprie insicurezze senza pudore e di metterli al servizio del
personaggio e del pubblico; di mettere in gioco il proprio vissuto per
cercare un’identificazione emotiva totale con il personaggio
interpretato e una ricostruzione dettagliata della sua interiorità.
Così ogni Amleto sarà diverso da un altro, ma sarà anche più autentico;
così ogni Amleto sarà Amleto, ma sarà anche un po’ l’attore che gli
presta generosamente corpo, viso, voce ed emozioni. Così sul palco
vedremo il personaggio; ma saremo anche affascinati dall’essere umano
che lo recita.
L’attore del ‘900 è nudo sul palco: mostra nervi cuore e corpo senza
poterli nascondere dietro una maschera. L’ultimo rifugio, l’unico
nascondiglio, ogni artista lo deve costruire con cura nel
camerino prima di ogni rappresentazione,
con pennelli e spugne. E’ così la cerimonia del trucco – ultimo
frammento della vecchia maschera – è anche una sorta di accesso rituale
alla realtà del teatro: in camerino resta la quotidianità, tra un
ombretto e una matita per gli occhi, e l’attore entra in scena.
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